L’ultimo rigurgito rivoluzionario fascista
La rivoluzione che
non ci fu. Delle masse al potere. In un’organizzazione gerarchica che le vedeva
alla pari con gli iteressi capitalistici e imprenditoriali. All’indomani del
grande crac del 1929. In una con le riflessioni che in Germania Ernst Jünger
andava svolgendo e troveranno presto sbocco ne “L’Operaio”: l’unità sociale
attorno al lavoro, alla manifattura. Il corporativismo.
Una rivoluzione mai
tentata, se non formalisticamente in Italia. Anche irrisolta sul piano teorico.
Ma felice com intuizione – e come tale vedrà una ripresa negli anni 1980, in Germania, Giappone Stati Uniti, marginalmente anche
in Italia, sempre sul piano teorico.
Il concetto si fa
luce a metà 1930, in un volume celebrativo voluto da Mussolini, “Lo Stato
mussoliniano e le realizzazioni del fascismo nella nazione”. “Gli unici saggi
propriamente politici”, spiega Gentile, “e complementari, erano i primi due”
del volume, “quello di Rocco sulla trasformazione dello Stato e quello di
Bottai sullo Stato corporativo”. Il fascismo è lo Stato, argomentava il giurista.
“Volendosi definire lo Stato fascista”, aggiungeva Bottai, “distinguerlo dalle
altre forme dello Stato, già storicamente realizzate, si dice che esso è uno
Stato corporativo”. Cioè, “uno Stato a composizione sindacale e a funzione
corporativa, in quanto come Stato veramente sovrano intende adeguarsi alla
società civile…., e come Stato avente scopi propri, distinti da quelli della
società civile, ha per finalità permanente di creare attraverso la propria
azione, e di realizzate storicamente, l’unità morale, politica ed economica della
Nazione”.
Bottai era già
ministro delle Corporazioni, ma la materia era – e resterà – ancora confusa. Ne
tenterà su “Critica fascista”, che dirigeva, ripetutamente l’elaborazione. Ma presto
vene a cadere l’appoggio politico, malgrado la costituzione, il 20 marzo 1930,
del Consiglio nazionale delle corporazioni. Mussolini condivideva l’impostazione
ma, spiega Gentile, “non si faceva illusioni sulla conversione degli
industriali al fascismo e al nuovo ordinamento
della produzione, sotto l’egida dello Stato” - «anche se li copriamo di tessere
– disse il duce commentando il rapporto del federale di Torino del 15 gennaio 1930
– non li dobbiamo credere fascisti; non accettano la concezione del Fascismo e
meno che mai quella sindacal-corporativa”. Nel clima odierno, benché per più
faglie scricchiolante, il corporativismo di direbbe un’aberrazione, “fascista”.
Emilio Gentile, Storia
del fascismo – 13. Gerarchi, masse, popolo, GLF-“la Repubblica”, pp.
159, ill. € 14,90
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