Le radici dell’Olocausto in Polonia e Ucraina
“I pogrom in
Ucraina e Polonia alle origini del genocidio degli ebrei” è il sottotitolo. Di
un volume di ricerca documentaria. Che potrebbe – dovrebbe – riaprire la
questione delle origini dell’Olocausto, prima di Hitler.
Il genocidio prima
di Hitler era caduto in desuetudine, dopo lo “scandalo” Nolte, lo storico che
attribuiva al massacro turco degli armeni una prima idea di genocidio, di annientamento
di un popolo, poi germogliata nella mente di Hitler contro gli ebrei.
Veidlinger, professore di storia e studi giudaici all’università del Michigan,
non ha i limiti di Nolte – il sospetto, o la tentazione, di revisionismo: non fa
ipotesi, esamina numeri, eventi, modalità operative. La didascalia al sottotitolo
ne proclama il metodo: “Analisi dettagliate dei massacri avvenuti in Ucraina e
Polonia nel 1941”, nei paesi occupati dai tedeschi, ma a opera degli autoctoni.
I massacri sono del tipo che si è prodotto nella ex Jugoslavia alla dissoluzione
della federazione, ma di ampiezza e crudezza molto più ampia, scrive Veidlinger
nella sintesi introduttiva alle sue ricerche: “Circa un terzo delle vittime dell’Olocausto
furono uccise a distanza ravvicinata, vicine alle loro case, con la collaborazione
di persone che conoscevano, prima ancora che gran prte dei campi di sterminio entrassero
in funzione nel 1942”.
“I sopravvissuti a
questi massacri li chiamavano pogrom”, continua lo studioso. Collegavano
l’improvvisa recrudescenza dell’antisemitismo a un modello noto da gener
azioni, di furie improvvise antieb aiche, e soprattutto alle persecuzioni di
cui avevano più fresca memoria, del 1918-1921. Ma i pogrom di vent’anni
prima erano già stati di tipo particolare: non soltanto furie improvvise di
masse caotiche, “anche di azioni militari perpetrate da soldati addestrati”,
sia in Ucraina che in Polonia. I prototipi degli Einsatzkommandos o Einsatzgruppen, per lo più
composti anche sotto Hitler da baltici, ucraini e polacchi, che decimavano gli
ebrei ammassati nele piazze con armi dabraccio a ripetizione.
I pogrom
postbellici vengono solitamente spiegati con la paura del bolscevismo, continua
Veidlinger, con gli “eccessi del bolscevismo: la requisizione forzata dei beni
di proprietà privata, la guerra alla religione, gli arresti e le esecuzioni
degli oppositori politici”. Una sorta di transfert in realtà, una falsa giustificazione,
anche storica, di un odio immotivato. Di intensità ed effetti duraturi, lo
storico prova, al contrario: “Quanto è accaduto agli ebrei in Ucraina durante
la seconda guerra mondiale ha radici in ciò che era accaduto agli ebrei nella
stessa regione appena due decenni prima”.
Le Einsatzgruppen
che aprirono nel 1941 la caccia agli ebrei, nei paesi baltici, in Polona e in
Ucraina, vi trovarono modalità e attitudini già provate: “Quando arrivarono,
carichi di odio antibolscevico e ideologia antisemita”, a metà 1941, “i
tedeschi trovarono un terreno di caccia vecchio di decenni, dove l’uccisione di massa
di ebrei innocenti era impressa nella memoria collettiva, dove l’inimmaginabile
era già diventato realtà”. Veidlinger cita a questo proposito il monito di un
demografo, Jacob Lestschinsky, alla vigilia dell’invasione tedesca dell’Urss: “Il
«patrimonio di atrocità» lasciato dagli «orrori ucraini» del 1918-1921 non si è ancora del tutto rimarginato”.
Jeffrey
Veidlinger, L’Olocausto prima di Hitler, 1918-1921, Rizzoli, pp.
480 € 25
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