giovedì 6 aprile 2023

Letture - 516

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Ascendenze
– “Ben Pastor”, Maria Verbena Volpi Pastor, scrittrice di gialli e ghost strories ampiamente pubblicata, e premiata, in versione italiana, opera di traduttori professionali, si vuole scrittrice americana, anche se in America è poco pubblicata. Jhumpa Lahiri, scrittrice mainstream americana, premio Pulitzer, si vuole scrittrice italiana, la sua narrativa scrive in italiano, la lingua che ha adottato da un decennio – la cui traduzione in inglese vuole affidata a traduttori professionali.
 
Fascismo
- Malaparte lo vuole essenzialmente urbano, “il socialismo urbanizzato”, il potere della burocrazia – “Il Ballo al Cremlino”, p. 117. Trockij dice un Mussolini “ebreo, concionante, polemizzante, militarista, enfatico, orgoglioso, gaudente”, etc., “perché il trozkismo è il fascismo”. Invece, “dove è la città, il comunismo rapidamente deperisce. Fate di Parigi, di Londra, di Roma la capitale del comunismo, e il comunismo degenererà rapidamente in fascismo”.
 
Intelligence
– In voga, se ne fanno anche corsi e istituzioni universitarie e accademiche, si può dire il marchio del secolo, ma come indiscrezione (intercettazioni, rivelazioni, ricostruzioni) e come tecnica dell’informazione, o meglio della disinformacija, a fini pubblicitaria, non di verità. Una tecnica ora moltiplicata dai social.
Come raccolta politica di informazioni, su ambienti, persone, progetti ostili, o concorrenti, è indefinita – lo è sempre stata: non c’è congiura o attentato che non avvenga, anche con le
intelligence più attive. Antonio Pizzuto, lo scrittore che fu per una vita, da dirigente di Polizia, incaricato di tenere i rapporti con le Polizie degli Stati amici, lo dice in una piega seriosa del racconto satirico “Il principe Racoczi” (ripreso in “Due racconti di Sallino Sallini”, p. 9: “Come da una tonnellata di pechblenda si ricava soltanto qualche grammo soltanto di radium, così dalla massa di informazioni poste in giro si potevano  ricavare appena una o due notizie buone, ottenibili talvolta con scambi molto onerosi: per averne una discreta se ne dovevano dare quindici o venti meno pregiate e in certi periodi il valore di quelle buone aumentava ancora”. Si compilano schedari. Anche per facilitare gli scambi. Si aggiornano. E comunque “bisogna mantenere buoni rapporti con gli agenti nemici”. Anche perché i capi più avversi poi si parlano: “Non erano forse corrette e perfino cortesi in casa nostra, a suo tempo, le relazioni fra Crispi e Giolitti?”
I servizi più attivi, quelli americani, non prospettano mai un pericolo reale, e sono attivi solamente nelle guerre o complotti che attuano.
 
Manomorta
– Sarà il “sistema” nazionale, l’appropriazione dei beni altrui, da parte dello Stato, per farne merce politica, di scambio? L’ultima sarebbe quella delle borghesie meridionali – a carico loro. “Un sistema che ha prodotto una gigantesca manomorta pubblica”, scrive Alessandro Barbano, “L’inganno”, p. 92, è quello delle confische giudiziarie come attività di prevenzione contro le mafie. Gestite dal 2010 da un’Agenzia nazionale dei beni confiscati. A danno spesso anche di persone incensurate e incensurabili, e sempre senza nessun utile per lo Stato, come per le manomorte di appropriazione classica -le ecclesiastiche, le terre comuni, etc.. L’Agenzia non conosce peraltro il numero e la tipologia dei beni confiscati, né la loro destinazione. Che va in mano a commissari privati e privatissimi, nominati a caso, senza cioè dei criteri prestabiliti, a uzzo dei prefetti. Si possono confiscare i beni senza una condanna, in via preliminare. Nei casi noti di successiva assoluzione, sono stati restituiti senza più alcun valore, e in disarmo.
 
Mosca
– Era ancora “la Città Santa della Russia” per Malaparte in visita nel 1929, “l’antico e nobile limitare dell’Asia, la Terza Roma”. E in quanto allora bolscevica, sovietica, “capitale di un impero «continentale» di contadini, di soldati, d’impiegati, di studenti, di ebrei, di cosacchi, di tatari, dominato da un piccolo esercito di operai comunisti, pallidi e taciturni”. Con l’aggiunta: “Nel Cremlino, sull’antico trono degli Zar ortodossi, sedeva un uomo di bassa statura. Dalle braccia corte, dagli occhi nerissimi e lucenti. Il suo nome era: Stalin”. Ma, ancora in quegli anni, Mosca era “l’antica città ortodossa dalle mille chiese”. Dalle “mille cupole, coperte di maioliche verdi, rosse, gialle, turchine”. Alla cui ombra vegetavano ancora le case in legno risparmiate dall’incendio antinapoleonico del 1812.
 
Proust
- Sarà stato “sovietico” - il mondo che ha creato lo era? Così lo vuole Malaparte. Il mondo sovietico era “proustiano” già nel 1929, dopo solo un decennio di potere, subito dopo Lenin, prima di Stalin, per Malaparte, nel ritratto che di quella che sarà chiama la nomenklatura sovietica fa al primo capitolo de “Il ballo al Cremlino”, il romanzo-reportage rimasto incompiuto. Alle prima righe Malaparte presenta il. suo progetto come un quadro proustiano: “Un romanzo nel senso proustiano”. Rifacendosi al Proust di Thibaudet, al plan de desintéressement di cui Albert Thibaudet parla a proposito di Proust, dove Proust ha portato “l’analisi psicologica”, che “investe anche la morale”. Il tutto dominato dalla “fatalità” – “gli episodi di questa «cronaca di corte» sono legati da una fatalità che li convoglia”, “corpo sociale” più che individui. Al modo di Proust: “Come non è un individuo, uomo o donna, il barone Charlus e Swann o madame de Guermantes, Odette o Langeron, l’eroe dei romanzi di Proust, ma la società, il mondo della Parigi, quella nobiltà francese, parigina, cioè tutta una società, un corpo sociale”. Senza fare del moralismo – da qui il plan de désintéressement.
 
Sallino Sallini
– Lo pseudonimo scelto da Antonio Pizzuto quando ancora era in servizio nella Polizia di Stato è uno “spaventoso capobrigante italiano”. Vero? Englisch, “L’eros nella letteratura”, p. 231, ne fa un personaggio letterario. Wikipedia lo presenta così, con la copertina e il titolo di un libro: “Sallo Sallini, il più temibile brigante in Italia e Boemia”, sottotitolo “un romanzo di briganti e di fantasmi”. Opera di un F.F. Froelich, spiega un Carl Schopfer che lo edita. In realtà, sembrerebbe, opera dello stesso Schopfer, metà Ottocento circa, che ha prestato il suo nome di battesimo C(arl) F(riedrich) a un “Froelich” che vuole soltanto dire “allegro, cuor contento”.  
Ci sono invece vari Carl Froelich reali, senza il F.(riedrich). Uno è apprezzato passeggiatore nell’Appenzello, alcuni decenni prima di Robert Walser, un botanico. Il più famoso è un regista che piaceva a Hitler, in attività dal muto al 1944, autore peraltro di film apprezzati: “Giovinezza”, “Le cortigiane del Re Sole”. “I vinti”, “Heimat”, premiato a Venezia nel 1938 - e nel 1931, “Ragazze in uniforme”, il primo film forse delle pulsioni omoerotiche di quattro ragazze in collegio.
  
 
Sciascia – Il Tar del lazio respinge una richiesta di variazione anagrafica, del nome – che copre con omissis, ma s’indovina essere da Sciascià a Sciascia – di un ricorrente che si voleva contiguo di Sciascia, lo scrittore, e spiegava che il suo nome è di derivazione greco-albanese. Il Tar nega la derivazione, che invece asserisce essere araba. Basandosi sullo stesso Sciascia, con riferimento a quanto scrive in “La Sicilia come metafora”, dove spiega che il cognome non è greco (dove avrebbe il senso di “cattivo”) ma arabo. Senza semplificare di più. Mentre sarebbe semplice: deriva dal berbero in realtà. Si fa molta confusione nel Sud Italia sugli “arabi”, che per la gran parte erano berberi, sia quelli dell’occupazione del nono secolo, e degli emirati avventurosi sulle coste della Calabria e del Salento, che quelli del regno di Andalusia, e poi delle scorrerie saracene. Sciscì n berbero vuol dire berretto, e se ne fa uso idiomatico, per dire di un rapporto stretto, familiare o di amicizia: due teste e un berretto.
Nella forma Sciascia il nome si ritrova in Sicilia e in Calabria, nella forma Scisci in Sicilia e in Puglia.
 
Ucraina - La vita breve di Paul Celan Marino Freschi sintetizza così, sul “Venerdì di Repubblica”: “Era nato a Czernowitz nel 1920”. Quindi rumeno: “La città, la «piccola Vienna», fino al 1918 era stata asburgica, poi rumena, poi sovietica, ora ucraina”.
 
Leopoli, nome latino di Lemberg (tedesco), Lvov (polacco e ucraino), ha cambiato mano. È stata polacca fino al 1939, la seconda città polacca per popolazione e vivacità culturale, e anche commerciale. Polacca di lingua e tradizioni, con una minoranza di lingua ucraina nella periferia orientale, prossima ai campi. Passò nel 1939 all’Unione Sovietica, nel quadro della spartizione della Polonia con la Germania di Hitler (patto Ribbentrop-Molotov), e da Mosca assegnata amministrativamente all’Ucraina.


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