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Classicità
- “Avete mai visto ‘Cleopatra’ con Liz Taylor senza doppiaggio?
Sembra “Beautiful’”, Francesco Vezzoli.
Nazionalismi
– Due cosmopoliti, Giordano e il “franco-americano” Littell
“La Lettura” fa incontrare a Barcellona di Spagna in una profusa conversazione per
parlare (male) della Russia. “Ho letto Shevcenko nell’anno passato”, lo scrittore
Taras Shevchenko non il centrattacco di Berlusconi, russofono, “non l’avevo
mai fatto prima, ed è meraviglioso…”, dice Littell a Giordano: “Ma il vero passo
successivo per gli ucraini, a cui prima o poi arriveranno, è di rivendicare
come propri molti degli autori che sono considerati russi. Gogol’ ovviamente ma
non solo; Isaac Babel’ Vasilij Grossman, anche Michail Bulgakov”. Poi gli viene
un dubbio: “Con Bulgakov ci sono dei problemi. Poiché denigrava il nazionalismo
ucraino, ora vogliono chiudere la sua casa-museo a Kiev. Ma, se ci pensi,
quanti stronzi abbiamo nella letteratura francese? Prendi Louis-Ferdinand
Céline”.
Gli stronzi in letteratura
è una novità, potrebbe valere a Littell la posterità. Ma quando la Francia farà
guerra agli Stati Uniti, Littell dve avrà il monumento, sarà avocato dalla
Francia o dall’America?
Littell, che è
anche operatore umanitario, critica l’arte militare di colpire i civili. Che è
il modo di fare la guerra dei russi, dice: “L’uccisione dei civili, la tortura
e l’assassinio dei prigionieri, la scomparsa dei cadaveri dei loro stessi
soldati per evitare di registrarli; i bombardamenti di massa delle città, l’uso
di armi illegali come le bombe a grappolo e i missili termobarici”. Si è
dimenticato i russi che si mangiano, si mangiano i prigionieri e i loro stessi
commilitoni – ma è novità recente, del “New York Times”. Niente di questo in
America, spiegato a Giordano (che forse non ha afferrato bene l’inglese – o il
francese, in che lingua si parlavano), niente bombardamenti né armi illegali:
“Gli Stati Uniti sono andati fuori controllo con le torture in Afghanistan e in
Iraq ma è l’unico esempio che conosco, dopo la seconda guerra mondiale, in cui
degli eserciti occidentali hanno agito deliberatamente, per policy
esplicita, in violazione delle leggi internazionali”. Sì ma prima? Con i
bombardamenti a tappeto, quotidiani, dei civili, a grappolo, in Germania e
Italia? E in Giappone? Mai sentito del generale Curtis LeMay, “l’incendiario”, da
Guam a Hiroshima (l’Usbus
di Galbraith, United States Strategic Bombing Survey, ha accertato a fine guerra
l’inutilità militare dei bombardamenti: gli Alleati distrussero le città
tedesche e gli abitanti ma non l’industria bellica)? E dopo, in Vietnam col napalm, in Serbia con le bombe al neutrino, a
Guantanamo? O, per dire, della Francia in Indocina, o in Algeria, con Massu e
senza. La guerra è brutta. La guerra di civiltà è peggio.
Neologismi
– L’Italia ne è la fucina, secondo Palazzeschi (una
delle bizze raccolte in “Ieri, oggi e non… domani”: “Senza che nessuno se ne
sia accorto e a dispetto di tutti fu sempre un paese di precursori e avanguardisti
il nostro”. Ma non porta altri esempi – lo dice a proposito di “spogliarello”, il
romanesco dolce che tanto amava.
Nudo
– “Fra tutti gli animali della creazione il solo vestito
è l’uomo”, si sa, ma per Palazzeschi (Ieri, oggi e non … domani”, 35) è
diverso: “Ci vuol poco a capire che si tratta del più brutto e, per conseguenza,
il solo a godere di questo inestimabile privilegio. Viceversa, “quale motivo di
scandalo formano, intorno a noi, gli animali con la loro nudità: un bel
cavallo, un cane, un gatto, o altro meraviglioso e domestico? Godono di una
purità che con tutti i nostri cenci noi abbiamo perduto; e non sarà da ricercare
in questa mania del nascondere e coprire l’origine della corruzione e del
vizio? Che cosa ha mai questo nostro sciaguratissimo corpo di tanto odioso da
doversene vergognare, anche quando è bello?”
Palazzo
– Pasolini ne aveva fatto la metafora del potere –
riprendendolo da Guicciardini. Jhumpa Lahiri ci ha fatto la tesi di dottorato,
in Studi del Rinascimento. Ma del palazzo in senso proprio, palladiano. Il palazzo
italiano come lo immaginavano i drammaturghi giacobiti, della Restaurazione inglese.
Sempre nell’ottica, che poi sarà la sua come scrittrice, dell’interscambio culturale,
della possibilità e il senso dello scambio culturale. “Di gente come Inigo
Jones che viaggia in Italia”, spiega al “Guardian”, e “la faccia di un paese
cambia”. L’importazione dell’architettura palladiana essendo il “risultato di
un gruppetto di persone che fa un viaggio per diporto”.
Romanzo – Quello di Chesterston è “una narrazione fittizia (quasi variabilmente, ma non necessariamente, in prosa) in cui l’essenziale è che la storia non vi è raccontata in funzione della sua nuda incisività aneddotica, o dei paesaggi e delle visioni marginali che possono finirvi impigliati dentro, ma in funzione di uno studio delle differenze tra gli esseri umani”. Tra gli esseri e gli eventi. Altrimenti si avrebbe il romanzo come genere di tipi psicologici – anche se di avventure, orrori, mistero, fantasmi, crimini, soluti e insoluti, e romanticismi. Tutto quello che manca nella vita ordinaria e si ha voglia di immaginare.
O non uno studio, una moltiplicazione degli esseri umani – una gestazione, non necessariamente di gemellarità plurime, di gemelli non omozigoti.
Sartre – In malafede lo dice Chiaromonte, “Credere e non credere” nel 1971.
Cioè non lo dice, lo rappresenta. Nemmeno lo rappresenta direttamente, indirettamente: “La nostra non è un’epoca di fede, ma neppure
d’incredulità. È un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza, in
opposizione ad altre e, soprattutto, in mancanza di altre genuine”. Particolramente
scandalosa nel caso di Sartre, innominato, perché opportunistica. In effetti Sartre
non era un ideologo (lo era debole, palesemente controvoglia), ma uno
scrittore, incerto: si è voluto ideologo per bisogno di riconoscimento, in ciò
diminuendosi come scrittore – si rilegge sempre con interesse Camus, che invece
affrontò l’ostracismo comunista, si rilegge con più senso e anche gusto de
Beauvoir, che di Sartre fu l’alter ego dai vent’anni, senza bisogno di conformarsi.
A Auctoritates tanto tanto astute (“mi si nota di più se rifiuto il Nobel?”) e
dure (sovietismo) quanto caduche.
Spogliarello – “Quale scrittore non avrebbe voluto inventare un vocabolo così grazioso come questo”, si domanda Palazzeschi (“Ieri, oggi e non … domani”, 31): “Di un provincialismo così autentico, genuino, gustoso, e così irrimediabilmente italiano”.
Sciascia - In una delle ultime interviste, se non l’ultima, nel giugno del 1985, col “London Magazine”, Sciascia lamenta con l’intervistatore Ian Thomson una sorta di cattivo trattamento degli scrittori siciliani. Acculati alla mafia (evidentemente l’intervistato inglese insisteva su quel tasto), di cui hanno scritto poco o pochissimo, mente si tace della loro abilità di narratori, di racconti, narrazioni brevi. Ma è vero che Sciascia ha aperto il redditizio filone editoriale col successo del “Giorno della civetta”. Un doppio filone, imponendo in Italia anche il genere del giallo, fino ad allora molto marginale.
Stendhal – Fu bonapartista contro venti e tempeste, fino alla fine, anche se di Napoleone non ha poi scritto il romanzo che doveva essere il suo più voluminoso, l’avventura dei suoi anni migliori, in contrasto radicale con lo squallore, il ridicolo anche, che del campo di battaglia, il preferito del suo preferito, fa vedere al suo alter ego Fabrizio Del Dongo nella “Certosa di Parma”. Il romanzo è più vero della volontà?
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