L’Italia è nata male
“In
questo periodo l’Italia si trova in una condizione triste e pericolosa. Tutti
sono spaventati dalle funeste certezze dell’oggi e dalle ancor a più temibili
incertezze del domani”. Oggi nel 1866. Ma è solo la prima di endemiche
“condizioni tristi e pericolose”.
I
clericali sono “una classe permanente”. Una sorta di casta, ma continuamente
rinnovata: “Questa casta ha una storia e tradizioni tutte italiane, e perfino
un patriottismo tutto suo”. La borghesia è “la consorteria”, un comitato
d’affari. “Lo Stato italiano è disastroso e disastrato”, nel 1871: “Si mantiene
a stento solo schiacciando il paese sotto le imposte e quel tanto di ricchezza
che rimane a quest’ultimo serve per foraggiare la consorteria”. Le guerre del
1859 non sono d’indipendenza ma “dinastiche”. “In tutte le statistiche del
felice Regno d’Italia due dati spiccano con una semplicità e un’eloquenza
strordinarie: Popolazione, circa 25 milioni; Contribuenti delle imposte: circa
2 milioni”. Il Sud fiducioso è stato tradito, da Garibaldi – grandezza e
debolezza di Garibaldi. In brevi note molte verità sono scoperte. Caprera in un
paio di pagine è la sceneggiatura di un film di ore – un film verità.
Bakunin
passa in Italia, che gira e mobilita, tre anni, dal 1864 al 867. Ci giunge
“dopo una fuga rocambolesca dalla Siberia”, dov’era confinato. E dopo la fuga
si converte presto e si dedica al socialismo rivoluzionario. Ha cinquant’anni.
Non ha più denti. Appena entrato in Italia rende omaggio a Garibaldi, a
Caprera, per tre giorni. Poi visita Firenze. Rimarrà prevalentemente a Napoli.
Dove diviserà di tornare a vivere poco prima della morte nel 1876 - vivrà a
Napoli la vedova, con le figlie, le quali faranno parte consistente dell’alta
borghesia e degli studi accademici in città.
Lorenzo
Pezzica, l’archivista dell’anarchia, che ha recuperato gli articoli e le
lettere sull’Italia e li presenta, propone Bakunin come “filosofo politico,
storico, osservatore e interprete della realtà”. Filosofo no, non sembra, non
qui. Ma capiva quello che vedeva, in Italia per lo meno. Fin dal primo
articolo, del 1866, che individua il malessere dell’Italia risorgimentale, in
particolare del Mezzogiorno. L’unità monarchica è come un tappo messo alle
attese, dall’impegno dei giovani carbonari del 1830 alla rivoluzione del 1848,
popolare e repubblicana, cioè rivoluzionaria. Sulla spinta di Mazzini – di un
Mazzini lontano da quello che Bakunin aveva conosciuto a Londra, messianico. Il
disegno unitario è diventato politico e diplomatico, di furberie e disegni di
conquista. La scelta delle lettere documenta la debolezza, anzi l’evanescenza,
della sinistra democratica (mazziniana, garibaldina) subito dopo l’unità.
Prose
piane, che non infiammano. E ripetitive. Ma veridiche - purtroppo trascurate
dalla storiografia. Con un affascinante paratesto. Bakunin arriva in Italia, e
al socialismo, che ha cinquant’anni. E non ha più denti. Inseguito dalla nomea
di spia, diffusa a Parigi dall’ambasciatore russo per screditarlo – quante
smentite non dovrà promuovere, la più risentita di George Sand. Gigantesco, “un
mastodonte” per Herzen, “un manso” per Marx. Che gli fece una guerra costante,
fino a infangarlo, anche lui, come “spia del panslavismo”, dello zar di Russia.- Marx di cui Bakunin aveva tradotto il primo libro del “Capitale”, come
sempre entusiasta. La “fuga rocambolesca” dalla Siberia era in realtà la
decisione di tornare all’attività politica, sul solco ora, a 48 anni, del
socialismo rivoluzionario – al confino era protetto dalla famiglia influente. E
l’Italia era un po’ nel suo destino: il padre aveva studiato a Padova, e poi
aveva lavorato presso i consolati russi a Firenze, Napoli e Torino.
Michail
Bakunin, Viaggio in Italia,
eléuthera, pp. 172 € 16
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