Roma matrigna
Racconti aspri,
sotto l’ordinarietà, una quieta quotidianeità di personaggi, incontri, incroci,
scambi, eventi. Un racconto è degli
“invisibili”, di come si finisce sotto un ponte – nel caso una galleria
stradale, un sottopassagio. Altri di immigrati per qualche verso disastrati.
Racconti di
esclusione e non di inclusione, come i precedenti racconti “romani” della
stessa autrice. Di ordinaria esclusione: una lite, un commento, il condominio.
E di attimi fuggiti, anche presso gli integrati – il racconto lungo “Le feste
di P.”. Di una Roma non più benevola, come nei primi racconti “romani” di
Lahiri, ora palco inerte. Non più i suoi cieli, le piazze, gli alberi, i fiume,
i parchi, il garbo, ma sporcizia, vetri rotti, e gente distratta o inquieta,
ostile. Quale si vive oggi: una città non solo male amministrata e vecchia,
irrimediabilmente, ma senza più la caratteristica bonomia, anzi violenta a ogni
minimo contatto, anche solo visivo. La città “dell’acqua che sporca”, può dire
l’onesta lavoratrice immigrata da vent’anni a cui i bambini che accudisce possono
inviare “i bigliettini” dell’omonimo racconto per dire “non ci piaci”. Al
meglio è il finale, di manier a: “Che città di merda… Ma quant’è bella”.
Un’intera sezione,
la II, racconta “La scalinata”, il viale Glorioso a Trastevere, dove
l’“immigrata” intellettuale Lahiri ha scelto di abitare, in limnguistiica) LaHIRI HA ABITATO, in precedenza
tema di divagazioni felici, che ora espone brutture: sporcizia, urla, vetri
rotti di torme di ragazzi che ci bivaccano la notte, ladri camuffati da
carabinieri, bande adolescenti che si divertono con gli scippi. Popolate da
persone per qualche verso anch’esse escluse: la colf che faticosamente la
risale all’alba per andare la lavoro, la vedova, vecchia e perciò umiliata, la
ragazza (del liceo soprastante) a scuola isolata, non dalle compagne, dalla
famiglia di un “comunita” diversa (mai “islamica”….), l’espatriata (una sorta
di autoritratto).
Una raccolta
omogenea, raggruppando anche racconti già variamente editi, in pubblicazioni
tematiche di altro genere. Racconti di malumore, anche solo per sentirsi
apostrofare “bella moretta” dall’oste. Jhumpa Lahiri, già felicemente immersa
nel tepore romano, si scopre assediata, dalle mosche e le zanzare, “anche d’inverno”,
e dalla maleducazione, dall’indifferenza. Non benevola. I rarconti sono
diventati “romani” nel titolo della raccolta nel senso di fare i conti con la
città.
Materia greve –
romana allora in senso di greve. E anche il tratto, la scrittura. Roma pesa,
non più sogno, giardino di libertà, ma incubo, seppure a modo suo, svagato,
indifferente.
Qualche racconto è
meno “impegnato” – meno corrivo, o politicamente corretto, scontato. “La
ragazza” per esempio, quella della “comunità” diversa, che l’incubo delle nozze
con uno sconosciuto, fra dieci anni o cinque, priva delle chiacchiere con le
comoagne, della gioia di vivere. Il racconto lungo “Le feste di P.”, dove pure
nulla succede, richiama la passante di Baudelaire, che regala al poeta
un’ebbrezza duratura, un’ossessione lieve o vita immaginaria (“fuggitiva
bellezza,\ il cui sguardo m’ha fatto
d’improvviso rinascere,\ non ti vedrò più che nell’eternità?”) – e il Kafka di
“Meditazione”, il leitmotiv della sua prima raccolta di racconti: il rifiuto
del contatto per programma, quasi un’infezione.
La malinconia si
direbbe il leitmotiv della raccolta: il tema ricorrente è del rapporto
coniugale muto, se non infranto. Non solo con la città. Ma questo è il tema di
Lahiri prima dei libri romani: le famiglie. I genitori, i figli, i coniugi, le
curiosità. gli amori, i languori, le paure. Di una scrittrice che s’indovina di
forte temperamento, se non altro per la scelta di scrivere in italiano – di famiglia
indiana, nata in Inghilterra, cresciuta, istruita e affermata negli Stati
Uniti, sposata con un latinoamericano, narratrice di successo, ora
in lingua italiana, insegnante a Princeton, residente (quando può) a Roma. Ma
ossessionata dal tempo che passa, dal mutamento, anche impercettibile.
Jhumpa Lahiri, Racconti
romani, Guanda, pp. 257 € 17
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