martedì 11 aprile 2023

Secondi pensieri - 511

zeulig

Fede - Si vuole la fede universale. Ma i testi sacri non dividono, più delle liturgie? Per non dire delle pratiche di fede per censo o condizione sociale, aristocratica (danarosa) come un tempo, oppure popolare come ora si vuole – ma l’aristocrazia non escludeva il popolo, che viveva per farsi aristocratico: il populismo non è buona religione, quando lo è stato, il primo Lutero, subito ha deragliato.

La fede non è semplice.


Fede e malafede “La nostra non è un’epoca di fede, ma neppure d’incredulità. È un’epoca di malafede, cioè di credenze mantenute a forza, in opposizione ad altre e, soprattutto, in mancanza di altre genuine”, Nicola Chiaromonte, “Credere e non credere”, 1971. Detto della fede come ideologia, la fede politica. Ma può valere per le fede religiosa.
 
Liturgia – Non c’è religione senza, la religione è tradizione, radicamento.
Abolendola di fatto il Concilio Vaticano II ha ristretto la chiesa – le chiese, i sacerdoti, la stessa preghiera, e i sacramenti - a uffici generici. Di battesimi, matrimoni, funerali, sempre meno, una sorta di stato civile un po’ meno asettico o generico. E se il parroco ha tempo e voglia di un po’ di opere di bene.
Un’abolizione che lascia la chiesa nuda. I suoi sacerdoti, vescovi, cardinali sono una sorta di figure buffe, per lo più adipose, che difficilmente ispirano spiritualità, deprivati della liturgia: sono solo uomini solitamente solitari, poco ispirati e ispiranti. Non sono più “sacerdoti”, ma mini-sindaci o podestà, amministratori dell’ufficio religioso.
 
Formalmente sono liturgici anche i riti postconciliari. Ma, curiosamene, al modo come la parola e il concetto si elaborarono agli inizi, come adempimento di un servizio. Non cerimonia o esercizio di fede, ma prestazione. È noto il significato originario della parola, meglio sintetizzato da Luigi Einaudi, nei “Miti e paradossi della giustizia fiscale”, della liturgia in Atene come adempimento fiscale, una sorta di “sostituto d’imposta”: “Le imposte dirette erano considerate incompatibili coni la libertà e con la qualità di cittadino. Solo gli stranieri, le cortigiane e gli schiavi vi erano sottoposti. Gli stranieri permanentemente domiciliati nella città pagavano il «métoikion», a guisa di compenso per i privilegi di cui essi godevano nella città. Era un pesante uniforme testatico, a cui si aggiungevano particolari tributi, ad es. per il diritto di lavorare sul mercato. Anche le cortigiane erano soggette ad un tributo fisso. Più incerta era la situazione degli schiavi e dei liberti”. Per i cittadini, le imposte erano sostituite dalle liturgie, volontarie ma obbligate, una sorta di proclamazione periodica di fede patria.  
“Le liturgie ordinarie… sostituivano, per i cittadini, le imposte da cui erano immuni. Distinte in varie sottospecie, come le «coregie» destinate a coprire le spese dei giuochi drammatici e musicali e delle danze, le «gimnasiarchie» a copertura dei giuochi atletici, l’«estiasi», a sopperimento delle spese delle pubbliche cene a carattere religioso delle tribù, poggiavano sul concetto che ad ogni spesa si dovesse provvedere con una particolare entrata all’uopo stabilita e sovratutto facevano affidamento sull’ambizione tradizionale nei ricchi greci di fare buon uso della propria ricchezza e sul desiderio di rendersi popolari con generose largizioni ad incoraggiamento di feste religiose, giochi e spettacoli”.

“Le liturgie ordinarie… sostituivano, per i cittadini, le imposte da cui erano immuni. Distinte in varie sottospecie, come le «coregie» destinate a coprire le spese dei giuochi drammatici e musicali e delle danze, le «gimnasiarchie» a copertura dei giuochi atletici, l’«estiasi», a sopperimento delle spese delle pubbliche cene a carattere religioso delle tribù, poggiavano sul concetto che ad ogni spesa si dovesse provvedere con una particolare entrata all’uopo stabilita e sovratutto facevano affidamento sull’ambizione tradizionale nei ricchi greci di fare buon uso della propria ricchezza e sul desiderio di rendersi popolari con generose largizioni ad incoraggiamento di feste religiose, giochi e spettacoli”.
Ma più che un obbligo, era un adempimento spontaneo, un gesto fatto in coscienza a anche a propria soddisfazione: “La liturgia era dunque in origine e rimase sempre in principio una oblazione spontanea. Lo spirito di emulazione tra i ricchi, la brama di cattivarsi il favore del popolo innanzi alle elezioni inducevano non di rado i ricchi greci ad eccedere, nelle pubbliche largizioni, i limiti considerati normali dall'opinione generale. Testimonianza di volta in volta di patriottico amore alla cosa pubblica e della sua degenerazione demagogica, le liturgie non sempre bastavano a coprire la spesa, sovratutto quando essa assumeva dimensioni insolite”.
Finché non subentra la stanchezza, e la disorganizzazione. E così “all’oblazione spontanea sottentrava la coazione”. In un primo tempo “morale. Si compilavano liste dei ricchi messi a contributo; problema sempre arduo, a causa del piccolo numero dei chiamati e della gravezza del contributo”. E si finisce per farne un’operazione di semplice spesa, con l’istituto dell’“antidati”, la delega del servizio, retribuita. La funzione liturgica essendo ritenuta un impiccio veniva confidata a un altro soggetto, in qualche modo compensato per questo. Resta, nella liturgia postconciliare, una forma soggettiva di esercizio della fede, oppure è sociale, di gruppo, di classe? La lingua sacra – ieratica, immutabile, universale – è impraticabile perché unisce e non divide? La fede non è immutabile?

“Qualcosa di simile a questo apparecchio si può immaginare nella filosofia”, è la prima delle “Tesi di filosofia della storia” di Walter Benjamin. L’apparecchio è quello inventato nel 1770 dal barone ungherese von Kempelen per l’imperatrice Maria Teresa d’Austria, che di dilettava, oltre che di politica, di magnetismo e magia. Un apparecchio che vinceva sempre a scacchi. Il barone poi lo vendette a un Maelzel, “un inventore tedesco” naturalmente, che ci ricavò una piccola fortuna nelle fiere negli Stati Uniti. E. A. Poe incuriosito ci scriverà sopra una sorta di reportage, “Maelzel’s Chess Player”. C’era un trucco, spiega Benjamin: “Un fantoccio vestito da turco, con una pipa in bocca, sedeva di fronte alla scacchiera, poggiata su un’ampia tavola. Un sistema di specchi suscitava l’illusione che questa tavola fosse trasparente da tutte le parti. In realtà (sotto il ripiano, n.d.r.) c’era accoccolato un nano gobbo, che era un asso nel gioco degli scacchi e che guidava per mezzo di fili la mano del burattino”. Questo per dire, conclude la prima “tesi”: “Vincere deve sempre il fantoccio chiamato «materialismo storico». Esso può farcela senz’altro con chiunque se prende al suo servizio la teologia, che oggi, com’è noto, è piccola e brutta, e che non deve farsi scorgere da nessuno”. Oggi nel 1933, o 1934. Il sacro è in ritirata da tempo.


Cristina Campo poteva vedere nell’abbandono della liturgia al Concilio Vaticano II “i terrificanti, estremi pericoli di un mondo divenuto aliturgico”. Senza cioè più radici, quindi senza regole. Se non proprie - la società dei diritti oggi, che si vuole libertaria mentre distrugge la trama che la libertà sottende, di reti, ponti, dialoghi.


Occidente – Nacque con Mosè, con l’“Esodo”, è tesi ora ripresa dall’egittologo e studioso del monoteismo Jan Assmann, maturata in tarda età – come dire: frutto di una grande esperienza. Non quindi con Omero, non con Erodoto, non con lo stesso Egitto. Non nella Mesopotamia di Giovanni  Pettinato - anche se è un po’ Oriente. Un Occidente dalle plurime radici, anche se tutte localizzate nel Mediterraneo orientale.
L’Occidente nasce dal monoteismo mosaico, dalla formazione, per quanto recalcitrante, del popolo di Israele? Delle due componenti storiche dell’Occidente, anche cristiano, l’ellenica e la galilea o semita, quest’ultima si fa preponderante. Ma più per un fatto etnico, tribale – il ragionamento di Assman passa dalla storia al mito, e quindi autocertificato.
La trasposizione non regge storicamente, a una minima riflessione – l’Occidente è storia, non mito. E si espone a un tribalismo di ritorno, violento, non dissimulato. È come se si volesse giocare d’azzardo. Per non dire dell’appiattimento scientifico. Assman rimprovera  Freud di avere “limitato” Mosè, le peregrinazioni dell’“Esodo”, i quarant’anni o quanti furono di risse tribali, la verità storica. La verità storica è un’ubbia, non può essere “accertata”, tantomeno nel caso di Mosé, Assmann ne conviene. Ma il mito sì. Ora, su chi ha operato il mito Esodo? Nemmeno sul popolo ebraico.
L’Occidente, in crisi come ideologia da tempo (democrazia, libertà, individuo, etc.) e ora perfino come geografia, è sotto attacco. Ma dall’interno, si dissolve. Con un secolo forse di ritardo: è sopravvissuto nel Novecento per la sfida del bolscevismo, della potenza sovietica -  per pochi anni per quella nazista.
 
Storia – L’angelo della storia che guarda all’indietro sempre si fa risalire a Walter Benjamin. Ma è già in Dante, al canto XX dell’“Inferno”, dove il poeta iperprofetico ha relegato chi profetizzava, Tiresia per esempio. Manto, la figlia di Tiresia, ha il viso rivoltato all’indietro. Per effetto del contrappasso – chi guarda avanti è condannato a guardare indietro, oppure viceversa. Ma lo stesso si può dire dell’angelo di Benjamin, non esente da millenarismi.
Nella nona “Tesi di filosofia della storia” Benjamin lega l’“Angelus Novus” di Klee, l’immagine che aveva voluto per sé e possedeva, come l’“angelo della storia”: “Un dipinto di Klee intitolato Angelus Novus mostra un angelo che sembra in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’Angelo della storia deve avere questo aspetto. Il suo volto è rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, lui vede una sola catastrofe, che continua ad accumulare rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. L’angelo vorrebbe trattenersi, risvegliare i morti e riparare ciò che è stato infranto. Ma una tempesta spira dal Paradiso, e ha ingabbiato le sue ali con tale violenza che l’angelo non può più chiuderle. La tempesta lo spinge irresistibile verso il futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo di rovine davanti a lui cresce verso il cielo. Questa tempesta è ciò che chiamiamo progresso”.
 
“L’eccesso di storia è un danno per la vita: noi dobbiamo avere coscienza storica, ma quanto basta per la vita”. Ovvio. Ma: “Noi soffriamo di una febbre storica”. La seconda Inattuale di Nietzsche   quanto attuale? Si può fare il liceo classico senza sapere nulla del Rinascimento: che storia è questa,  dell’Italia, dell’Europa?

zeulig@antiit.eu

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