Secondi pensieri - 512
zeulig
Amore – È un rapporto. Senza
un ruolo attivo della donna, dice Madame de Lambert nelle “Riflessioni sulle donne”,
la marchesa, dell’Altro si direbbe oggi, “l’amore non è piccante; sembra che
sia l’opera della natura, e non quello dell’amante”.
L’amore è opera
degli amanti. “È un’arte”, dice la marchesa, per la quale ci vorrebbe una
scuola: “Ci sono tante scuole create per coltivare lo spirito, perché non
averne una per coltivare il cuore? È un’arte che è stata dimenticata” – già a
fine Seicento. Benché, più di altre, andrebbe coltivata: “Le passioni sono
corde, che hanno bisogno della mano di un grande maestro per essere toccate”.
Mentre succede il contrario. Allora, nel Seicento, probabilmente come sempre di
più successivamente, a parte la parentesi romantica: “L’amore non era denigrato
dagli Antichi come lo è oggi….Platone ha un grande rispetto per questo
sentimento: quando ne parla, la sua immaginazione si scalda, lo stile s’imbellisce;
quando parla di un uno colpito: Questo amante, dice, la cui perona è
sacra, etc. Chiama gli amanti amici divini, ispirati dagli
dei”.
Ma non era un amore
sessuale, come poi con l’America e Hollywood: “Gli Antichi non credevano che il
piacere dovesse essere il primo obiettivo dell’amore”.
L’amore, però, è resistenza più che
accettazione, secondo la marchesa: “La passione si spegne
appena è soddisfatta. L’amore, senza timori e senza desiderio, è senz’anima”.
Montaigne ne parla
come di un trasporto ingovernabile: “Mi sentivo rapito, benché vivo e sveglio (tout
vivant et tout voyant). Vedevo la mia ragione e la mia coscienza ritirarsi,
mettersi da parte, e il fuoco della mia immaginazione mi trasportava fuori di
me stesso”, Un fatto fisico, di ormoni.
Un fatto
spirituale nel Tasso, al canto II, 16 del poema, dove il giovane Olindo - “che
modesto è sì com’essa è bella”, essa Sofronia - “brama assai, poco spera, e
nulla chiede”.
Un esercizio
onanistico? Sofronia, invece, “vergine era fra lor di già matura\ verginità”.
Un trucido Shakespeare del sonetto trenta
e qualcosa - se è lui (che astuzia quell’esserci e non esserci) – vuole il suo
amore una tomba, adorna dei trofei dei vecchi amanti. L’amore sarebbe malsano? Esaltazione, per inconfessata avidità: il
Pirro di Racine è consumato da più fuochi di quanti ne aveva accesi. O era
Andromaca che si consumava? Andromaca è, come tutti i machos, di solito
uomini, una combattente - combatte gli uomini, la moglie e madre esemplare, i
ruoli erano in antico ambivalenti.
Sono gli uomini, sentimentali, che
eternizzano l’amore. Sono affaticati, gli uomini, e quindi ansiosi, possessivi,
inopportuni, insistenti, sudano, telefonano, mandano gli amici. Le donne per un
po’ ci stanno ma poi si stancano. Essendo pratiche e quindi ragionative - è la
schiavitù all’origine della filosofia? la vera filosofia si nasconde, e la
cattività spinge a non dichiararsi – rimettono le cose a posto: una toccatina
non è la fine del mondo, il resto è convenienza, la sottigliezza non s’addice
al cuore.
“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”, dell’amata
che non ama, dice Pavese, suicida. Gli occhi di chi? Dell’amata che non ama? La
mancanza d’amore può uccidere, ma gli altri, non se stessi.
Amore e odio è altro cliché. “L’Amore
viene dall’odio” è “opera mediocrissima” già in Stendhal. Raro è il suicidio
per il bene di chi si ama, spiega bene Rensi, l’egoismo viene prima. Per amore
si può anzi decidere di voler vivere, costi quello che costi. Se ci si uccide è
per astio - o è una bestemmia contro Dio o l’esistenza (una vendetta contro se
stessi, il suicidio è sempre odio di sé).
L’amore è “amore amato”, spiegava bene Ramon Llull, italianizzato in Raimondo Lullo, che pure
era un teologo, al tempo di Dante.
Dio – “Era dottrina
dei nostri maggiori\ che è per gli dei che si vive,\ essi ci hanno rimeritato\
(con il loro sacrificio ci han dato la vita)” – “Coloquios y
DoctrinaChristiana”, in Miguel León-Portilla, “Il rovescio della conquista”, p.
28. Così confidavano i savi e i sacerdoti aztechi sopravvissuti alla conquista
del Messico ai frati francescani accorsi nel 1540 nella Nuova Spagna. È però
vero che Moctezuma e i suoi savi e sacerdoti avevano visto in Cortès e i suoi
uomini degli inviati divini.
Felicità – Gianfranco
Ravasi sceglie di legarla a due poeti liguri, cioè “sommessi” (discreti,
contegnosi, non espansivi…), Montale e Sbarbaro. Alle immagini che ne ebbero in
gioventù: “Felicità raggiuta, si cammina\ per te sul fil di lama.\ Agli occhi
sei barlume che vacilla,\ al piede, teso ghiaccio che s’incrina”, Montale,
“Ossi di seppia” – e ancora: “Nulla paga
il pianto del bambino\ a cui fugge il pallone tra le case”. Sbarbaro:
“Felicità, ti ho riconosciuta al fruscio con cui ti allontanavi”. Immagini di
fragilità. Di “gracilità strutturale” dice Ravasi, che pure è cardinale, uomo
di fede.
Europa – Era il Vecchio
Mondo già nel Cinquecento.
Ridicolo – Se ne è persa
la cognizione, nella cura della persona, l’abbigliamento, le posture,
soprattutto l’eloquio, specie in tv, specchio dei tempi, e nei social, di parole
o di immagini – e le interviste seriose a una pagina a una squinzia, che parla
come Freud, o a un bullo, gente che parla come i tatuaggi. Senza più misura.
Per non dire degli onorevoli che dicono le frasi fatte, guardando fisso l’obiettivo,
veti secondi esatti.
Se ne perde il
senso con la libertà – la libertà è liberare i buoi?
Il senso del
ridicolo è stato forte quando la società era rigida. Per esempio la Francia di
fine Seicento-primo Settecento – se ne è fatto anche un film, “Ridicule”. Si
esercitava allora contro la saccenteria – oggi si direbbe l’intellettualità. Quindi
retrogrado. Anche perché è arbitrario – non ha canoni: dipende dai gusti, dalla
disposizione d’animo di ognuno, sia pure dei gruppi prevalenti, e dell’epoca,
dai linguaggi dell’epoca. Ma la sua assenza – la mancanza di una sensibilità
del ridicolo, del cosiddetto “senso del limite” - è generazionale e sociale: è
il terrapiattismo della parola, della démarche (contegno), dello
spirito.
zeulig@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento