sabato 22 aprile 2023

Sherlock Holmes rivela Gesù

L’altra settimana il “New Yorker” ha scelto di commemorare la Pasqua dei cristiani con un vecchio saggio di Gopnik, la sua firma di punta. Che pone la questione di cosa è reale e cosa no nei vangeli. Partendo dalla constatazione che il racconto di Gesù è “una costante editoriale e una passione popolare”.
Se non che Gopnik pone i problemi, e ne presenta le interpretazioni più aggionate, ma sulla linea delle “toledoth Yesu”, i commenti puttosto aspri, quando non satirici o blasfemi, sulla vita di Gesù. Che Riccardo Calimani, “Gesù ebreo”, dice “racconti di matrice ebraica carichi di diffamazioni contro Gesù Cristo e contro il primo cristianesimo, una sorta di antivangelo a uso interno, ironico, dissacrante, sarcastico” – interno, cioè familiare (racconti e interiezioni correnti anche nell’ebraismo romano, fra gli “ebrei del papa”, il rabbino Di Segni ne aveva fatto a suo tempo una raccolta e uno studio, “Il vangelo del Ghetto”). Il che non è strano, molte vite di Gesù sono di questo tipo. Strano è che Gopnik, che la sua biografia dice di famiglia ebraica, mostra di farlo inavvertitamente, involontariamente.
Non ci sono ingiurie in questo scritto, tanto meno bestemmie. C’è un divertito excursus delle fonti storiche su Gesù, fino alle più recenti – come sono cambiate. E un paio di divertiti lapsus di traduzione, errori che si sono tramandati par secoli, come verità di fede. Senza infierire, anzi con apparente maganimità: “Le intrattabili complessità di fatto producono le inevitabili ambiguità di fede. Più si sa, meno si sa”. Senza ironia? L’invitabile apparentamento con Buddha qui viene esteso a Gandhi e a Sherlock Holmes. Non c’è una maniera laica di approcciare vita e opere di Gesù – che qui non è mai Cristo, come fu a Pasqua?
Adam Gopnik, What did Jesus do?, “The New Yorker”, 9 aprile 2023

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