Giuseppe Leuzzi
“La
mafia dà lavoro, l’antimafia lo toglie: è il luogo comune preferito dai mafiosi”,
Luigi Ferrarella, “Corriere della sera”, 19 maggio. Dei mafiosi non sappiamo ma
dell’antimafia sì. Ma l’antimafia da più lavoro della mafia, molto di più.
Un
Gianforte, governatore del Montana negli Stati Uniti, prende la rivoluzionaria
decisione di vietare TikTok, perché “i suoi dati vanno a paesi nemici”, cioè al
governo cinese. Gianforte fa per questo cronaca anche in Italia, ma nessuno si
chiede se è italo-americano - lo è – né da dove veniva il babbo o il nonno.
L’integrazione diventa “normale” anche per l’Italia, che usava rincorrere gli
oriundi anche alla quarta o quinta generazione – se si si facevano onore, nello
sport, lo spettacolo, la politica, gli affari. L’integrazione non è un percorso
difficile, nemmeno complesso.
Galliani,
titolare di una Elettronica Industriale, ha da Berlusconi l’incarico di creare
una rete nazionale di ripetitori. “Fu il mio periodo eroico”, spiega a Cazzullo
sul “Corriere della sera”: “Ho comprato pezzi di colline e di montagne in quattromila
comuni. Al Sud sul rogito spesso il venditore scriveva: benestante”. Verro.
A
Cazzullo che gli chiede di Dell’Utri – “è stato scritto che (Fedele)
Confalonieri è il lato bianco del berlusconismo, e (Marcello) Dell’Utri,
condannato per mafia, quello nero” - Galliani può rispondere: “A parte il fatto
che il concorso esterno esiste solo in Italia, Marcello è nato a Palermo,
Confalonieri a Milano e io a Monza. La cosa è tutta qui”.
Sudismi\sadismi
Aldo Grasso fa l’elogio di
“Che tempo che fa”, la trasmissione tv di Fabio Fazio, e conclude: “Ultimo elemento
rilevante: Fazio funziona meglio al Nord (18 per cento di share in Liguria) che
al Centro Sud. Altro elemento che ne definisce l’unicità”. Cioè non solo il valore commerciale
(pubblicitario) ma anche il pregio.
La persistenza – radici (endurance)
“Per
‘Time’ era simbolo dei cervelli in fuga. Ora dice: «La ‘Ndrangheta esiste, ma
l’America è più violenta»”. Dice Sandra Savaglio a Elena Dusi su “la Repubblica”
– che titola: “Io, astrofisica negli Usa, sono tornata in Calabria perché
cambiare si può”. Lei del resto viene da Marano Marchesato, dove “per fortuna
negli anni ’70 la luce non aveva ancora preso il sopravvento sul buio”. Dove c’era
poco “consumo del territorio”, poche case. E il papà aveva comprato un
telescopio. Una ribelle, insomma, di carattere – figlia del papa?
Sandra
Savaglio fu copertina di “Time” nel 2006, come simbolo di una generazione di
ricercatori europei emigrati volontari negli Usa. Ma preso è passata in
Germania, al Max Planck Institut, il Cnr tedesco, e anche di questo non ha
buona memoria: “La Germania può essere maschilista: denunciai i soprusi contro
una ricercatrice e mi feci dei nemici”. Il mondo è pieno di sorprese. Ed è
tornata in Italia, in Calabria, a insegnare a Cosenza-Rende.
Le radici non muoiono – sono
come il carattere, incancellabile. Anche a distanza possono insorgere. Nelle
memorie, le forme verbali, espressive (dialetto), le parentele, le nostalgie.
Che operano per gli emigrati, e per chi è rimasto in terra di emigrazione:
segni di resilienza, come usa dire, di continuità, di radicamento nello
sradicamento, di stanzialità, di restanza come dice l’antropologo Teti. Più che
di identità, come vorrebbe l’ideologia di moda, che invece è fluida –
conformabile. Le forme dilettali (idiomatiche, storiche), il rapporto
genitoriale forte, gli usi culinari (i cibi ma anche, al Sud, il pranzo in
comune), e anche la nostalgia, per quanto dissipati o mal riposte, continuano a
interagire. Sopravanzando anche le delusioni: è sempre difficile che i luoghi d’origine
colmino le attese (ma questo è vero anche per il turista, una delle cui regole-base
è non tornare mai sui luoghi di una grande emozione). C’è una persistenza delle
emozioni.
La persistenza è legata alle
orini extraurbane – anche questa è una costante. La città di origine non la stessa
emprise.
C’è nello sradicamento, nell’atto
di emigrare, perfino dopo una generazione, due, una sorta di schizofrenia
inconscia. Tra il territorio diverso, anche a distanza non oceanica, la lingua
diversa naturalmente, i tempi, i modi, il diverso flusso dello stesso eloquio –
l’italiano, per esempio, è diverso a Napoli e a Roma, o a Firenze, o a Torino.
Oltre alle inevitabili divergenze di socialità, di attitudinalità. Un
estraniamento che si compensa intimamente con la persistenza, più o meno
riflessa – va anche in automatico. Anche quando è rifiutata – quando l’assimilazione
è radicale. Sono ambivalenze ritornanti nella letteratura degli esuli, anche se
volontari e non forzati – degli esuli sull’esilio.
Ove questa ambivalenza manca,
svanisce, si resta indifesi. Si rileva, per esempio, in Paul Celan, poeta tedesco
in terra francese, che ha trascurato tutto della Romania, dove è nato e
cresciuto fino ai vent’anni, e probabilmente delle origini ebraiche – non ce ne
sono trace nella sua poesia.
Un radicamento non legato
alla nostalgia. Che è un altro stato d’animo. Voluto e non voluto – inconscio.
Anche malgrado se stessi. Come un substrato, in un formazione tellurica
multistrato.
Piove sul bagnato
Circolano,
dopo le alluvioni in Emilia-Romagna i dati Ispra (Istituto superiore per la
protezione e la ricerca ambientale) sul “consume di suolo”, a uso edificatorio.
Le più alte percentuali di consumo annuo sono delle regioni più ricche e industrializzate.
L’Emilia-Romagna è la quarta regione in Italia per “consumo di suolo”, dopo
Lombardia, Veneto e Campania. Terza tra le regioni che hanno registrato
l’incremento maggiore negli ultimi tre anni, 2020-2022, dopo Lombardia e Veneto.
Tra le città, Ravenna è stata seconda, negli ultimi anni, dietro Roma.
Il
Sud, eccetto la Campania (la aree metropolitane di Napoli e Caserta), viene agli
ultimi posti, con percentuali irrisorie.
Piove
sul bagnato non si può dire, poiché in Romagna è stato un disastro, ma il tema
non è da scartare. Tra delocalizzazioni e migrazioni, interne ed esterne,
crescere produttivamente per contiguità implica risparmi aziendali. Ma minaccia
il territorio. Il ricacolo dei costi aziendali\locali che tenga conto anche dei
rischi ambientali legati al consumo del suolo contribuirebbe forse
proficuamente ai costi aziendali e al riequilibrio territoriale.
Milano
Nelle tante celebrazioni di
Scalfari non si è detta una cosa pure singolare: che il suo giornale, pur
conoscendo Milano, di cui era stato anche deputato, aveva volute romano. Una
sfida tanto più ardua progettando, da Roma all’editoria milanese. E c’era anche
riuscito, non fosse stato rimosso da “Milano” – dai debiti, suoi personali e di
Carlo Caracciolo, con De Benedetti (il declino di “Repubblica” cominciò con la
cessione forzosa).
Roberto De Zerbi, allenatore
di calcio, è divenuto famoso in pochi mesi al Brighton, in Inghilterra, un club
si serie B, in Premier League solo da sei anni. Consacrato ieri da Guardiola: “Il
suo Brighton crea 20-25 occasioni a partita. Monopolizza il pallone come non
vedevo da tempo. È unico, come un ristorante stellato Michelin”. De Zerbi la
Procura antimafia di Milano, Boccassini e Storari, cinque anni fa lo voleva in
carcere, con l’accusa di avere preso in nero 15.050 euro dal Foggia Calcio. Un’elemosina - per un
allenatore di calcio una vergona. Poi la cosa finì nel nulla, insieme con i fulmini sul Foggia Calcio.
De
Zerbi è di Brescia, ma di papà calabrese. E allenava il Palermo e il Benevento,
dopo il Foggia.
Che ci azzecca l’antimafia di Milano col Foggia
Calcio? Ci azzecca perché uno del Foggia Calcio pretendeva di fare l’imprenditore
a Milano. Un mafioso per definizione, anche se senza interfaccia milanesi,
vittime o complici. L’antimafia di Milano è durissima, eccetto che con i
milanesi – mai nessun condannato, nemmeno uno inquisito.
Piero Amara, un consulente dell’ufficio
legale dell’Eni, persa la consulenza si vendicò montando un caso Eni-Nigeria,
di tangenti multimilionarie, poi sgonfiato, e una loggia massonica coperta
“Ungheria”. Ricevendo credito dallo stesso giudice Storari, passato
dall’antimafia agli affari correnti. Che ci ha prosperato nei media, diffondendo
i nomi della loggia segreta, in massonico numero di 66, attraverso il suo
sodale al Csm, Davigo. Ora Amara, messinese, dovrà risarcire i 66 che ha
calunniato. Storari e Davigo, lombardi, no – ogni tanto se ne chiede una
sanzione al Csm, ma vengono sempre assolti.
Maestro
di Resistenza il 25 aprile, con accenti di fuoco - “affila il colpo”, assicura
il “Corriere della sera” – il sindaco Sala. Uno degli artefici dello spolpamento
Telecom-Tim. Rimesso in carriera da Letizia Moratti, quando era sindaca, berlusconiana
- una cui “Milano” ha negato la partecipazione al 25 aprile.
“Nelle
strade di Milano sfilano in 100 mila”, strilla il “Corriere della sera” per il
25 aprile. Un miracolo, in effetti, in una
città deserta dalle tredici di venerdì 21, causa ponte.
Milano
è “la metafora dell’amore” per i Baustelle, band di origini toscane. Non
è vero, non ci sono grandi storie passionali, i narratori milanesi non ne
hanno, Porta, Manzoni, Gadda, Scerbanenco, Arbasino, Testori, ma l’attrattiva
evidentemente c’è.
Antonella
Sciarrone Alibrandi, docente alla Cattolica Milanese, di padre messinese e
madre di Reggio Calabria, è milanese
professa. Intervistata dal “Sole 24 Ore”, ricorda così l’adolescenza in zona
San Siro: “Ricordo bene i picchetti e gli scioperi con le catene. Il quartiere
di San Siro era residenziale….Era poco toccato dalla malavita di Francis
Turatello e di René Vallanzasca che
aveva in mano la città. Ma la criminalità politica era ovunque”. Anche a San
Siro, intende: “Una mia vicina di casa e compagna di classe si chiamava
Francesca Marangoni. Qualche volta suo padre Luigi ci accompagnava in macchina
al liceo prima di andare al policlinico, dove era direttore sanitario. Il 17
febbraio del 1971 stava salendo dalla rampa del parcheggio di casa. Quattro
brigatisti rossi bloccarono l’auto e lo uccisero. Francesca, come me, aveva
sedici anni”. In effetti, il segno di Milano è la leggerezza.
Gian
Arturo Ferrari confronta, nel suo “romanzo” dell’editoria, di cui è stato megadirigente,
“Storia confidenziale dell’editoria italiana”, “l’antica bottega dei grandi editori
milanesi” a Torino, Boringhieri, dove ha lavorato, Einaudi, “disciplina”, “stile”,
“aristocrazia culturale, dello spirito, orgogliosamente portata”. Ma dei “milanesi”
aggiungendo: “Che proprio per questo sono diventati grandi”, niente stile e
niente aristocrazia.
È
la terza città più cara per viverci in Europa, dopo Londra e Lisbona- se ne
parla per gli affitti agli studenti fuori sede, ma è cara per tutti. E la terza
vita più inquinata al mondo, dopo Teheran e Pechino. Ma è contenta di sé, che
sempre si elogia.
Dell’allegria
milanese fa parte buttare la spazzatura sui piani di sotto, da Firense in giù.
Ma l’Italia non si oppone, l’opinione si fa (sempre) a Milano.
Le
borseggiatrici della metro postate in rete sono una violenza? Violenza delle borseggiatrici
o violenza alle borseggiatrici? Milano sostiene l’una e l’altra cosa, non si perde
nulla.
Era una cittadina all’unità,
benché capitale del Regno Lombardo-Veneto: contava 169 mila abitanti nel 1861,
duemila più di Palermo. Dietro Torino, 205 mila, Venezia, 340 mila, Roma esattamente 433.044, e Napoli, 447.765.
Che ci azzecca l’antimafia di Milano col Foggia Calcio? Ci azzecca perché uno del Foggia Calcio pretendeva di fare l’imprenditore a Milano. Un mafioso per definizione, anche se senza interfaccia milanesi, vittime o complici. L’antimafia di Milano è durissima, eccetto che con i milanesi – mai nessun condannato, nemmeno uno inquisito.
leuzzi@antiit.eu
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