Dante brutto, sporco e cattivo
Accoppiamenti,
defecazioni, minzioni, in un tardo Trecento polveroso, stinto, cencioso. Dopo la peste, ma non solo a Firenze. E tante
agonie e morti - di donne: c’è un perché? Dante si vede bambino impaurito, poi
giovane sciocco, in troppe inquadrature, anche nudo mentre si accoppia con la
moglie inamata, e basta. Si schiera con i Bianchi e non si sa perché - forse
per odio alla moglie? E tradisce pure l’unico amico che ha, Guido Cavalcanti, condannandolo
superficiale a quell’ostracismo di cui poi lui stesso avrà da soffrire tutta la
vita.
Nella
trama, Pupi Avati spedisce Boccaccio a Ravenna a portare un risarcimento di Firenze
per i danni inflitti a Dante e alla sua famiglia all’unica figlia
sopravvissuta, custode dei resti del padre a Ravenna. Un viaggio tra echi della vita e l’opera di Dante nebulosi, poco o nulla significanti, a meno di non averne
già conoscenza.
Un
racconto per immagini, i dialoghi sono di circostanza, di cui sovrastano
tonalità, scorci, tagli di disfacimento. Di tristezza, cupa – mai un sorriso,
anche quando se ne mostra il disegno. Sembra un atto di malumore di Avati verso
il genio nazionale. A meno che non si sia fatto condizionare un impeto
“filologico” – ringrazia in fondo quattro biografi di Dante, naturalmente molto
romanzieri, inventivi di una vita poco documentata. Teoricamente segue la prima
vita di Dante, quella di Boccaccio che lo consacrò quarant’anni dopo la morte, il
“Trattatello in laude di Dante” – la missione riparatrice si situerebbe agli
inizi della sua quindicennale riflessione su Dante. Ma forse Avati ha più seguito
i “biografi” che ringrazia in fondo, Santagata, Pellegrini e altri.
Sul
soggetto, prima ancora di riuscire infine a realizzare il film, Avati aveva
costruito un romanzo, “L’alta Fantasia, il viaggio di Boccaccio
alla scoperta di Dante”. Che così presentò: “Racconto Dante, il
suo dolore e la bellezza”. Ma qui s’incontra solo isolamento, morte, e
sporcizia.
Pupi
Avati, Dante, Sky Cinema
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