astolfo
Si
chiude a una ragazzina l’account
Instagram perché ha osato criticare, educatamente, Chiara Ferragni. Non si può
criticare Chiara Ferragni perché è una procuratrice pubblicitaria, promotrice
efficace, pare, di vendite, e quindi fa ricca Google. Ma senza sdegno per la
censura – anzi, lo sdegno è per la ragazza: non aveva l’età per l’account, ha barato, il suo post è troppo
ben scritto.... (leggere per credere, l’infamia non ha limiti). Perché Ferragni
è, anche, una icona della sinistra. Non sinistra, nel senso che è una che vende
pubblicità senza dirlo, ma della sinistra politica.
Dunque,
la sinistra è una pubblicità? Bella, certo, almeno per qualcuno, ma sempre
pubblicità, compulsione a spendere – consumismo, spreco, superfluo, etc., etc.,
la vecchia vergogna, da riccastri parafascisti, o parà e fascisti...? In questo
paese nulla è certo.
Vince
la destra e la sinistra s’interroga. No, non s’interroga nemmeno, “in questo
Paese”.
“Questo
paese”, “in questo paese”, da D’Alema a Nanni Moretti è locuzione che connota
di sinistra. Si dice “questo paese”, “in questo paese” è si è automaticamente
di sinistra. Nel senso che chi lo dice, lei\lui, è migliore, molto migliore, di
“questo paese” – sottinteso “di merda”. Ma la cosa è di sinistra, dire un paese
che è un paese di merda? Dirlo in continuo, pensarlo, non dormirci la notte,
fare il Br? La supponenza è di sinistra, quel placido, bruto, stancante
ritenersi i belli-e-buoni, i καλοκαγαθοι, della Repubblica? Il “discorso” della sinistra è
di sinistra, fuori dalla polemichetta sterile degli onorevoli e delle influencer, che di partenza fanno
commercio?
Protestano
inutilmente a Roma i residenti residui, pochi, del centro storico, contro il
Campidoglio di sinistra che moltiplica fast-food e birrerie. In effetti, la
depredazione del centro storico, ora praticamente inabitabile, un tempo da
centomila abitanti, è opera della sinistra: isole pedonali per lo struscio,
divieti di circolazione, divieti di parcheggio, terrazze all’aperto fino
all’alba.Nel nome della modernità – cioè nel nome del commercio, piccolo e
grande. Il centro storico di Roma è stato svuotato, dietro queste apparenze. Ma
è di sinistra. Come sono di sinistra i centri commerciali invece che le
attività artigianali, e le concessioni balneari all’asta – la sinistra ci ha
provato pure con i mercatini rionali.
L’onorevole
Bersani, uno che ritiene il partito Democratico troppo di destra, si consegnava
non molti anni fa alla storia per le “lenzuolate” di liberalizzazioni, cioè di
liquidazione del piccolo commercio al dettaglio, del negozio di quartiere. Ci
ha provato pure con i mercatini rionali, forte della solita “direttiva europea”,
la Bolkestein della Commissione Prodi, che il Parlamento europeo (Popolari e
Socialisti) provò per anni a bocciare. In ossequio a un qualche vangelo
anglosassone – che invece scopriva, e tenta con difficoltà di crearsi, il
fornitore all’angolo. A vantaggio delle Grandi Superfici, i centri commerciali
dell’affarismo immobiliare, naturalmente vergine da corruzione. E pazienza se
per fare la spesa dobbiamo farci ore in automobile – benché assolti in partenza:
la protezione dell’ambiente è esclusiva di sinistra. Mentre
sull’altro versante, la sinistra confessionale, Rosy Bindi s’illustrava per
riprivitizzare la sanità, già feudo “bianco”, in mano agli amici e agli amici
degli amici. Un disastro, non solo per la sinistra. Aveva cominciato Luigi
Berlinguer col primo governo Prodi, poco meno di trent’ani fa, “rossi” e “bianchi”
uniti nella lotta, con la privatizzazione dell’università. Più
in generale un disastro, la sinistra al tempo del mercato - la medicina che si
è data chiamandola modernizzazione. Tra
liberalizzazioni e privatizzazioni, cioè a favore di interessi monopolistici –
è falso, è risaputo, che il mercato è egualizzatore ed è aperto, quello è il
mercato regolato, il mercato senza più è di chi ha la bocca più grande.
Con la
vittoria politica della destra in Italia non si ragiona più. Basterebbe
ragionare che sono quarant’anni che la destra vince, quando la fanno governare.
Ma se ci si pensa è peggio: cosa lo impedisce? Perché non si studia per quale
motivo e in che modo Meloni vince dopo un lungo Berlusconi? È anche curioso
che, oltre a Fazio e Annunziata, la sinistra non abbia santi – due che peraltro
sono persone d’affari.
Si dice
che la sinistra ha il monopolio culturale, ma non si vede in che cosa. Se non
che alimenta la destra politica, la destra al potere. O non sarà questa destra
un po’sinistra? Almeno come lo sono i media. Che in Italia sono tutta la
“cultura”. Una volta c’erano gli intellettuali, ora niente, solo
intrattenitori, televisivi e social – teatranti. Si parla di destra e sinistra,
in verità, solo per stanchezza, una cosa rituale. L’unica riflessione è di
Bobbio, risale al 1994, ed era inerte già allora. Ferma alla rivoluzione francese, mentre la destra aveva stravinto in
Italia. E con leadership di un Berlusconi – almeno Meloni ha esperienza
politica. Dopo che la magistratura e il giornalismo “di sinistra” avevano
abbattuto il sistema politico. Una riflessione ferma all’uguaglianza – che il
fascismo ha probabilmente perseguito con più ampiezza della Repubblica (certo, un passo dietro al
sovietismo, che l’autocrazia realizzò totale: ci vuole molto potere per fare l’uguaglianza).
Con indifferenza, non di proposito ma di fatto, da hobbesiano studioso di
Hobbes, alla libertà, e alle pari opportunità, di classe, di genere, tra Nord e
Sud - del mondo e dell’Italia. Fermo, anche nella terminologia, al
parlamentarismo della prima Repubblica francese – e al suo parolaismo (tra cui
proprio destra e sinistra, segmenti dell’emiciclo parlamentare).
Destra-sinistra
è uno dei tanti cascami del gergo politico francese, che l’Italia ha adottato
nell’Ottocento e di cui non si è mai liberata, né sotto il fascismo e neppure
negli ormai ottant’anni della Repubblica. Nella fraseologia giuridica e
politica, e in quella dell’informazione, nell’opinione pubblica.
Invano
Popper e l’ultimo Croce della polemica con Einaudi (“non c’è liberalismo senza
liberismo”) hanno spiegato che in una società aperta la maggiore libertà per un
individuo e la maggiore libertà per tutti si stabilisce caso per caso, secondo
la situazione del momento, a volte con una soluzione liberistica, a volte con
una collettivistica - Croce usava proprio questa parola. Senza ricorrere a
schieramenti fissi – tantomeno dichiarati, autoelettivi. La Pira, curiosamente,
il sindaco più di sinistra che l’Italia abbia mai avuto, uomo pio, non parlava
di destra e sinistra, ciò che professava e faceva chiamava “la cosa giusta”, al
momento, nelle circostanze.
Quando
aveva affrontato la libertà, scrivendone vent’anni prima (nelle voci
“Eguaglianza” e “Libertà” scritte per l’“Enciclopedia del Novecento”, dell’Istituto
dell’Enciclopedia Italiana, pubblicate rispettivamente nei voll. II, 1977, e
III, 1978). Bobbio ha mostrato che non solo la teneva anche in conto ma molte
cose in materia le sapeva. Da studioso di Hobbes partiva anche “dalla constatazione che
gli uomini nello stato di natura sono eguali”. Ma, a differenza dei teorici
dell’eguaglianza, trovava proprio nello stato di natura una delle cause
del bellum omnium contra omnes. Bella e semplice, l’eguaglianza è
inafferrabile. E Bobbio non sapeva nascondere l’irritazione¨ - erano anni in cui
pencolava dal partito Socialista verso Berlinguer, il partito Comunista:
l’eguaglianza è vuota, detto alla prima pagina, l’eguaglianza è vacua, è una
petizione di principio in tutte le sue formulazioni, “a ciascuno il suo”, “la
legge è uguale per tutti”, “a ciascuno secondo i suoi bisogni” (Marx).
L’ineguaglianza è certo reazionaria, concludeva. Ma l’eguaglianza è una
petizione di principio, va ogni volta riempita, sempre con la libertà.
La seconda voce, “Libertà”, trovava Bobbio a suo agio, pianamente didattico. La
libertà gli bastava esporla: è una petizione di principio anch’essa, ma non
problematica. A disposizione di tutti, e
senza controindicazioni. Non fino al “silentium legis” come Hobbes già
configura. E tuttavia sempre operosa. Anche se il Novecento l’ha negata.
La seconda voce, “Libertà”, trovava Bobbio a suo agio, pianamente didattico. La
libertà gli bastava esporla: è una petizione di principio anch’essa, ma non
problematica. A disposizione di tutti, e
senza controindicazioni. Non fino al “silentium legis” come Hobbes già
configura. E tuttavia sempre operosa. Anche se il Novecento l’ha negata.
La sintesi che Bobbio
faceva mezzo secolo fa della libertà ferma da un secolo è tuttora applicabile.
Con i tre problemi della non-libertà rimasti irrisolti, allora come oggi: “A
livello economico il tema dell’alienazione di derivazione marxiana, a livello
politico il tema della burocratizzazione (o razionalizzazione del potere
legittimo nella forma del potere legale), di derivazione weberiana, a livello
ideologico il tema della manipolazione dell’opinione attraverso le
comunicazioni di massa, che ha avuto la sua prima e contestata formulazione
nella teoria critica della Scuola di Francoforte”.
Un problema – i tre
problemi – per tutti. Perfino per i fascisti, si direbbe. Bobbio infatti non
prospettava a essi vie d’uscita. Ma purtroppo apriva un quarto fronte, che ora
ci attanaglia, con la categoria della società civile.
Società civile Bobbio
brevemente chiarisce come “organizzazione della produzione e dell’intera
società” rispetto allo Stato - il leviatano del pensiero liberale. Ma fatalmente
convergendo nello slogan di Scalfari e Berlinguer, che chiude in un impasse da
mezzo secolo l’Italia - la società dei belli-e-buoni, esclusivi, spregiatori, i
pataccari della questione morale.
La società “civile” è
una contraddizione. E un’autoaffermazione. L’aggettivo ha indubbiamente una
valenza positiva, e si spiega che un partito, o gli spezzoni della Dc e del Pci
che se ne fanno bandiera, lo utilizzino e lo vantino. Ma: cui prodest? Tanta saccenza e tanta ignoranza.
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