Dopo
due anni dall’acclaramento della verità, la scrittrice non si è fatta viva con
la vittima dell’errore giudiziario, che ha scontato sedici anni di carcere, e
ventiquattro di emarginazione, escluso da un’attività qualificata, per la
fedina macchiata dalla condanna per stupro. Silenzio, isolata nella sua cas a a
Los Angeles da sei milioni di dolari, se non per la frase di circostanza: “Mi
dispiace”.
Il
riconoscimento del colpevole (il “confronto all’americana”) fu sbagliato, e l’incriminazione
si fece per iniziativa della Procura, che poi manipolò il processo, scettica la
polizia. Sebold ora dice, in questo articolo lunghissimo, di avere perso l’uso
della parola, di non saper più pensare né dire. Ma “Truth”, che raccontava la
vicenda dal suo punto di vista, di cui l’editore aveva sospeso la distribuzione
cinque anni fa, quando la verità cominciava a emergere, ora si torna a vendere.
La
ricostruzione immiserisce Mucciante, il produttore del film che poi non fu
fatto su “Truth”, che la rivista (l’intervistatrice) e Sebold mostrano come un
fanfarone, insolvente, pieno di debiti. Mentre, rileggendo e sceverando “Truth”
incaricò un detective di rifare l’indagine, cioè ha pagato di tasca sua
l’indagine che ha portato alla riabilitazione del condannato. E oggi è – non
dicendolo, l’articolo infrange una regola basilare del giornalismo americano -
un produttore di Netflix.
La
giornalista e la stessa Sebold fanno ricadere la responsabilità dell’errore
sulla vice-procuratrice all’epoca del fatto, Gail Uebelhoer, allora trentenne,
incinta, autoritaria, dall’alto del suo metro e ottanta, da due anni parte di
un gruppo speciale creato dalla Procura di New York per reati contro i minori e
le donne. La responsabilità è vera. Nel dibattimento Uebelhoer zittì a più
riprese un giurato che timidamente (la trascrizione dei dibattimento, ora
pubblica, lo mostra poco alfabetizzato) voleva dire che l’errato riconoscimento
nel confronto escludeva la colpevolezza dell’imputato – di questo non c’è
traccia nell’articolo. E poi produsse una “prova”, che da tempo si sa falsata,
un pelo pubico dell’imputato – l’Fbi una decina d’anni fa ha ammesso che le
analisi di questo tipo erano inventate. Il processo si svolse in un’aula in cui
il solo imputato era nero. Il giudice era maschio, con quattro figlie femmine. Dalle carte del processo
rispolverate dagli avvocati di Broadwater nella revisione è emerso che
l’investigatore del caso non era convinto delle modalità dell’evento:
l’ispettore George Lorenz, aveva “trovato la vittima”, prendendo servizio la
mattina alle 8, “mentre esaminava le foto dei possibili sospetti”, e terminava
il verbale annotando che l’esposizione non era “completamente fattuale” e
raccomandando che il caso fosso “riposto fra i files inattivi”. Ma poi Uebelhoer è sempre stata vicina a Sebold, e
ne ha promosso i due libri in ogni angolo degli Stati Uniti.
Alice fu
vittima di stupro quando aveva diciotto anni, all’ultimo giorno del primo anno
da matricola (freshman) alla Syracuse University, l’8 maggio 1981, verso
mezzanotte, nel sottopassaggio di un parco. Il giovane , allora giovane,
Anthony Broadwater, afroamericano, ventenne, ex marine, in congedo per
assistere il padre malato terminale di cancro, fu denunciato da lei cinque mesi dopo: uno che
attraversava la strada venendole incontro sorridente e dicendo: “Ma non mi
riconosci?”. Ne fece l’identiki alla polizia, e un poliziotto riconobbe il
giovane come suo conoscente. Era verso di lui, in quel momento posizionato dietro Sebold,
che il giovane afro si avvicinava sorridendo – la testimonianza, sottovalutata
all’inchiesta, sarà determinate per riaprire ilcaso.
Il grand jury, indirizzato da Uebelhoer, aveva
incolpato Broadwater di stupro, sodomia, furto e cinque altri capi d’accusa. Il
tribunale lo condannò a 8-25 anni. Propose appello, ma gli fu rifiutato in ragione
della natura del delitto. In carcere, dove è stato per sedici anni e sette
mesi, ha chiesto cinque volte la libertà condizionale, che sempre gli è stata
rifiutata perché non si ammetteva colpevole di stupro. Fu liberato con la fedina
macchiata dal delitto di stupro, il che gli ha precluso qualsasi occupazione
onorevole. Ha vissuto per vent’anni da emarginato, con una moglie che un amico
gli ha procurato, un’unione fra emarginati. Fino a che Tim Mucciante, il
produttore di Netflix, rileggendo “Truth” per farne un film, rimase scioccato
dall’implausibilità del processo e della condanna. Incaricò un detective di
rispolverare le carte del caso, e poi le affidò a due avvocati.
Sulla
vicenda, lo stupro e il processo, Sebold avrà grande successo nel 1999 con il memoir “Lucky”, immediato, con un
milione di copie. Bissato l’anno dopo col romanzo “The Lovely Bones” (“Amabili
resti”), otto milioni di copie, che l’ha consacrata al primo tentativo una
romanziera di successo – “il primo romanzo (début
novel) di maggior successo commerciale dopo «Via col vento»”, scrive Aviv. Aveva passato un periodo di
droghe, più spesso eroina. Al processo aveva dovuto testimoniare, come racconta
Aviv: “Sebold ritenne che, per salvarsi dalla morte, era forzata a partecipare
al suo proprio stupro. Sul banco dei testimoni descrisse come aiutò l’uomo a
spogliarla; dovette baciarlo e praticargli sesso orale, perché potesse mantenere
un’erezione. Quando finì, «mi disse che voleva abbracciarmi. Non mi avvicinai. Allore venne
verso di me, mi spinse contro il muro e mi abbracciò e si scusò, disse «mi dispiace, sei una brava
ragazza».
Poi le chiese il suo nome. «Io dissi ‘Alice’ e lui disse ‘piacere di fare la
tua conoscenza, Alice, ci rivedremo’”.
Ma presto
dopo la condanna, e dopo un corso di scrittura con grandi scrittori, aveva
cominciato a pubblicare, scrivendo sui giornali. Anche sulla violenza contro le
donne. Presto “onstage” da Oprah Wimfrey, tutta blackie “come i capelli”, scrive Aviv, apparizione di grande
effetto.
Broadwater
fu rintracciato dai cronisti dopo l’assoluzione, a sessant’anni, in una casa abbandonata
dei sobborghi poveri di Syracuse, accanto a un cimitero, coi vtri rotti, con un
telone per tetto. Ora è ricco: ha
diritto a una pensione, ha fatto causa allo stato di New York, è stato
risarcito con quattro milioni e mezzo di dlari. Ma si era dato e mantiene un coprifuoco alle sette di sera.
Rachel
Aviv, The tortured Bond of Alice Sebold
and the Man wrongfully convicted of her
Rape, “The New Yorker Magazine”, 29 maggio, free online
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