sabato 27 maggio 2023

Inamabili resti di una condanna per stupro

Dopo due anni dall’acclaramento della verità, la scrittrice non si è fatta viva con la vittima dell’errore giudiziario, che ha scontato sedici anni di carcere, e ventiquattro di emarginazione, escluso da un’attività qualificata, per la fedina macchiata dalla condanna per stupro. Silenzio, isolata nella sua cas a a Los Angeles da sei milioni di dolari, se non per la frase di circostanza: “Mi dispiace”.
Il riconoscimento del colpevole (il “confronto all’americana”) fu sbagliato, e l’incriminazione si fece per iniziativa della Procura, che poi manipolò il processo, scettica la polizia. Sebold ora dice, in questo articolo lunghissimo, di avere perso l’uso della parola, di non saper più pensare né dire. Ma “Truth”, che raccontava la vicenda dal suo punto di vista, di cui l’editore aveva sospeso la distribuzione cinque anni fa, quando la verità cominciava a emergere, ora si torna a vendere.
La ricostruzione immiserisce Mucciante, il produttore del film che poi non fu fatto su “Truth”, che la rivista (l’intervistatrice) e Sebold mostrano come un fanfarone, insolvente, pieno di debiti. Mentre, rileggendo e sceverando “Truth” incaricò un detective di rifare l’indagine, cioè ha pagato di tasca sua l’indagine che ha portato alla riabilitazione del condannato. E oggi è – non dicendolo, l’articolo infrange una regola basilare del giornalismo americano - un produttore di Netflix.
La giornalista e la stessa Sebold fanno ricadere la responsabilità dell’errore sulla vice-procuratrice all’epoca del fatto, Gail Uebelhoer, allora trentenne, incinta, autoritaria, dall’alto del suo metro e ottanta, da due anni parte di un gruppo speciale creato dalla Procura di New York per reati contro i minori e le donne. La responsabilità è vera. Nel dibattimento Uebelhoer zittì a più riprese un giurato che timidamente (la trascrizione dei dibattimento, ora pubblica, lo mostra poco alfabetizzato) voleva dire che l’errato riconoscimento nel confronto escludeva la colpevolezza dell’imputato – di questo non c’è traccia nell’articolo. E poi produsse una “prova”, che da tempo si sa falsata, un pelo pubico dell’imputato – l’Fbi una decina d’anni fa ha ammesso che le analisi di questo tipo erano inventate. Il processo si svolse in un’aula in cui il solo imputato era nero. Il giudice era maschio, con quattro figlie femmine. Dalle carte del processo rispolverate dagli avvocati di Broadwater nella revisione è emerso che l’investigatore del caso non era convinto delle modalità dell’evento: l’ispettore George Lorenz, aveva “trovato la vittima”, prendendo servizio la mattina alle 8, “mentre esaminava le foto dei possibili sospetti”, e terminava il verbale annotando che l’esposizione non era “completamente fattuale” e raccomandando che il caso fosso “riposto fra i files inattivi”. Ma poi Uebelhoer è sempre stata vicina a Sebold, e ne ha promosso i due libri in ogni angolo degli Stati Uniti.
Alice fu vittima di stupro quando aveva diciotto anni, all’ultimo giorno del primo anno da matricola (freshman) alla Syracuse University, l’8 maggio 1981, verso mezzanotte, nel sottopassaggio di un parco. Il giovane , allora giovane, Anthony Broadwater, afroamericano, ventenne, ex marine, in congedo per assistere il padre malato terminale di cancro, fu denunciato da lei cinque mesi dopo: uno che attraversava la strada venendole incontro sorridente e dicendo: “Ma non mi riconosci?”. Ne fece l’identiki alla polizia, e un poliziotto riconobbe il giovane come suo conoscente. Era verso di lui, in quel momento posizionato dietro Sebold, che il giovane afro si avvicinava sorridendo – la testimonianza, sottovalutata all’inchiesta, sarà determinate per riaprire ilcaso.
Il grand jury, indirizzato da Uebelhoer, aveva incolpato Broadwater di stupro, sodomia, furto e cinque altri capi d’accusa. Il tribunale lo condannò a 8-25 anni. Propose appello, ma gli fu rifiutato in ragione della natura del delitto. In carcere, dove è stato per sedici anni e sette mesi, ha chiesto cinque volte la libertà condizionale, che sempre gli è stata rifiutata perché non si ammetteva colpevole di stupro. Fu liberato con la fedina macchiata dal delitto di stupro, il che gli ha precluso qualsasi occupazione onorevole. Ha vissuto per vent’anni da emarginato, con una moglie che un amico gli ha procurato, un’unione fra emarginati. Fino a che Tim Mucciante, il produttore di Netflix, rileggendo “Truth” per farne un film, rimase scioccato dall’implausibilità del processo e della condanna. Incaricò un detective di rispolverare le carte del caso, e poi le affidò a due avvocati.
Sulla vicenda, lo stupro e il processo, Sebold avrà grande successo nel 1999 con il memoir “Lucky”, immediato, con un milione di copie. Bissato l’anno dopo col romanzo “The Lovely Bones” (“Amabili resti”), otto milioni di copie, che l’ha consacrata al primo tentativo una romanziera di successo – “il primo romanzo (début novel) di maggior successo commerciale dopo «Via col vento»”, scrive Aviv. Aveva passato un periodo di droghe, più spesso eroina. Al processo aveva dovuto testimoniare, come racconta Aviv: “Sebold ritenne che, per salvarsi dalla morte, era forzata a partecipare al suo proprio stupro. Sul banco dei testimoni descrisse come aiutò l’uomo a spogliarla; dovette baciarlo e praticargli sesso orale, perché potesse mantenere un’erezione. Quando finì, «mi disse che voleva abbracciarmi. Non mi avvicinai. Allore venne verso di me, mi spinse contro il muro e mi abbracciò e si scusò, disse «mi dispiace, sei una brava ragazza». Poi le chiese il suo nome. «Io dissi ‘Alice’ e lui disse ‘piacere di fare la tua conoscenza, Alice, ci rivedremo’”.
Ma presto dopo la condanna, e dopo un corso di scrittura con grandi scrittori, aveva cominciato a pubblicare, scrivendo sui giornali. Anche sulla violenza contro le donne. Presto “onstage” da Oprah Wimfrey, tutta blackie “come i capelli”, scrive Aviv, apparizione di grande effetto.
Broadwater fu rintracciato dai cronisti dopo l’assoluzione, a sessant’anni, in una casa abbandonata dei sobborghi poveri di Syracuse, accanto a un cimitero, coi vtri rotti, con un telone per tetto. Ora  è ricco: ha diritto a una pensione, ha fatto causa allo stato di New York, è stato risarcito con quattro milioni e mezzo di dlari. Ma si era dato e mantiene un coprifuoco alle sette di sera.
Rachel Aviv,
The tortured Bond of Alice Sebold and the Man wrongfully convicted of her  Rape, “The New Yorker Magazine”, 29 maggio, free online



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