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La Cina non è a corto di braccia
“La
Cina diventerà vecchia prima di diventare ricca” è la nota – di giubilo – che accompagna
da qualche tempo la scoperta che ci sono in Cina più morti che nascite, che la
popolazione comincia a diminuire. Con corredo profetico a quindici e trenta
anni, di una popolazione con pochi giovani e molti vecchi, e gli aggravi che questo
cambiamento comporta, per sanità, pensioni, finanza pubblica, e quindi
ricchezza. Ma non è così semplice.
La
spesa sociale è cresciuta in Cina di quasi tre volte in dieci anni. Anche a
causa dell’invecchiamento, ma non solo. La Cina ha riserve enormi di forza
lavoro. Può elevare l’età del
pensionamento, oggi anacronisticamente ancora a 55 e 60 anni. Ha un serbatoio
ancora ampio di forza-lavoro rurale che può urbanizzarsi per la produzione moderna.
Ha un mercato del lavoro ancora ridotto: è stato calcolato che se il tasso di
occupazione fosse in Cina come quello del Giappone, tra diciotto anni ci
sarebbero 40 milioni di lavoratori in più, una Germania. E molto è possibile recuperare
tra i più giovani, che non hanno un preciso disegno di cosa fare: la disoccupazione
giovanile è ancora al 17 per cento.
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