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La prima monaca di Monza
“The
History of tyhe Nun” è il titolo originale. Con un sottotitolo che dice tutto: “The
Fair Vow-breaker”, la bella che ruppe i voti. La ribelle Aphra Benn, romanziera
polemica, la primissima romanziera moderna, fa la moralista. L’edizione
italiana presenta il racconto come denuncia della “repressione del desiderio
femminile”. Che sarebbe nelle corde della
“scostumata” Benn. Ma qui il racconto costruisce in chiave moralista: il
desiderio viene punito per sua colpa.
La
prima pagina è di perorazione femminista, quale ci si attende dall’autrice: ”Senza
dubbio, le donne sono per natura più costanti
e giuste degli uomini, e se i loro primi amanti non insegnassero loro il trucco
dello scambio sarebbero colombe, che non abbandonerebbero mai il loro compagno,
e, come le mogli indiane, salterebbero
vive nelle tombe dei loro amanti deceduti, per farsi seppellire presto con loro”.
La
seconda è però una perorazione contro lo spergiuro, quale sarebbe infrangere i
voti. Soprattutto quelli monacali, “sacri”: “Potrei da sola, a mia sola
conoscenza, dare un centinaio di esempi delle conseguenze fatali della violazione dei voti sacri”. Sembra uno spoiler,
un’anticipazione del plot, ma il
racconto non per questo perde mordente, il ritmo e gli incastri tengono – è semplice,
oltre che breve, poco accade, ma memorabile
L’intento
è edificatorio. Essendo stata a sua volta “designata come umile novizia in una
casa di devozione”, la narratrice si rende conto che la scelta dei voti dovrebbe essere fatta
in età adulta. Con cognizione di causa. E non per un “disegno dei genitori”. Non potendo “fare le leggi, né modificare gli
usi”, conclude, si affida allora alla penna. Ma parliamo di monasteri ricchi per
persone ricche e belle, con parlatorio privato, anche se dietro una grata.
Un racconto gotico in chiave
realistica, di vita ordinaria. Una giovane giglio di purezza e angelo di
bellezza, crescita in convento, da un padre amorevolissimo e da una zia badessa
ricchissima, ammiratissima da migliori giovani di Fiandra, finisce per
avere, senza sua colpa, due mariti. Una storia lenta, ripetitiva, per tre quarti del racconto, che assume nelle
ultime pagine ritmi velocissimi e drammaticissimi. Un po’ schematici –
schematizzati, non raccontati, non sviluppati: lo stesso canovaccio è in
Manzoni molto più drammatico (curioso che la somiglianza dei due racconti non
sia stata rilevata). Ma di un noir prima
del noir, ben prima.
Una autrice che si viene rivalutando. Come prima scrittrice professionale inglese
(una delle prime, in realtà), nel secondo Seicento. E come donna di liberi
costumi, con amanti di ambo i sessi – per questo celebrata da Vita
Ssckville-West, con una biografia romanzata, “The Incomparable Astrea”, e da
Virginia Woolf, che la ricorda brevemente in “Una stanza tutta per sé”:- il
prototipo del genere queer in voga, o
del no gender. In realtà donna determinata, che altre ritualità
semmai ha introdotto tra i letterati inglesi. Figlia di un barbiere e di una
levatrice, finita non si sa come nel Suriname, allora inglese, contestato agli
olandesi. Stuartiana convinta, nell’età della Restaurazione, di Carlo II (ora
si incorona il terzo Carlo….). Nata Aphra Johnson, prese il nome da un marito
Johan Benn di cui altro non si sa – forse mercante olandese incontrato nel Suriname.
Prima
di diventare famosa come poetessa, romanziera e drammaturga ha una vita di sua
invenzione, posteriore. Compreso probabilmente il passaggio come novizia in convento, spinta da genitori per definizione ricchi e potenti. Ma in Suriname c’è stata, ha scritto da lì molte
lettere, conservate. Carlo Il l’avrebbe mandata
spia a Anversa, contro gli olandesi, nome d’arte Agente 160, oppure Astrea, durante
la Seconda Guerra Anglo-Olandese – primo autore inglese a volersi spia, moda
perpetuata fino agli anni 1970. Salvo tornare a Londra dopo pochi mesi, a sue
spese. E finire in prigione per debiti, malgrado la protezione regale,
asserita. Probabilmente cattolica per molti indizi, tra essi l’attaccamento agli
Stuart. Fu attiva anche in politica, tra i Tories, a Westminster, oltre che
fertile scrittrice. Tutto in 49 anni di vita.
Il
suo nome è stato perpetuato a lungo solo per il romanzo “Oroonoko”, il primo romanzo europeo moderno, e il
primo (e a lungo l’unico) storicamente fondato. Molto “contemporaneo” anche questo: il romanzo di un principe africano ridotto in schiavitù, nel Suriname.
Aphra
Benn, La monaca, Lorenzo dei Medici
Press, pp. 80 € 14
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