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Angoscia – Contemporaneamente
al “Concetto dell’angoscia” Kierkegaard pubblicava, 1847, un libro di prefazioni
a libri mai scritti, “Prefazioni. Lettura ricreativa per determinati
ceti a seconda dell’ora e della circostanza”, firmandola Nicolaus Notabene, un’opera umoristica.
Ave
–
L’ave” dell’“Ave, Maria”, non è il buongiorno romano: nel greco del vangelo di
Luca, I, 28, è “rallegrati” - χαϊρε, sii lieta.
Brexit
–
Un libro di 10 sterline che costava 11 euro ora ne 15 euro - Stanley Tucci,
“Taste” dela Penguin , £9.99, in € prezzo consigliato 16 – la libreria lo vende
a 14,75. Cosa è aumentato? Il cambio è semrpe, più o meno, di € 1,1 per una
sterlina.
Dostoevskij
–
Fu antisemita per errore? È la tesi di Vasilij Grossman a conclusione della plaquette “Ucraina senza ebrei”. Odiava
l’affarismo, come era e sarà di una larga frangia di intellettuali russi, e confuse
la crescente borghesia nazionale, nella Russia ancora vecchia di padroni e
servi, come una invasione della microborghesia ebraica.
Una reazione
strana, per uno che aveva viaggiato. Ma comune nell’intellighentsia russa.
Eccezionalismo
–
È, è stato, tedesco prima che americano (o americano per essere tedesco? C’è
mancato poco che l’America non nascesse tedesca a fine Settecento). Lo
individua Vasilij Grossman nei ritrovati appunti “Ucraina senza ebrei”,
“l’ideologia dell’eccezionalismo e del disprezzo per gli altri popoli,
dell’indifferenza per le sofferenze altrui e del sentimentalismo esasperato nei
confronti dei propri simili”. Era tedesca “l’idea sciovinista cullata e
alimentata per decenni dal convincimento che si possa amare il proprio popolo
solo se si disprezza il resto dell’umanità; è la certezza sconfinata della
propria insindacabile egemonia sul mondo”.
Ma non solo della Germania, antivede
Grossman nel 1943, a guerra ancora incerta. Il bacillo dice dell’epoca, come presto
sarà nella guera freda, e poi, di più, nella globalizzazione, o “pensiero unico”:
“La consapevolezza di un tale eccezionalismo non sonnecchia soltanto nell’animo
del popolo tedesco, è piuttosto il flagello dell’umanità di oggi”.
Marina
Jarre –
Dimenticata in Italia, è celebrata in America per la traduzione di “I padri
lontani” e “Ritorno in Lettonia”.
La
Pira –
Il “sindaco santo” è uno dei pochi credenti che non si santificano. Ricordando
Ettore Bernabei nei suoi ultimi giorni, Marco Bernabei all’incontro fiorentino
“Ettore Bernabei, Giorgio La Pira e la cultura fiorentina degli anni ’50”
testimonia che, intrattenendo il padre morente di desideri possibili - su
“quale desiderio potesse ancora trattenerlo fra di noi” - “vedere la
beatificazione di La Pira in San Pietro fu quel che si lasciò andare a dire”.
“Nel 1977, quando La Pira muore, Sergio
Lepri pubblica nel notiziario dell’ agenzia (Ansa, n.d.r.: - Lepri scrive di se
stesso, in fine all’introduzione del volume “Ettore Bernabei e il Giornale del
Mattino”) un racconto del viaggio di La Pira ad Hanoi, scritto da Mario
Primicerio che lo ha accompagnato nella capitale del Vietnam. Il pezzo è ripreso
dalle agenzie internazionali France Presse e Associated Press, e a Parigi “Le
Monde “ne pubblica un sunto con un titolo a due colonne. Sui giornali italiani niente”.
“Il comunismo non avrebbe vinto, come
credevano Dossetti e anche Aldo Moro”, ricorda di La Pira nello stesso volume Lepri,
in una ricostruzione della Firenze degli anni del “sindaco santo”. “«Il
comunismo non può non morire», diceva La Pira” - per una ragione per lui
semplice: “«Il comunismo è ateo»”.
Lascia
o raddoppia –
“Il «Giornale del Mattino»”, ricorda ancora Lepri, che ne era caporedattore, “unico
quotidiano in Italia, ha un’ida che si dimostra fruttifera di simpatie e di
vendite: ogni venerdì una pagina intera è dedicata al resoconto di «Lascia o
raddoppia?»”, il programma di Mike Bongiorno, che andava in onda giovedì, “ai ritratti
dei concorrenti, alle riproduzioni delle domande e delle risposte”. A Milano,
invece, il “Corriere della sera” ragionava così, contro la volgarità dell’intrattenimento:
“Se non en parliamo noi non esiste” – è vero che era il parere del condirettore
Michele Mottola, “napoletano di origini irpine”, probabile nobile, ma per un
periodo fu così.
Russia
–
Ottavio Fatica evoca Kim, nel suo trattatello “Lost in translation” sulla
traduzione-come interpretazione, la dimenticata lettura di ogni ragazzo, che
“gira sempre in tondo nel Grande Gioco o Torneo delle Ombre (quello fra l’orso
russo e il leone britannico) che giorno e notte mai non cessa”.
Stupro
–
Alice Sebold, la scrittrice famosa per “Lucky” e “Amabili resti”, un memoir e un romanzo sullo stupro di cui
fu vittima a diciott’anni, l’8 maggio 1981, a mezzanotte, nel sottopassaggio di
un parco, non trova più parole, dice, da due anni, da quando l’afroamericano
condannato per la violenza è stato riconosciuto innocente. Dopo sedici anni di
carcere, in semi-isolamento in quanto stupratore di un ragazza, e venticinque di
isolamento sociale. Non trova “più parole” per scrivere, nemmeno per scrivere
alla vittima dell’errore giudiziario, da lei indicato ma senza colpa.
Suicidi
–
Suicida per antonomasia è la “Signorina Else” del racconto di Schnitzler. Ma si
è veramente uccisa? Ha preso abbastanza veronal per farlo, ma all’ultimo i
soccorsi arrivano, e poi è lei stessa a raccontarsi la sua ultima convulsa
giornata. Fino agli ultimi istanti, prima dell’assopimento col veronal – i
soccorsi sono in tempo per la lavanda gastrica.
Titoli nobiliari – Sono vietati all’anagrafe
in Austria, già dal 1919, alla nascita della Prima Repubblica dopo il crollo
del’impero absburgico – come dopo la seconda guerra mondiale in Italia. Mentre
sono utilizzabili in Germania.
Traduzione
–
Ottavio Fatica, traduttore eminente, la vuole sempre “poetica” – come da etimo, poiesis, creare: “Quando si traduce ci si accorge con stupore di non scrivere in prosa bensì, volenti o
nolenti, in versi, prigionieri di un ritmo, ingabbiati dentro leggi e misure”.
Usa
–
Stanley Tucci, attore e gastronomo rinomato, buon patriota, si ritrova nella
Festa dell’Indipendenza o della bandiera solo nel paio di occasioni in cui l’ha
celebrata a Londra, dove si è stabilito da una decina d’anni, invitato all’ambasciata.
A casa no, la festa della bandiera “è stata monopolizzata”, nota in “Taste, la
mia vita nel cibo”, “da falchi che agitano la bandiera più come un’arma che
come un simbolo di liberta, accettazione e opportunità”. E ricorda, dei suoi ultimi
anni in America, che si era cominciato a chiamare le patatine fritte, in inglese french fries, Freedom Fries, “mentre si
boicottavano e perfino si frantumavano bottiglie di vino francese perché la Francia
si era rifiutata di mandare truppe a sostengo degli Stati Uniti in Iraq”.
L’Italia ce le ha mandate – con molti
morti anche, per inavvertenza: avrà venduto più vino?
letterautore@antiit.eu
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