L’Europa abbaia a Pechino
Che
farsene della Cina? Posta in Europa, la domanda è di una Lilliput che signorialmente
guarda al mondo gigantesco di Brobdingnag. O come il cane che abbaia alla luna. Tanto più
che l’Europa se la pone perché gli Stati Uniti le impongono di porsela. Non
impongono, la consigliano, la suggeriscono, la gestiscono, con interventi
quotidiani, diretti e indiretti, di centri studi, esperti, specialisti, giornali
e giornalisti fidati. Su nessuna base convincente: perché fare la guerra alla
Cina? Boh. Ma l’Europa diligente vi si appresta. Anche se, peggio ancora, al modo
europeo: se la pone in Germania per fregare la Francia, e viceversa - e ora stanno
col fiato sospeso, dicono, fingono, contro l’Italia: cosa farà Meloni, che
aspetta a denunciare le intese con Pechino?
Questioni serie, come
la sfida di Biden alla Cina su Taiwan, e pericolosissime, vengono viste in
Europa come un gioco di Risiko. Per superficialità, di un’opinione pubblica forse
infetta e comunque incapace, più che sciocco bellicismo. Ma l’esito è un modo europeo
di fare politica estera ancora ottocentesco, di interessi nazionali vissuti in
ottica di primato, della Francia contro l’Italia, o contro la Germania, eccetera.
In Germania gli
azionisti pongono all’assemblea Volkswagen il problema etico di produre
automobili in Cina, avvantaggiandosi dello “sfruttamento etnico” degli Uiguri
nello Xinchiang (la geografia non collima ma l’accusa è questa). Gli azionisti
essendo pochi, pochissimi, quattro o cinque, con poche azioni. Un gruppo di
pressione che ha acquistato qualche azione per poter intervenire in assemblea.
Per conto di chi?
Volkswagen non se ne
dà colpa (ha le spalle larghe, sa di che si tratta), e continua a fare della
Cina il suo maggiore hub produttivo –
unicamente impensierita dal calo delle vendite a causa del covid, del lungo lockdown cinese. Del resto il cancelliere
Scholz, nonché non denunciare gli accordi (che ora l’Italia dovrebbe
denunciare) con la Cina, vi si è recato in pompa sei mesi fa, con corteo di
imprenditori e banchieri. E l’effetto, uno degli effetti, si vede oggi, con l’entrata
della cinese Cosco nella proprietà del porto di Amburgo.
L’Europa risponde
singolarmente alle pressioni americane. E al suo modo, tentando di fare le
scarpe al vicino europeo, o metterlo in difficoltà. Il presidente francese
Macron, e poi il premier spagnolo Sanchez, si sono subito organizzati, dopo la
sortita di Scholz, e hanno arrangiato proficue trasferte a Pechino. Macron si è
vantato di portare indietro intese e veri e propri accodi industriali in ben 51
punti.
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