Quando gli ebrei scomparvero in Ucraina
Tardi
nel 1943 il Grande Inviato Grossman entra in Ucraina, quando l’Armata Rossa supera il Dnipro e
comincia a rincorrere i tedeschi, e la scopre vuota di ebrei, che prima la
abitavano a milioni. Il fatto si sapeva già, da almeno un anno: si sapeva della
Soluzione Finale, e si sapeva della liquidazione di decine di migliaia di ebrei
a raffiche di mitra – una volta, alla periferia di Kiev, nel burrone d Babij
Jar, di trentatremila in poche ore, tra il 29 e il 30 settembre 1941. Anche perché
i tedeschi avevano la volenterosa collaborazione dei nazionalisti ucraini, organizzati
da Stepan Bandera, anti-sovietici, anti-russi – la Germania nazista faceva
valere in Ucraina e nei territori occupati “I protocolli dei Savi di Sion”,
inventati in Russia, sul disegno ebraico di dominio del mondo. Le sue corrispondenze
tuttavia non furono pubbliate dal suo giornale, “in attesa di riscontri”
(Grossman ne pubblicò vari pezzi su riviste di opoca diffusione, e ora, ritrovate
negli archivi, si pubblicano n integrale, ricostituiti e commentati dalla
specialista di russo Claudia Zonghetti.
Sul
tema principale, quello del titolo, Grossman non dice molto, né niente di nuovo.
A parte un paio di pagine. Quella in cui lo sterminio – che non nomina - riflette
nell’elenco dei piccoli mestieri che si esercitavano sulla strada, dei tipi, delle
pratiche che prima animavano questa o quella cittadina o villaggio e ora non
più, solo si incontrano silenzio, vuoto, distruzioni. E quella in cui si fa
dire dai prigionieri tedeschi che no, la loro guerra è sempre stata bella, e
doverosa, nessuno capisce il misfatto che ha commesso. Con un barlume di verità
sulla Germania: “La Germania si è fidata del fascismo, e si è fidata perché
voleva farlo e perché da quella fiducia aveva il suo tornaconto”. Ci sono stati opositori, ma non si sono state due
Germanie, una nazista e una no: “No, il popolo tedesco non è diviso in due
metà, una bianca e una nera”, e la sua natura “non può cambiare in una decina
d’anni, ingenerando nuovi tratti. Il nazionalsocialismo non ha generato nulla
di nuovo, ha solo fissato, cristalizzato e usato a proprio vantaggio tratti del
popolo tedesco che sono sempre esistiti”
Resta
però una lettura singolare, per due punti. Per la diagnosi del nazionalismo
degenerato in eccezionalismo. Che dalla Germania si è trasmesso altrove – e che
Grossman fiuta che non fnirà con la guerra, il bacillo è diffuso nella contemporaneità.
E per un’ipotesi originale, ma convincente, dell’antisemitismo, che pure è un
fenomeno molto studiato. Partendo dalla battuta “l’antisemitismo è il
socialismo degli imbecili” – attribuita a August Bebel, ma la curatrice scopre
che Bebel l’ha pronunciata attribuendola al politico austriaco Ferdinand Kronwatter.
L’antisemitismo è uno specchio, una proiezione. Come un artificio esoterico, di
magia spirituale, di espulsione-oggettivizazione dei mali del mondo. Presto
trasformato in ideologia. Con cura, con cognizione di causa: “È nella parte
istruita della società che si incontrano, soprattutto, i latori dell’antisemitismo
ideologico”.
In
ultimo due pagine illuminanti sull’antisemitismo di Dostoevskij. Aveva semplicemente
confuso l’irruzione della borghesia degli affari nella vecchia Russia,
autocratica e oligarchica, con padroni e servi, il polverio di mercanti,
appaltatori, fabbricanti, banchieri, con una sorta di sovraestensione della microborghesia
ebraica. Una curiosa reazione, politica prima che una manifestazione di antisemitismo:
“Studiò il personaggio del commerciane ebreo e lo prese in odio, senza capire
che, mentre osservava il commerciante ebreo, l’appaltatore ebreo, l’intermediario
ebreo, stava semplicemente guardando lo specchio che rifletteva i milioni di
facce” della borghesia russa, una novità storica.
Vassilij
Grossman, Ucraina senza ebrei,
Adelphi, pp. 74 € 5
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