Giuseppe Leuzzi
Al Festival dell’Economia del
“Sole 24 Ore” a Trento si esuma uno studio del 1998 sulle imprese familiari. In
particolare sul passaggio delle consegne tra fondatori e figli. Da cui risulta
che il 65 per cento degli imprenditori del Nord, due su tre, non si fidava del
figlio, “indipendentemente dal suo titolo di studio”. Contro il 65 per cento
degli imprenditori del Sud che “mostravano un atteggiamento aperturista nei
confronti dei figli, purché laureati”. La laurea non distingue – distingueva? –
al Sud solo per il posto pubblico.
Insolita misura per l’annuncio
dell’operazione anti-droga che ha visto alcune cosche calabresi utilizzare per
il riciclo del denaro “spalloni” cinesi, intermediari nella trafila del
riciclaggio. Una indagine fattuale, evidentemente, senza le solite chiacchiere
di preannunci, annunci, retroscena, e arresti di chi capita a tiro. Fare è
molto meglio che dire, soprattutto con i criminali, mentre la mafia da troppo
tempo è solo fatica, con l’accento sulla prima a.
Sicilia redenta
Rivisto, il film
“Sorelle per sempre” di Porporati colpisce, oltre che per l’intreccio, comunque
derivato da un fatto di cronaca, per “il bene del vivere che caratterizza la Sicilia”
– come pensava Alberto Sironi, il regista dei miracolosi “Montalbano” filmici.
Due madri scoprono
che le loro figlie amatissime, sei anni prima, alla nascita la notte di
Capodanno, sono state scambiate nella culla. Alla fantasia un po’ nevrotica di
una delle due succede la conferma, delle compatibilità sanguigne e del dna,
quando le bambine hanno sei anni, e quindi una vita di relazioni inalterabili
con i genitori putativi.
Un’idea di film nata
probabilmente nel quadro della delegittimazione della famiglia, nell’ideologia
corrente di “diritti”: la procreazione non ha senso, il legame “naturale”, animale, madre-figli, il rapporto genitoriale è aperto, e così via. Invece è un film che si fa amare. Oltre che per la storia in sé, come Porporati poi la racconta, di
due madri che vengono a sapere che le figlie adorate, allattate, accudite,
vezzeggiate, non sono “le loro”, anzi di più, per una rappresentazione insolita
della Sicilia, cioè non di mafia o turistica. Un contesto di urbanità. Di padri
amorevoli e di aiuto in casa. Della famiglia unita malgrado tutto. Nonni compresi,
non sentenziosi e non balordi.
È la chiave del successo
duraturo del Montalbano di Camilleri, specie nell’adattamento di Sironi e Degli
Esposti, il produttore. Che hanno dotato i racconti di interni ed esterni gentili
e accattivanti, che nella scrittura non ci sono. E i personaggi (facce,
abbigliamento, modi) hanno affidato alla recitazione molto teatrale di tanti
siciliani teatranti – il siciliano è teatrante, era una maschera in antico, il
Siciliano. Sul tema si può leggere su questo sito “Restituire Montalbano a
Sironi e Degli Esposti”
http://www.antiit.com/2021/04/restituire-i-montalbano-sironi-e-degli.html
e “Sicilia magica”
http://www.antiit.com/2019/08/camilleri-entusiasta-e-triste.html
Il regista Sironi, dimenticato,
in un rarissimo intervento, che “Micromega” gli ha infine chiesto, per lo
speciale 2019 su Camilleri, spiegò solo che aveva voluto rappresentare “il
bene del vivere che caratterizza la Sicilia”.
Mediterranean Smyth
“Mediterranean Smyth” è il nomignolo
dato in patria, al suo ritorno, al capitano di Marina, poi ammiraglio, William
Henry Smith, che aveva operato in Sicilia a protezione del re delle Due Sicilie
durante gli anni di Napoleone. A Messina, il 7 ottobre 1815, a 27 anni, si era
sposato con Eliza Anne Warington, “Annarella”, anche lei ventisettenne, figlia
del console inglese a Napoli. Con la quale fece undici figli, molti divenuti per
qualche verso celebri – tra essi il secondogenito, Charles, astronomo,
egittologo e esoterista, che prese il nome di Piazzi, Charles Piazzi,
dall’astronomo valtellinese Giuseppe
Piazzi, che aveva fondato a Palermo l’Osservatorio astronomico di Palermo, con
cui il padre, che praticava anche l’astronomia, aveva stretto amicizia, facendone il padrino di battesimo del figlio.
Wiliam Henry Smith era arrivato in Sicilia nel 1813, a 25
anni, col grado di tenente, nella “Sicilian flotilla” a difesa del Regno delle
due Sicilie. Per questo servizio riceverà dal re di Napoli Ferdinando I l’ordine
di San Ferdinando e del Merito. Ma la sua attività era soprattutto di rilevazioni
idrografiche.
Di famiglia povera si era imbarcato come
mozzo a 124 anni su un mercantile. Quando il mercantile fu requisito dalla Marina,
entrò in Marina come marinaio. E in Marina era stato poi praticamente su tutti i
fronti in cui si dava battaglia col naviglio napoleonico: in Asia, sella Schelda,
a Cadice, a Tolone.
Promosso comandante nel 1815, al comando
del brigantino Scylla, rimase nel Mediteraneo, continuando le rilevazioni della
costa della Sicilia, della costa tirrenica calabrese, e delle costa libico-tunisina del canale di Sicilia. Due anni
più tardi le rilevazioni divennero il suo incarico ufficiale, al comando della
nave da trasporto “Aid” – poi ribattezzata “Adventure” e addetta alle
rilevazioni in Patagonia, accompagnata dal “Beagle” al suo primo viaggio, il
brigantino che alla seconda missione porterà per il mondo il neo laureato
naturalista Drwin, per una serie di osservazioni (“Il viaggio del Beagle”) che apriranno
la strada all’evoluzione e alla selezione naturale. Con l’“Aid” Smith completò
la ricerca idrografica del basso Tirreno, della Sicilla, di parte della Grecia,
e della Sirte (a Leptis Magna fece incetta di colonne, statue, busti, marmi di ogni
genere, sull’esempio di lord Elgin vent’anni prima ad Atene - ma non per la sua
sua villa in Scozia, che non aveva: per i musei inglesi). Realizzò una serie di
carte che saranno in uso alla Marina britannica ancora dopo la seconda guerra
mondiale. Da qui il soprannome. Lavorò anche nell’Adriatico, d’intesa col Regno
di Napoli e con le autorità austriache, realizzando nel 1822-24 una “Carta di
Cabottaggio (sic!) del Mare Adriatico”.
Questa sua attività descrisse in
un “Memoir description of the
Resources, Inhabitants, and Hydrography of Sicily and its Islands” ,
1824. Cui fece seguire nel 1828 uno “Sketch
of Sardinia”. Per le ricerche nel Mediterraneo fu insignito tardi, nel
1854, della Founder’s Meal della Royal Geographical Society. Una delle sue figlie,
Henrietta, sarà la madre di Robert Baden-Powell, il fondatore dello scoutismo.
Sudismi\sadismi - L’evasione del Sud
Sintetico e apodittico Cazzullo
sul “Corriere della sera” rimprovra un lettore a cui non piace il ponte sullo
Stretto: la Sicilia, spiega, “nella classifica dell’evasione fiscale – per
importo evaso ogni 100 euro di gettito, dati del ministero dell’Economia – è
quarta, dopo Calabria, Campania, Puglia, e davanti a Sardegna, Molise,
Basilicata”. Il ponte faciliterà il pagamento delle tasse?
In realtà la classifica non è
dell’Economia ma della Cgia di Mestre. Ed è statistica, numerica: tot reddito,
tot tasse pagate. Non sa – non calcola - che al Sud il lavoro, autonomo e
dipendente, è meno strutturato. Tolti gli impieghi pubblici, quelli regolari
sono pochi – nel commercio prevale l’impegno familiare, per i servizi il rapporto
personale. Per non dire i volumi, che sono incomparabili. La Calabria, record
di evasione, 2 milioni di abitanti, fa mancare al fisco 3,3 miliardi. La Lombardia,
record di virtù, 10 milioni di abitanti, ne fa mancare 14,6. Ogni lombardo
quasi quanto il calabrese. L’evasione per abitante, invece che in rapporto al reddito
è più significativa. Specie tenendo conto che in Lombardia, dove i rapporti di lavoro
e affari sono più strutturati, è più difficile – meno “spontanea”, “naturale”.
Calabria
Ha rivoluzionato la filosofia
nel Cinque-Seicento: le ha ridato aria a fronte della teologia, ha spostato
l’ottica da Dio alla natura, “a rischio del carcere e del rogo” – “come è riconosciuto
dallo stesso D’Alembert nella prefazione all’Enciclopedia” (Sossio Giametta, “Arthur Schopenhauer. Controstoria
della filosofia”). Con Campanella e Telesio e Campanella – e con Bruno, Pomponazzi,
Cardano. È dopo che si è persa?
Ignazio Buttitta, “La paglia
bruciata”, ha “un donna minuta minuta\
una tarantola intirizzita,\ l’amica, la moglie, l’amante?” di un pittore conosciuto
occasionalmente, che gli fa: “Buttitta? Conosco le tue poesie.\ Calabrese
sono”. E gli racconta di un viaggio Roma-Parigi, Parigi-Roma, “un discorso
lungo”, della pittura del marito (“lo chiamava marito)” e della “Calabria
selvaggia,\ l’infanzia,\ i morti,\ la madre pazza…\ Il padre vecchio,\
sclerotico,\ già presidente di Corte d’Assise.\ Un discorso sulla lingua,\ a
palate”. Un ritratto dal vero, verosimile – la “donna del Sud” è piena di
sorprese.
Stanley Tucci, l’attore
americano, si vuole calabrese, benché da genitori già americani, figli di immigrati.
Per gli “usi calabresi” con cui è cresciuto e a cui è legato, soprattutto il
senso della famiglia: pasti in commune, con genitori e sorelle, cucinati, cinema
e gite insieme, vacanze fino ai quindici anni insieme. Il padre legando al paesino
di Marzi, tra i casali di Cosenza, a metà arberëshe per parte di madre. Della madre,
segretaria di professione e scrittrice di gastronomia, riconoscendo e frequentando
la parentela a Cittanova. L’uso familiare, materno, ha ricomposto nelle sue due famiglie, con la prima moglie, morta di tumore, e con la seconda, pure inglesissima. E ha ritessuto girando due anni
fa una serie da lui ideata sulla gastronomia italiana, “Searching for Italy”,
in sette puntate. In questo è sicuramente calabrese (come Gay Talese) – per
alcuni le radici sono necessarie.
“A true Calabrese parenting behaviour” ha Tucci
nel suo libro best-seller di avventure familiari e culinarie, “Ci vuole gusto”,
di un suo grande amico, il nobile calabrese Pino Posteraro, che, dopo aver
provato a studiare Medicina per tre anni, col fratello Celestino gestisce un grande e rinomato ristorante
a Vancouver, in Canada, “Cioppino’s”: “un comportamento da vero padre
calabrese”. Pino si è sostituito d’imperio a servire il suo amico,
rimproverando il camerierino che gli stava illustrando il menu: “Ma che fai,
non ne ha bisogno, gli faccio io quello che vuole”. Sorridendo poi al rimprovero muto dell'amico: “È un bravo ragazzo”. Tutto molto calabrese, la Medicina, l’amicizia, la
ruvidezza sopra i sentimenti.
Un altro cuoco calabrese di
cui Tucci e moglie sono innamorati è Francesco Mazzei. Conosciuto sette anni fa,
nel 2016, a capo del ristorante Michelin di Londra “L’Anima”, che ora è chiuso,
lamenta. E invece Mazzei ora è al centro della scena londinese, a capo di tre ristoranti,
spiega a un intervistatore: “Sartoria”, nelle strada dei grandi sarti maschili,
Savile Road, per una cucina “con molti tocchi nordici”, milanese, tartufo; “Fiume”,
“per la fascia media, con cucina del Centro-Sud, specie Campania”; e “Radici”,
“una trattoria, del Sud Italia”. Mazzei, di Cerchiara, ordine al Merito della
Repubblica, non ancora cinquantenne, è arrivato a Londra passando per Roma, il
Grand Hotel, dopo la gelateria dello zio e la scuola alberghiera al paese. Ha
conquistato Londra in dieci anni o poco più.
leuzzi@antiit.eu
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