A Sud del Sud - il Sud visto da sotto (528)
Giuseppe Leuzzi
Quando
il padre di Stanley Tucci, originario di Marzi, vicino Cosenza, da ragazzo
chiedeva alla madre, girellando per la cucina, “cosa c’è per cena?”, la madre
gli rispondeva: “Cazzi e patate”. L’aneddoto è ripreso da Tucci in apertura del
suo libro di memorie e ricette “Ci vuole gusto”. Subito dopo un colloquio nello
steso stile di lui a sei anni con la madre. Ed è verosimile, oltre che vero:
ogni conversazione, anche animosa, deve avere un sottofondo scherzoso – “zani”
in americano.
Un
giorno Nina Weksler, confinata in guerra a Ferramonti, va in paese. Al ritorno
annota: “Al confronto del paese calabrese,
Ferramonti mi sembra bello, ampio, pulito”. Il campo di concentramento è
meglio del paese calabrese, Tarsia. Tarsia come Eboli, luoghi-non luoghi. La
miseria si dimentica presto, tutta.
Il
campo di concentramento di Ferramonti, per gli “allogeni” nemici, ebrei per
esempio per essere russi, o jugoslavi per essere “comunisti”, era meglio del confine.
Dove si aveva una stanza per sé (una “casa”), un soldo, e la libertà, ma in
qualche paese sperduto – da Eboli in giù.
Se anche la mafia è
milanese
Nelle decine
di pagine dei quotidiani oggi su Berlusconi solo poche righe, a fondo pagina,
sono lasciate ai cronisti giudiziari, cui in miriadi di pagine il defunto ha
cosentito in trent’anni di illustrarsi. Non per questo si prendono meno
seriosamente, ma in poche righe si mostrano per quello che sono: maschere, di
un teatro grottesco.
Che si possa insistere ancora dopo morto, tra le tante
dichiarazioni di affetto, a dire Berlusconi un mafioso, anzi un capomafia si può
capire: si può tutto di tutti, impunemente se si è in un certo filone di giustizia,
come lo sono i giudiziari. Compresa l’accusa triplice di mafia: 1) Berlusconi
si è fatto i soldi riciclando quelli della mafia; 2) Berlusconi ha finanziato
la mafia con 200 milioni di lire l’anno - dopo essersi perduto con Craxi negli
agrumeti di Rosarno (che però è in Calabria e non in Sicilia) in cerca della
Cupola: 3) Nel 1993 ha ordinato le stragi di Firenze e Milano.
Che i già disprezzati cronisti giudiziari col tutto mafia
siano diventati Granfi Firme può dispiacere, ma c’è un rimedio – non comprare
il giornale. Che il Sud sia ostaggio di un paio di bestie di mafia, Cangemi, Brusca, Spatuzza, elevati a traggediaturi e “collaboratori di
giustizia”, e di una mezza dozzina di giudici che “mafia è meglio che
lavorare”, questa è la legge, e bisogna abbozzare – anche se sono giudici tutti
meridionali, quasi tutti siciliani, con una napoletana, e un pugliese. Ma dire
Berlusconi il Capo dei Capi, mettere la Sicilia e il Sud sotto le catene di
Milano anche nella mafia?
L’eredità è un linguaggio
Dopo Gay Talese (“Onora il padre”, “Ai figli dei figli”),
Styanley Tucci (La mia vita attraverso il cibo”): strano destino della Calabria,
di essere celebrata da letterati americanissimi, figli di emigranti, con
passione, e con acume filologico, anche con impegno di ricerca. Celebrata senza
le riserve d’obbligo. Celebrata per virtù che oggi si direbbero tradizionali, anzi
obsolete, e forse più vizi che virtù: la famiglia (la convivenza, la conversazione
incessante, i pasti in comune), l’amore per i figli, dei padri oltre che delle
madri, le grate memorie, la cucina.
Tucci fa, in
questo 2023, una celebrazione lieve e salda della famiglia, delle radici, e di
una cucina familiare, ancestrale, ripetitiva se si vuole, con garbo e
spigliatezza. Non il solito libro di ricette, ma il racconto delle ricette, e
dell’Italia, di ingredienti tutti italiani, quasi tutti. Un’operazione
nostalgica? Che però risulta di lettura avida. Per la sapienza narrativa,
evidentemente, ma pure per il gusto,
anch’esso familiare, tradizionale, dell’aneddoto. E, soprattutto, di un
linguaggio che, anche in inglese, privilegia l’aneddoto. E un linguaggio – i
lunghi dialoghi tra la madre e la nonna sua madre, i coloqui con zii e cgini al
apese dela madre – sempre pregno: semplice (diretto, indicativo), ma dalle
molteplici intonazioni, nel senso di una comunicazione\comprensione implicita,
quella che oggi si chiama empatia, le pause, gli anacoluti, le interrogative
retoriche o negative.
Un libro promozionale
ma non per soldi, emotivamente. Col “presepio”, e le “vigilie” di magro, benché
di tredici portate. Le “zeppule”, i”pitti fritti”, le friselle (il biscotto di
grano cotto due volte). Con i nonni, attivi anche se non impiccioni. Quelli
paterni del cosentino, lui di Marzi, uno dei vecchi Casali di Cosenza, lei di
Serra San Bruno (figlia di una Angela Albanese, una bisnonna a cui si tiene,
perché di origini arberëshe). Quelli materni di Cittanova, al centro della
grande selva di ulivi della piana di Gioia Tauro. La visita ai parenti della
madre a Cittanova, per la vacanza di Pasqua del 1974, quando la famiglia passò
un anno a Firenze, 1973-74, dove il padre si era preso un sabbatico per
lavorare all’Accademia di Belle Arti, è un racconto vivacissimo, di garbo e
scherzo: la ricerca dell’agnello al passo del Mercante, un pranzo che dura una
giornata, prozii e biscugini che non si conoscono ma si parlano.
La madre è, non
detta, al centro della narrazione, il suo segreto – un tributo non detto ma
insorgente a ogni piega: Joan Tropiano.
Laureata, occupata da segretaria, scrittrice, che non fa mancare ai figli un
pasto, a pranzo e a cena, e pubblica due libri di cucina di successo,
“Cucina&Famiglia”, e “The Tucci Cookbook”. Dove troneggia il “timpano”, o
timballo, che è la pasta al forno – di cui Tucci aveva già fatto nel 1986 il climax del suo film di culto sulla cucina, “Big
Night”, che si celebra insieme col classico “Babette’s Feast”: quello della
pasta al forno è “un grande pranzo” – anche se l’amata moglie americana di
Tucci, poi morta di tumore, e la seconda moglie inglese non lo gradiscono… Il
linguaggio sana tutto: di più conta il garbo, e l’ironia, lo scherzo.
Un
libro felice, perfino quando insorge un tumore alla gola, la fine per un
buongustaio. Molto calabrese. Il linguaggio sana tutto: di più cont ail garbo,
e l’ironia, scherzosa. Di un’altra Calabria, migliore fuori? L’understatement
sul tumore si sarebbe portati a dire molto calabrese. Ma “antico calabrese”. Ora
si è al contrario sepolti dai semplici disturbi, parenti, amici, conoscenti non
li risparmiano, l’emigrazione ha cambiato “i gusti” – il linguaggio, la riservatezza,
l’ironia bonaria.
Berlusconi e la Sicilia
Di “Berlusconi
mafioso” si trascura che fece l’en plein, una volta (o due?), al voto
politico, prendendosi tutti i sessanta e passa parlamentari che l’isola
eleggeva, deputati e senatori. Che di più facile, in un’isola che si vuole
mafiosa, che dire: Berlusconi ha preso i voti della mafia? Sarebbe stato un bel
romanzo, nelle mille pagine delle celebrazioni funebri. E invece niente,
nessuno lo ricorda.
Non se ne può
fare colpa ai cronisti giudiziari, che solo sanno di contatti occulti, numeri
segreti, e giudici sbirri. Ma non si ricorda nemmeno che alla Sicilia Berlusconi
voleva regalare il Ponte. Era una sua idea. È stata la sua fissa, si può dire
da sempre, anche prima della “discecsa in campo”. Non un Ponte vero, un
progetto, dei materiali, dei costruttori, ma l’idea del Ponte. Con comitati,
consulenze, concorsi di idee – Berlusconi era generoso con tutti, questo lo
dicono oggi tutti i giornali, perfino “Il Fatto Quotidiano”, che schiera ben 25 giornalisti e vignettisti anti-Berlusconi. Cioè, prendeva i
siciliani per siciliani.
Questo andava
detto. Non sarà qui il punto, che impedisce alla Sicilia di essere una
Lombardia - che cosa le manca? Mentre la Lombardia sa essere siciliana.
Sicilia
Un’agenzia di Messina organizza
un programma “Discover Sicily”, viaggi di siculoamericani nei luoghi di nascita
di nonni e bisnonni. Li traccia uno per uno, studiando l’anagrafe, partenze e
cancellazioni. Le radici possono essere un patrimonio.
“Una terra, la Siciia”, dice
Roberto Andò, “che predilige più l’implicito all’esplicito, l’enigma alla
soluzione”. Notazione che l’intervistatore, Gnoli, può esplicitare: “Si torna
al dire e al non dire. Alla reticenza”. Mentre invece la Sicilia reale è
parecchio chiacchierona, troppo.
Arturo Di Modica, scultore, Di
Modica solo di nome, nato a Vittoria, è famoso negli Stati Uniti, dove ha
realizzato anche il “Toro” simbolo di Wall Street – e un po’ anche a Shangai.
Negli Usa e in Cina viene peridocamente celebrato. Ma la Sicilia non lo sa. È
vero che che subito ai diciott’anni lasciò Vittoria, per Firenze.
A
Cazzullo che chiede di Dell’Utri – “è stato scritto che (Fedele) Confalonieri è
il lato bianco del berlusconisMo, e (Marcello) dell’Utri, condannato per mafia,
quello nero” - Galliani può rispondere: “A parte il fatto che il concorso
esterno esiste solo in Italia, Marcello è nato a Palermo, Confalonieri a Milano
e io a Monza. La cosa è tutta qui”.
I paesani di Sant’Agata li
Battiati (dei battezzati), 10 mila abitanti, sono i più ricchi della Sicilia e
del Sud, con un reddito medio annuo di 28.055 euro, al 152mo posto fra i Comuni in Italia. Subito
poi, a due o tre posizioni nella clasifica nazionale, viene San Gregorio di
Catania, con 28.019 euro a testa. Sono i resti di “Catania, la Milano del Sud”.
Yvette Pierpaoli, francese figlia
di emigrati eoliani, è solo ricordata da Le Carré nelle memorie, “Tiro al
piccione”. Dove rivela in lei il modello del suo romanzo “Il giardiniere
tenace”. E poi, dopo morta, l’ha ricodata sul settimanale “The Observer”.
Indomita imprenditrice sanitaria in Cambogia e altrove. Da ultimo volontaria umanitaria
in Kossovo, dove è morta, alla frontiera con l’Albania, in un incidente d’auto.
Marguerite Duras ricorda (“La vita
materiale”, § “La casa”), al termine di una lunga disquisizione per cui la
casa è donna, anche se è l’uomo a occuparsene, a proposito delle madri cuoche e
serve ansiose dei figli: “Con le Italiane, per esempio, in Sicilia, si vedono
donne di ottant’anni servire figli di sessanta. Le ho viste in Sicilia, di
queste donne”. Duras ne parlava nel 1985, di esperienze fuggitive degli anni
1950. Ma è sempre vero, seppure non solo in Sicilia.
leuzzi@antiit.eu
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