Giuseppe Leuzzi
Flannery
O’Connor ha, nel romanzo “Il cielo è dei violenti”, il “Christ-haunted South”,
un Sud (degli Stati Uniti) ossessionato dal Cristo. Analogamente, il nostro Sud
si dovrebbe-potrebbe dire ossessionato dalla Madonna, innumerevoli sono le sue
facce e i suoi riti. Materno, seppure non matrilineare. Quindi non violento?
Bastianich
evoca su “Repubblica-Gusto” le vigne di cui Catania si attorniava. Che erano
scomparse e ora sono ricomparse. Attorno all’Etna in realtà, più che attorno
alla città, ma non importa. Sono ricomparse, fiorenti produttivamente ed
economicamente, con vini di grande qualità, a opera di non catanesi. È così.
Altre
colture, di bianchi robusti e saporosissimi, sono state abbandonate, negli
stessi anni 1950-1960, sulla Costa Viola, i costoni terrazzati tra Scilla, Bagnara
e Palmi in Calabria. E lì il tesoro sembra perduto per tutti – non sono in
vista vignaiuoli dell’Alto Adige, esperti in terrazzamenti.
Erano,
sono, incoltivabili? Nelle Cinque Terre no, dove pure erano soggetti a
dilavamento, non sono stati abbandonati. Con profitto (enorme) di tutti.
Il
Sud è probabilmente l’area europea a più forte consumo pro capite di antibiotici,
calcola l’Agenzia del Farmaco. In Europa i paesi nordici consumano pochi antibiotici,
il consumo pro capite più elevato è in Francia, Grecia, Cipro e Italia, nell’ordine.
Ma in Italia è al livello nord-europeo nelle regioni del Nord, mentre al Sud è
quasi il doppio. Al Nord si registra un consumo di 8,7 “dosi al giorno” per mille
abitanti, al Sud e nelle isole di 15,3 “dosi al giorno”. Per nessun motivo specifico.
Sudismi\sadismi
“Fuori uso il bancomat della
cortesia”: domenica l’altra in prima pagina sul “Corriere della sera” Aldo
Grasso irrideva Musumeci, l’ex presidente della Regione Sicilia ora ministro della
Protezione Civile, delegato agli interventi in Romagna dopo l’alluvione:
“«Questo governo non è un bancomat». Con queste sprezzanti parole … ha
liquidato le richieste che gli amministratori locali di Emilia e Romagna gli
avevano rivolto per far fronte all’alluvione….”. Parole, aggiunge Grasso,
“dette da uno, poi, che ha governato la Sicilia, una regione dove strade e
ferrovie frenano e franano”.
Non è vero, e il giorno dopo
il giornale ha pubblicato la smentita. Musumeci non ha detto “questo governo” ma “il
governo”. Lo ha detto all’intenzione di “un amministratore invitato per mera
cortesia” (il sindaco di Rimini, n.d.r, Jamil Sadegholvaad, del Pd), che “non
può….presentarsi al tavolo e contestualmente alimentare sulla stampa una subdola
campagna di disinformazione e di denigrazione ai danni di un governo che … ha
fatto tutto il possibile, con un impegno senza precedenti per celerità e
quantità”.
La lettera è stata pubblicata integrale.
Con la giusta rivendicazione: “Confermo che il governo non può essere inteso
mai come un bancomat, cioè buono solo a erogare denaro a richiesta. E lo dice,
per rispondere al sottile riferimento di Grasso, un ex presidente che nella sua
regione, in questa materia, ha creato l’Autorità di bacino, attesa da trent’anni,
ha varato il primo Piano contro la desertificazione, ha speso cento milioni per
la pulitura dei fiumi, e destinato al contrasto delle frane circa mezzo
miliardo di euro”.
Aldo Grasso rimprovera Musumeci,
in prima pagina. Musumeci si difende in diciassettesima. Con una lettera al
direttore. Con replica di Grasso.
La scomparsa di
Palmi – un apologo
Sandra Misale, biologa, incaricata
dal dipartimento di oncologia di uno dei maggiori ospedali americani di creare
un Misale Lab per lo studio di nuovi farmaci, si schermisce con Paolo Bricco
sul “Sole 24 Ore” che la incontra a Torino, dove si è laureata: “La mia famiglia
è di Palmi, una città di quindicimila abitanti vicina a Gioia Tauro”. Quasi si scusa.
Anche se non ne avrebbe motivo: “A Palmi”, continua infatti, “mi sono diplomata
al liceo linguistico. Era una scuola sperimentale. Studiavamo tedesco, francese
e inglese e, in più, le materie scientifiche con i programmi del liceo scientifico”.
Lei poi ha studiato biologia
molecolare a Torino, abitando dai parenti emigrati per lavorare a Chivasso, alla
Lancia. La sorella, che lavora anch’essa
negli Stati Uniti, si è invece laureata a Cosenza. Bricco le trova “le
fattezze di chi arriva da quel pezzo di Mediterraneo scosceso e di montagna che
è la Calabria”, “piccola di statura”, che parla “con la vocalizzazione aspirata
di chi è cresciuto in Calabria”.
Però è anche vero che Palmi
era e non è. Era un mandamento-sottoprefettura. Con palazzo di giustizia e scuole
di tutti gli ordini e grado. Con un teatro, che faceva anche l’opera – sono di Palmi
Cilea a Manfroce. Tutte queste cose ce le ha ancora, ma in subordine. A cosa?
Alla sopravvivenza. Aveva ristoranti di culto in posti strepitosi. Aveva la
Marinella – che ha tuttora, ma di fatto impraticabile da mezzo secolo. Ha
ancora il miglio più bello di mare e di acqua di mare, trasparente. Con le
alici e il pescespada. Dall’Ulivarella alle Pietre Nere, un mondo omerico. Ma
non se ne occupa – da vent’anni è provvista di un porto da diporto, ma non lo
ha mai fatto funzionare (nemmeno per il piccolo business dei migranti). Sopravvive, e anzi arretra – la costa jonica
al converso, desertica e afosa, ogni anno si propone con nuove attrattive.
Dice: la mafia. Perché, c’è la
mafia a Palmi? C’è solo a Palmi? È il tradimento della borghesia. La Calabria
ne ha poca, e per di più pavida, cioè inerte – borghesia professionale, per lo
più, quale è tipica di una cittadina come Palmi, magistrati, avvocati,
insegnanti, impiegati della sottoprefettura. L’ultimo scrittore di Palmi, Domenico
Zappone, parliamo di cinquant’anni fa, satirico corrosivo, ne avrebbe ricavato
grande materia, se non avesse ceduto all’impulso di soccombere. I Manetti Bros, Antonio e Marco, nel millennio, avrebbero una miniera spalancata se osassero di più - lo scherzo e la satira sono campi fertili inesplorati, in questa Italia sotto correzione.
Il governo milanese del
non-governo
Milano, il “Corriere della
sera”, “Mani Pulite”, la trama svelata del governo del non-governo.
Mieli a La 7, alla maratona di
Mentana il giorno della morte di Berlusconi, aspetta notte inoltrata, le undici
di notte, quando gli spettatori sono pochi, ma alla fine lo dice. Fu la Procura
di Milano a dargli in anteprima, prima cioè che il destinatario lo ricevesse e
si consultasse con i legali, l’avviso di garanzia a Berlusconi, domenica 20
novembre 1994, che il giorno dopo doveva presiedere a Napoli un forum Onu sulla
giustizia, e invece perse il governo. Un avviso di garanzia per un’indagine,
che poi si rivelerà inventata (poichè la
Guardia di Finaza non aveva scoperto pratiche illegali nelle mille
perquisizioni ordinate nelle aziende di Berlusconi, Berlusconi aveva pagato la
Guardia di Finanza…).
Sulla vicenda, il ruolo di
Mieli, la rivelazione e l’indignazione tardive si può leggere in sintesi
http://www.antiit.com/2023/06/le-trame-non-tanto-oscure-di-mani-pulite.html
Il fatto curioso è che Mieli
non dice tutto – dice che non dice tutto. Per omertà? Per ricatto? Manda
infatti un “avvertimento”: “Non lo dirò qui fino in fondo….”. E dove? E quando?
Ma non c’è dubbio che “Mani Pulite” non solo è stata milanese, ma non poteva
non esserlo. Col “Corriere della sera” e “la Repubblica”, che Scalfari voleva
milanese di spirito. Contro Craxi. Non per fatti personali, o politici (contro il partito Socialista, per conto della Dc o del partito Comunista, le "due culture" celebrate da Scalfari), ma perché Craxi
voleva un governo che governasse, come a lui era riuscito per una congiuntura
rara – aveva vinto un referendum impopolare sulla scala mobile, abbattuto
l’inflazione dal 25 al 3 per cento (sic!), contrastato la strafottenza
americana, mentre schierava gli euromissili, portato l’Italia a competere con la Gran Bretagna per il quarto posto fra le economie mondiali. Craxi non era addomesticabile,
predicava la “governabilità”, e quindi andava abbattuto - era un fascista, un corrotto,
un ladro.
Si dice l’accoppiata giustizia-media,
giudici-giornali, ma no, è Milano – quella c’è, Mieli l’attesta, ma non decide.
Milano odisoamata
Giovanni Gavazzeni fa sul
“Venerdì di Repubblica” un Giacomo Puccini implume esule a Milano al
Conservatorio come un modesto studente
fuori sede vittima oggi nella stessa
città del caro-affitti. Rinchiuso nella “fredda cameretta” che condivideva con
lo scorbutico Pietro Mascagni, per riscardarsi reciprocamente col fiato contro
i geloni, s’immagina. “Lo stambugio di via Solferino” dove sicuramente, può
dire Gavazzeni avendo compulsato l’amplissimo epistolario del maestro,
“condivideva i fagioli mandati da casa”, sempre con Mascagni. Scrivendo di
Milano esacerbato alla mamma: “Città schifosa, sudicia, merdosa, putrida,
caliginosa, infame, scureggialla (?), bifolca, bianca di grappa (almeno fosse di
quella fina), con quel Duomo che pare un panforte di Siena ammuffito in
cantina,… con quei risotti che paiono cacca gialla di bimbi, con quelle
cotolette che paiono guance di parroci rifiorite dai ponci (…) quel parlare
poi! Pare un rutto dopo una sbornia da giovedì grasso”.
Ma, bisogna dire, non
dissuaso. Come gli odierni fuori sede: il caro-affitti non scoraggia le
iscrizioni alle università milanesi – sempre più private, peraltro, quindi molto
più care del letto-in-una-stanza. Puccini era a Milano, a 22 anni, con una
borsa di studio modesta, regalo dela regina Margherita e di un medico amico di
famiglia. E della città era anche entusiasta, sempre nelle lettere a mamma
Albina, al borgo in riva al lago: “Che meravigliosa città. E che gioventù!”.
Entusiasmo che il biografo ultimo Julian Budden condivide, facendo di Milano
negli anni 1880 la città-traino dell’Italia, soprattutto di quella musicale.
Questo non è vero, Milano
contava poco, ed era in crisi economica – in “recessione”. Ma non importa, è
vero che anche l’editoria musicale era già milanese, tra Sonzogno e Ricordi, e
l’editoria e la Scala attiravano i futuri operisti in misura maggiore che
Napoli o altre capitali della musica. Quanto alle lamentele, del cibo, e dell’aria,
si può testimoniare di persona in favore di Puccini. È dai tardi anni1960,
grazie ai fruttivendoli napoletani, che Milano ha cominciato a respirare in cucina: a riconoscere gli ortaggi e le insalate, a
cuocere la pastasciutta. Prima, per mangiare, andava alle trattorie toscane (dove però, ancora, le verdure si limitavano a lessarle).
leuzzi@antiit.eu
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