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Aida, una storia di amore, pacifista
Niente
kitsch , flabelli, baldacchini, negretti, eserciti, cavalli,
per l’ Aida” a Verona, alla celebrazione del centenario dell’Arena –
dell’apertura dell’Arena alla lirica, per la giusta intuizione del tenore
veronese Giovanni Zenatello nel lontano 1913, quando di persona constatava
l’acustica dell’anfiteatro. Una rappresentazione sempre kolossal, con un’orchestra di 160 elementi, altrettanti coristi, e
masse di oltre duecento figuranti, tra ballerini e comparse. Tutti con lusso di costumi, ma in un’atmosfera quasi
intimista: Stefano Coda, il regista, che è anche scenografo, costumista e
coreografo della rappresentazione, fa scoprire la vera essenza dell’opera, che è
una storia d’amore – a cominciare dalla celeberrima “Celeste Aida” d’apertura.
Il
sottile tema dell’opera è dell’amore non riamato, di Amneris in mezzo a Radames
e Aida. Che s’intreccia coi destini di due re, di due popoli. Un plot perfetto, inventato dall’egittologo
francese Augste Mariette (Antonio Ghislanzoni. che figura autore del libretto,
è solo un adattatore) per il khedivé d’Egitto, che voleva una degna
celebrazione del canale di Suez – lo stesso Mariette che tanto si adoperò per
convincere all’opera un Verdi recalcitrante, approntandogli anche la
possibilità di provare a Parigi invece che al Cairo.
Coda
ha potuto giovarsi della sonorità naturale dei protagonisti, Netrebko, Eyvazov
e Olesya Petrova, tanto gli è bastato per sedurre e commuovere. La guerra
lasciando sullo sfondo, da pacifista, critico. La battaglia ha inscenato stilizzata,
con balletti capolavoro, di coreografie quasi indistinte, di movimenti
naturali, senza clangori né crudeltà. Questa limitando alla gigantesca mano che
funge da sfondo, unico riferimento battagliero e crudele, rinviando al deposito
di mani mozzate dagli Hyksos ritrovato ad Avaria (Tell el-Daba). Un monito più che una vicenda.
Stefano
Coda, Aida di Verdi, Arena di Verona
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