venerdì 2 giugno 2023

Erdogan portato da operai e donne

Erdogan aveva  vinto già al primo turno. Aveva avuto 27,1 milioni di voti, 700 mila più che al primo turno delle presidenziali 2018. Meno bene aveva fatto, nel parallelo voto parlamentare, il suo partito, Akp, perdendo due milioni di voti sul 2018. Ma aveva conservato la maggioranza relativa al Parlamento, col 35 per cento. E in alleanza con due formazioni islamiste anche quella politica, 323 seggi su 600.
Erdogan ha vinto col voto operaio e femminile. Hanno votato per lui due elettori su tre del milione e mezzo di votanti in Germania – con punte più alte nella Ruhr, regione di fabbriche. E il distretto di Bursa, la quarta città più grande della Turchia, al centro dell’industria automobilistica – prima di Erdogan era “Bursa la rossa”. Ha votato per lui naturalmente in Turchia l’elettorato islamico, confessionale. Ma, in questo caso, soprattutto quello femminile.
La Turchia confessionale si tende a escludere, nelle analisi, dal paese “moderno”, proiettato sul futuro. Cui invece naturalmente ambisce: benché confessionale, è una borghesia, piccola e media, urbana e integrata nel tessuto sociale. Che era a disagio nella di Ataturk, di cui l’esercito è stato variamente il custode a lungo, del laicismo obbligato. Mentre con Erdogan ha trovato riconoscimento  sociale. Al voto precedente, nel 2018, il voto femminile per Erdogan e l’Akp ha sfiorato il 60 per cento, tre donne su cinque.
Si tende ad avere della Terchia l’immagine di un paese rurale, mentre è fortemente urbanizzato – le sole quattro città più grandi, Istanbul, Ankara, Smirne e Bursa, assommano a 33 milioni di residenti, sugli 85 milioni del totale. E comunque proiettato nella modernità. L’abolizione introdotta da Erdogan del divieto di portare il velo nella funzione pubblica, dalle scuole agli uffici, ha aperto liceri, università e occupazioni alla stragrande maggioranza dell’elettorato femminile.
Una delle prime iniziative di Erdogan primo ministro nel 2003, prima ancora di eliminare il divieto di velo, fu di aprire il suo partito, l’Akp, al “femminismo velato”: misure di sostegno alle donne immigrate nelle grandi città, e reti solidaristiche sussidiarie al welfare.

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