sabato 10 giugno 2023

La Nuova Politica Americana - 2

Gli ambienti d’affari americani sollecitano il mantenimento di relazioni aperte con la Cina – e con l’India. Da qui gli annunci ricorrenti che il segretario di Stato Blinken si appresti a fare visita a Pechino per ricucire i rapporti. Ma non ha in agenda offerte per scongelare i rapporti. Mentre si minaccia, e si attua, il blocco di molte attività cinesi in America, da Huawei a TikTok.
Sullivan, criticato il liberismo, difende con molte cifre il nuovo approccio economico: una “politica industriale” di investimenti pubblici, cospicui, in grado di eliminare strozzature, produttive o tecnologiche, e mobilitare gli investimenti privati. Una politica già in atto, col piano infrastrutturale “American Rescue” del 2021, e con le due leggi-quadro del 2022, l’Ira (Inflation Reduction Act), per il finanziamento della produzione, e il Chips and Science Act, per il finanziamento della tecnologia strumentale.
A fronte delle non citate – o non espresse - perplessità e critiche europee e asiatiche sulla natura protezionistica di questa politica industriale, Sullivan fa valere che un riordino con gli alleati occidentali è in corso: “Stiamo sfruttando l’Inflation Reduction Act per costruire un ecosistema di produzione di energia pulita radicato in catene di approvvigionamento qui nel Nord America, ed esteso all’Europa, al Giappone e ad altri. Trasformeremo l’Ira da fonte di attrito a fonte di forza e affidabilità”.
A questo fine enfatizza la “dichiarazione congiunta” Biden-von der Leyen per una transizione energetica “coordinata” – basata su “audaci investimenti pubblici nelle rispettive capacità industriali”, negli Stati Uniti come in Europa. E cita una lunga serie di accordi: il Consiglio Usa-Ue per il Commercio e la Tecnologia, il trilaterale con Giappone e Corea del Sud, l’Apep, Americas Partnership for Economc Prosperity (Usa, Canada, Messico e altri apesi latinoamericani), e l’Ipef (Indo-Pacific Economic Framework) lanciato da Biden un anno fa, il 22 maggio 2022 – un foro di discussioni cui partecipano 14 paesi, compresi Giappone e Corea del Sud.  
In questa nuova ottica la Wto, l’organizzazione del commercio internazionale, che gli Stati Uniti trascurano e anzi contestano da un quinquennio, dopo averla creata, facendone il motore della globalizzazione, dovrà abbandonare le politiche liberistiche degli ultimi trent’ann e darsi nuove priorità: catene di aprovvigionamento sicure, clima, lavoro (posti di lavoro, retribuzioni), sicurezza digitale, tassazione equanime e coordinata delle imprese. La Wto e ogni altro accordo o organismo internazionale dovrà garantire contro il dumping sociale e quello ambientale: “Dobbiamo garantire che i nostri concorrenti non ottengano vantaggi degradando il pianeta”.
L sguardo si allarga infine alle “altre economie”, o economie “emergenti”, cioè all’Afica e a larghe parti dell’Asia. Il progetto è di mobilitare “trilioni di dollari di investimenti nelle economie emergenti”. Col dichiarato proposto di fronteggiare l’inziativa cinese, la Belt and Road Initiative. A questo fine saranno mobilitate la Banca Mondiale e le banche regionali di sviluppo, e attivata una Pgii, Partnership for Global Infrastructure and Investment, per canalizzare gli investmenti in particolare sulle infrastrutture  e sulle fornti di energia.
Poco dice Sullivan sulla Cina, in termini dirttti. Solo ripropone la formula di Janet Yellen, la ministra del Tesoro ex presidente della Federal Reserve (la quale riprendeva un concetto di von der Leyen): gli Stati Uniti sono per la “diversificazione - per il derisking e non per il decoupling.
(fine)

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