La Nuova Politica Americana - 2
Gli
ambienti d’affari americani sollecitano il mantenimento di relazioni aperte con
la Cina – e con l’India. Da qui gli annunci ricorrenti che il segretario di
Stato Blinken si appresti a fare visita a Pechino per ricucire i rapporti. Ma non ha in agenda offerte per scongelare i rapporti. Mentre si minaccia, e si attua, il blocco di molte attività cinesi in America, da Huawei a TikTok.
Sullivan,
criticato il liberismo, difende con molte cifre il nuovo approccio economico: una “politica industriale” di investimenti pubblici, cospicui, in grado di eliminare
strozzature, produttive o tecnologiche, e mobilitare gli investimenti privati.
Una politica già in atto, col piano infrastrutturale “American Rescue” del
2021, e con le due leggi-quadro del 2022, l’Ira (Inflation Reduction Act), per
il finanziamento della produzione, e il Chips and Science Act, per il finanziamento
della tecnologia strumentale.
A
fronte delle non citate – o non espresse - perplessità e critiche europee e
asiatiche sulla natura protezionistica di questa politica industriale, Sullivan
fa valere che un riordino con gli alleati occidentali è in corso: “Stiamo sfruttando
l’Inflation Reduction Act per costruire un ecosistema di produzione di energia
pulita radicato in catene di approvvigionamento qui nel Nord America, ed esteso
all’Europa, al Giappone e ad altri. Trasformeremo l’Ira da fonte di attrito a fonte
di forza e affidabilità”.
A
questo fine enfatizza la “dichiarazione congiunta” Biden-von der Leyen per una transizione
energetica “coordinata” – basata su “audaci investimenti pubblici nelle
rispettive capacità industriali”, negli Stati Uniti come in Europa. E cita una
lunga serie di accordi: il Consiglio Usa-Ue per il Commercio e la Tecnologia,
il trilaterale con Giappone e Corea del Sud, l’Apep, Americas Partnership for
Economc Prosperity (Usa, Canada, Messico e altri apesi latinoamericani), e l’Ipef
(Indo-Pacific Economic Framework) lanciato da Biden un anno fa, il 22 maggio
2022 – un foro di discussioni cui partecipano 14 paesi, compresi Giappone e
Corea del Sud.
In
questa nuova ottica la Wto, l’organizzazione del commercio internazionale, che
gli Stati Uniti trascurano e anzi contestano da un quinquennio, dopo averla creata,
facendone il motore della globalizzazione, dovrà abbandonare le politiche liberistiche
degli ultimi trent’ann e darsi nuove priorità: catene di aprovvigionamento sicure,
clima, lavoro (posti di lavoro, retribuzioni), sicurezza digitale, tassazione
equanime e coordinata delle imprese. La Wto e ogni altro accordo o organismo
internazionale dovrà garantire contro il dumping
sociale e quello ambientale: “Dobbiamo garantire che i nostri concorrenti non
ottengano vantaggi degradando il pianeta”.
L
sguardo si allarga infine alle “altre economie”, o economie “emergenti”, cioè
all’Afica e a larghe parti dell’Asia. Il progetto è di mobilitare “trilioni di
dollari di investimenti nelle economie emergenti”. Col dichiarato proposto di
fronteggiare l’inziativa cinese, la Belt and Road Initiative. A questo fine saranno
mobilitate la Banca Mondiale e le banche regionali di sviluppo, e attivata una
Pgii, Partnership for Global Infrastructure and Investment, per canalizzare gli
investmenti in particolare sulle infrastrutture
e sulle fornti di energia.
Poco
dice Sullivan sulla Cina, in termini dirttti. Solo ripropone la formula di Janet
Yellen, la ministra del Tesoro ex presidente della Federal Reserve (la quale
riprendeva un concetto di von der Leyen): gli Stati Uniti sono per la “diversificazione
- per il derisking e non per il decoupling.
(fine)
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