skip to main |
skip to sidebar
L’etica del lavoro, o dello sfruttamento
Ci
sarà un “dopo il lavoro”, un’era del tempo libero? Forse c’è già. Il lavoro a
lungo è stato deprecato, era condizione servile. L’“etica del lavoro” nasce col
tardo calvinismo, nei tardo Seicento – agli albori, andrebbe aggiunto, della
rivoluzione industriale. E dunque si può cambiare.
Gandini,
l’italo-svedese narratore documentarista di altre realtà, specie della “Videocracy”,
prima del grillismo e dei talk-show tv,
ci prova. Con semplici interviste, tagliate come se fosseri narrazioni degli intervistati,
ma appassionanti.
Si
parte col lombardo che a quaranta o cinquant’anni scopre che non gliene frega
nulla della censura paterna, “datti da fare”, “non avrai un futuro”, e fa quello
che sempre gli sarebbe piaciuto, potare. L’ereditiera, che cura i fiori, ferra
il cavallo, fa sgambare il cagnetto, e beve volentieri un bicchiere sui bei
divani della bella casa patrizia, con compagno altrettanto nullafacente, e entrambi
sanno che non rubano nulla e semmai danno un contributo, piccolo, all’ambiente
e alla società. Tra gli opposti. I coreani, vecchi e giovani, che lavorano
sedici ore al giorno, sei giorni la settimana, due ore le perdono per il
pendolarismo, una per mangiare e i bisogni, e dormono, male, cinque ore. O gli
americani workaholic. Il promoter, motivazionista,
che si sganascia dalle risate all’idea di sei o anche cinque settimane di ferie:
un americano impazzirebbe, l’americano ama lavorare, l’etica è del lavoro – e
ad altri aspiranti gestori del personale spiega che ai rilevamenti demoscopici
nessun manager o imprenditore privilegia l’istruzione, pochi la puntualità e la
socievolezza, mentre tutti vogliono dedizione. Con una filosofa, sempre americana,
che spiega l’etica del lavoro calvinista. Per subito poi riposare su una poltrona
soffice snodabile, che la mette comoda senza alcuno sforzo personale, con marito
compiaciuto, tutto molto americano. All’altro
estremo i koweitiani, che sono pagati - tutti i cittadini koweitiani hanno
diritto a un “lavoro” statale - anche quando non hanno nulla dafare, per
giorni, settimane, anni.
Insomma,
il lavoro se ne parla tanto da tanto, da un paio di secoli, ma non si sa che
pensarne. Luca Ricolfi fa vedere in tabella che l’Italia ha il record dei fannulloni
– ufficialmente neet, i “giovani”
venti-trentenni che non lavorano, non studiano, non imparano un mestiere: sono uno
su tre. E lancia un’ipotesi, che non è quella solita dell’Italia matrigna, che
non offre un’opportunità ai suoi figli, ma esito della natalità bassissima da
un trentennio: nelle famiglie ormai “cinesi” da due generazioni i figli, eredi
di due genitori e quattro nonni, fanno gli “ereditieri”, anche se non hanno una
magione di campagna, o non sanno accudirla.
Materiali
ovvi, perfino scontati. Ma montati con sapienza, e con tagli, scorsi, illuminazioni
invoglianti. C’è perfino Elon Musk, che si penserebbe uomo d’affari e di soldi,
a ipotizzare “inevitabile, necessario”
un salario minimo mondiale. Che è, a ripensarci, non un’elemosina coatta, alla
koweitiana, ma un misura minima contro il dumping
sociale, di cui molte economie beneficiano, in Asia, in Africa e in America
Latina, lo sfruttamento del lavoro.
Erik
Gandini, After Work
Nessun commento:
Posta un commento