venerdì 30 giugno 2023

Letture - 524

Biarritz-la-Négresse – Cambia nome, nel quartiere periferico di Biarritz, la stazione ferroviaria con questa denominazione, che serve i treni provenienti da Parigi in direzione di Irun e della Spagna, Dopo 220 anni. Il nome è ricordato da Nabokov nel racconto ”Primo amore”, del viaggio estivo che “nei primi anni” del Novecento fece da ragazzo con la famiglia, la madre, il padre, il fratello, le sorelle, verso la Spagna. Prendeva il nome dalla donna che all’inizio dell’Ottocento avrebbe gestito l’albergo del quartiere, per conto di un padrone schiavista, cui i soldati di Napoleone, di passaggio nel 1813, avrebbero dato il soprannome la Négresse. Resiste invece l’analoga denominazione del quartiere della stazione, che in origine si chiamava Harausta, parola basca per “polveroso”: era il nome dell’albergo prima della gestora di origini africane.
Numerose iniziative, politiche e anche giudiziarie, intraprese a partire dal 1994, quando Biarritz si apprestava a ospitare un vertice periodico franco-africano, per ridare al quartiere il vecchio nome basco, che sarebbe tuttora usato dai bascofoni anziani, sono stati respinti, anche con durezza, dai sindaci, dalle amministrazioni provinciali, dal governo, dai tribunali. Il ministro degli Esteri del 1994, Alain Juppé, si rifiutò “categoricamente” di cambiare il nome. Un sindaco qualche anno dopo rigettò la richiesta come “ridicola”. Una sindaca di sinistra successivamente rispose che la denominazione era onorifica, testimonianza di una manager intraprendente in epoca oscura. Altre iniziative furono intraprese per il G 7 del 2019. In precedenza, e successivamente, varie iniziative di parlamentari socialisti  e dello scrittore franco-senegalese Karfa Diallo, sono state rigettate amministrativamente, ancora dal comune, dal dipartimento, dal governo. Un sondaggio del giornale regionale “Sud-Ouest”, di Bordeaux, ebbe nel 2015 una risposta al 94 per cento favorevole al mantenimento della denominazione, su seimila partecipanti. Due accademie linguistiche basche si sono ingegnate di trovare un’etimologia locale alla denominazione, non razzista, anche se senza risultati aprezzabili. Anche la società autostradale, che fa capo al gruppo Vinci, ex Société Générale d’Entreprises, il più grande, o il secondo più grande, gruppo di costruzioni e gestioni autostradali, si rifiuta di cambiare il nome del casello.

D’Annunzio – Ma (non) era anche gay? È stato detto? Non sembra, si enumerano sempre relazioni focose e corrispondenze lunghe femminili. Di donne-donne, cioè, non in transizione. Mentre molto lascia da pensare il suo maschilismo da caserma, nelle trincee durante la Grande Guerra, e poi a Fiume, uno stordimento molto macho. E i versi? In “Versilia” si finge “ninfa boschereccia”, per celebrare scopertamente, dopo molto ammiccamenti, dell’uomo che guata e insegue, “la tua pelle\ che il Sol feceti fosca. Snelle\  hai gambe come bronzo lisce”.  O. Wilde, per dirne uno, pur confesso, non aveva  ostato tanto.   

Ironia – Sciascia, “L’affaire Moro”: “Nulla è più difficile da capire, da decifrare, dell’ironia. E se si può impiccare un uomo muovendogli come accusa una sola sua frase avulsa da un contesto, a maggior ragione, più facilmente, lo si può impiccare muovendogli contro una sua frase ironica”.
L’impiccagione che Sciascia deplorava era figurata e non, riferendosi all’ironia amara che traspariva dalle ultime lettere di Moro dalla prigionia – quasi si fosse reso conto di essere detenuto da altro, sorprendente, potere, quello di dargli la morte “per amicizia”, coma “a sua difesa” – la morte di Moro è una tragicommedia.

Promozioni –Viene l’estate e si fa pubblicità ai libri. Ottima cosa, i libri svagano e formano. La pubblicità è di romanzi. Bene. Ma con ridotto (ripetitivo) tipologia promozionale: un milione di copie vendute (o tre milioni), anche “un milione e mezzo” (e “oltre un milione e mezzo”), di copie vendute, tradotto in venti, trenta, quaranta paesi, autore\autrice “di grande successo internazionale”, “subito in classifica all’uscita”, “un fenomeno editoriale”, ”già venduto in trenta paesi”, “il n.1 del New York Times”,:
Sono romanzi, in genere, di amore e dolore. Per una buona metà, quest’anno, sotto forma di thriller. Di una “investigatrice per caso”, un “padre (prete) Raffaele”, aspirante pasticciera, tanatoesteta, “la nuova Miss Marple”, una centenaria (102nne) col mitra. Poi si leggono gli inserti nei giornali, o le anteprime sui siti, e non si trova niente di cosi “irresistibile”, “senza respiro”, “da leggere in una notte”. Come promesso.

Le promozioni sono poi in genere assortite della foto dello scrittore o scrittrice, formato tessera abitualmente, quindi face, in genere in età, grigio-nere, tese se non stremate. Che non si capisce se sono messe lì per spaventare - dissuadere.

Prefazioni-Postfazioni – Kierkegaard ne compilò un libro. Le idee di cui non scrisse il libro – il summary della saggistica angloamericana. Tabucchi se le annota, in una delle tante riflessioni che fa del suo romanzo non pubblicato, “Lettere a Capitano Nemo”, come “meta romanzo”: “Come postilla al romanzo già scritto”, annota in un’agenda bancaria del 1977 (ora sempre in “Letttere a Capitano Nemo”, Oscar, p.118): “Perché è di fatto un meta romanzo;  è cioè un romanzo che continua, sotto forma di analisi e di riflessione, il romanzo già concluso. È un romanzo sul romanzo”.

Pseudonimi - Due sorelle, Floria e Michela Martignoni, hanno scelto uno pseudonimo maschile, Emilio Martini. Mentre lo scrittore franco-algerino Moulessehoul firma con un nome femminile (della moglie), Yasmina Khadra - ma era colonnello dell’esercito algerino quando cominciò a pubblicare. In Spagna la vincitrice del premio Planeta, lo Strega nazionale, Carmen Mola, si è rivelata essere tre scrittori, Jorge D iz, Antonio Marchero e Agustìn Martinez, di mestiere sceneggiatori.
Scrivere – Tabucchi lo dice attività “schizofrenica”, in una delle sue “Lettere a Capitano Nemo”, non spedite, dell’omonimo romanzo non pubblicato  p.164). Perché lo scrittore, finito il racconto o il romanzo, “non è più quello stesso uomo che scriveva  il romanzo…. Ma si vede e si giudica per quello che era quando lo stava scrivendo”. Una schizofrenia, aggiunge, che può raggiungere “il numero 3 per esponente”, cioè, intende, di terzo grado, se “per paradosso…colui che si è per così dire «scisso» nella personalità di un bambino per scrivere un romanzo, ora, riacquistata la propria, spieghi le scelte di un bambino con la sua capacità raziocinante di adulto - che naturalmente non può essere quella del bambino.
Elucubrato, ma a Tabucchi si attaglia: il bambino sarebbe quello che, nel suo progetto di romanzo, scrive le lettere a Capitano Nemo. Le scrive invece di lui stesso, del Tabucchi scrittore – le lettere sceneggiano e raccontano fatti personali, di vita vissuta, forse , perché no, dallo stesso autore qua do era bambino.

Viaggiare – Chesterston era contro: “Viaggiare restringe la mente”. Anche Emerson: viaggiare è “il paradiso di un pazzo”. O Pessoa: “Aborrisco nuovi modi di vita e posti non familiari…  L’idea di viaggiare mi nausea” – lui che dal Portogallo aveva viaggiato in Sud Africa, e dopo alcuni anni ne era tornato, “traduceva, lavorava, scriveva, studiava e pensava in inglese” (wikipedia), si faceva mentalmente lunghe trasferte, a Parigi, a Londra, anche a Roma, e il viaggiare celebrò in celebri versi dallo stesso titolo, come metafora della vita.
Del rifiuto del viaggio fa il conto la filosofa magiaro-americana Agnes Callard (“The Case against travel”) che è di famiglia ebraica, e personalmente è emigrata due volte, da Budapest a Roma, e da Roma negli Stati Uniti. Dove si trova bene.  


letterautore@antiit.eu

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