domenica 18 giugno 2023

Ombre - 672

“Nella nuova geografia di serie A e serie B proprietà estere al35 per cento”, calcolano Bellinazzo e Giardina sul “Sole 24 Ore”. È una cosa buona? Per lo sport no: sono investimenti finanziari a fini fiscali o di speculazione. A volte canali di guadagno: il padrone indonesiano dell’Inter, prima dei cinesi, prestava denaro al club all’8 per cento, in anni di tassi zero.
 
A Terni l’avvocato Amara è condannato per diffamazione contro l’Eni, per “una serie di esposti anonimi alla Procura della Repubblica di Trani e, poi, una denuncia alla Procura della Repubblica di Siracusa – al cui interno poteva contare sulla complicità del PM Dott. Longo”. Tutti risultati falsi, “per stessa successiva ammissione dell’Amara”. L’Amara che ha tenuto impegnata la Procura di Milano – non quella di Trani, che non ha niente da fare, stando così vicina a Bari, un poltronificio - per un decina d’anni. Per stupidità o per cattiveria? S’intende della Procura di Milano.
 
Non si può dire che niente sia migliorato a Roma, nella città, con il Pd al governo. Nel primo bilancio l’addizionale Irpef è ai massimi consentiti dalla legge, e anche le multe stradali, sono aumentate del 50 per cento, poco meno. Quando si vuole, si può governare – è la pulizia che dev’essere indigesta.
 
Il capo ufficio studi della Danske Bank, che non è la banca centrale danese ma una banca, ipotizza, “probabilmente”, che il tour di Beyoncé, la cantante texana, abbia incrementato il tasso d’inflazione in Svezia di 2-3 decimali di punto – anche se nel mese in questione, tra aprile e maggio, il tasso d’inflazione è sceso dal 10,5 al 9,7 per cento. Dopodiché tutti a calcolare di quanto i fan della diva  si spostino, in Svezia e da fuori, o a Cardiff, o, altrove dove lei è in tour, spendendo in panini, bevande, pernottamenti, biglietti, trasporti, eccetera.
Una tesi ridicola, ma una promozione eccezionale del tour e della cantante. Forse anche gratuita. Poiché la ripropongono con dovizia e serietà i giornali Usa, e anche il “Corriere della sera”, “Il Messaggero”, “Il Giornale”, “Il Fatto Quotidiano”.
 
In un’intervista a Luciano Fontana il 24 marzo 2011, ripresa da “7”, Berlusconi dava il caso Libia risolto: “Abbiamo ottenuto il coordinamento Nato di tutte le operazioni. La coalizione è impegnata a difendere la popolazione. L’Italia non è entrata in guerra e non vuole entrarci. Ne ho parlato con il premier inglese Cameron e con il segretario di Stato Hillary Clinton, ed erano perfettamente d’accordo”. E sempre viene il dubbio se Berlusconi in politica estera di era o ci faceva – come già a Pratica di Mare, dove in teoria aveva ottenuto una bellissima cosa, l’Europa in pace con la Russia, e di nuovo con un futuro. Ma chiaro e semplice è che, a parte Berlusconi, l’Italia non è considerata, a Londra come a Washington: è un cuscinetto, morbido.
La guerra in Libia non aveva altro obiettivo che disastrare l’Italia. Anche se gli americani fanno guerre strane, guerre per fare la guerra – da ultimo chiamandole per la democrazia, o per i diritti (di chi?). 
 
“Piovono bombe, ma mancano i rifugi. A Kiev solo il 10 per cento trova riparo. Alcuni bunker sono privati, per altri i costi sono gonfiati dalla corruzione”, Battistini sul “Corriere della sera”. In sedici mesi di guerra la prima notizia vera. Non “di guerra” cioè, manipolata, che gli inviati firmano. Gli inviati italiani, non c’è nulla di simile sui giornali americani o inglesi, di paesi che pure sono in prima linea nella guerra.
 
Bce insensibile, malgrado le riserve della Banca d’Italia, e aumenta i tassi d’interesse ogni tre mesi. Non si capisce, in questa congiuntura, se per abbattere l’inflazione o non per accrescerla – chi paga gli aumenti dei tassi? i consumatori-utenti finali, quelli su cui si calcolano gli indici d’inflazione.
I banchieri centrali bisogna guardarsene: un vecchio banchiere centrale, l’americano Greenspan, diceva che l’aumento dei tassi era come tagliare capelli con una motosega.
 
L’avvocato Coppi, ultimo avvocato di Berlusconi nei processi Ruby, intervistato dalla “Stampa”, dice che bisogna avere fiducia nella giustizia, “difendersi nel processo e non dal processo”. E certo, gli avvocati ci stanno per questo. Poi dice: “Sull’unica condanna ci sarebbe da discutere”. Quisquilie.
 
È difficile credere che il processo a Trump non sia politico. Anche perché azionato dal ministero della Giustizia e non da un giudice indipendente. Ma non per i giornali – il “Corriere della sera”, che ci fa una pagina, si limita a comunicare che “il 74 per cento dei Repubblicani ritiene che il processo sia politico”. Poi si dice l’America.
 
“Tre cose mancano nella politica estera americana”, spiega a Viviana Mazzi su “La Lettura” l’ex diplomatico americano Luigi R. Einaudi, il nipote del presidente Einaudi: “La capacità di ascoltare gli altri, di rispettarne la sovranità, e di capire che la democrazia si costruisce non solo dentro i Paesi ma tra di essi”. Niente.


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