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Se l’eroe dell’Occidente è Prigozhin
È sconfortante leggere nei
giornali italiani e in quelli americani il tifo per Prigozhin. Che è un brigante
– un fatto ben presente oggi ai iministri degli Esteri della Ue riuniti,
perfino al parolaio Borrell, la Farnesina non ha avuto problemi a mettere la cautela
in agenda.
Si potrebbe pensare che è
per l’abitudine ormai ossificata alle “notizie di guerra”. Artefatte per natura;
un genere d’informazione che accompagna in guerra le operazioni militari,
notizie di battaglia. Specialmente insistenti e anche brillanti in questa guerra,
ogni giorno due e anche tre, un grande sforzo che gli inviati si limitano a
sceneggiare - allungare, adattare, caricare di aggettivi e innuendo. Ma Prigozhin,
che fino a ieri era un macellaio, quello che fece fuori la brigata Azov
“martire”, quello di Bakhmut. E lo è in effetti, perché il suo più ricco business è da una decina d’armi, insieme
al traffico d’armi, un esercito di mercenari – come al tempo di Machiavelli.
Che si fa ben pagare dai cacicchi africani e arabi, e ora, in questa guerra,
dalla Russia.
Tutta ignoraza non dev’essere,
i media sono mezzi collettivi, gerarchizzati, non li indirizza un inviato, che
si limita a riscrivere le agenzie, che mediano le notize di guerra. Un Prigozhin
al posto di Putin non è una prospettiva buona per nessuno. Va bene odiare i
russi, se il direttore comanda, ma senza juicio?
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