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Egemonia culturale – Lo scrittore Pietrangelo
Buttafuoco, eponimo dell’intellettuale di destra nella pubblicistica,
interrogato sul tema ora che la destra è al governo, nega l’egemonia culturale
della sinistra. Dopo essere stato esibito per alcuni decenni quale testimonianza
che la presunta egemonia culturale della sinistra non c’è, giacché poteva scrivere
e parlare Pietrangelo Buttafuoco.
Il suo
assunto sembra tautologico non per questo ma per il fatto che da un quarantennio
l’opinione pubblica è moderata o di
destra. L’opinione politica cioè, non quella “pubblica”, con cui si ci si
riferisce ai media, che invece sono prepotentemente di sinistra – si dichiarano
a sinistra. Ancora negli stessi decenni in cui la politica è stata moderata o
di destra, alla Rai e nelle altre emittenti, Sky, La 7, e una parte di
Mediaset, nell’editoria, nei giornali, e in libreria ci voleva una
certificazione di sinistra. E ancora prima, per scrivere su “la Repubblica”,
“Corriere della sera”, “La Stampa”, “Il Messaggero”, i giornali maggiori, bisognava
passare l’esame del comitato di redazione, che era di giornalisti esponenti del
Pci (o da questi comandati, “indipendenti di sinistra”) – i più influenti dei
quali si riunivano a cavaliere del 1980 a Botteghe Oscure con Walter Veltroni,
giovane responsabile Media del Pci, per catalogare i giornalisti delle rispettive
redazioni, se erano “buoni” o “cattivi”. Tutto questo, però, senza colpa di Gramsci:
questo tipo di egemonia era infatti politico o di potere, e non culturale. Un
tipo di egemonia derivata da Willi Münzenberg, il genio cultura le del Comintern
sovietico, tutta al contrario di Gramsci, e anche di Marx – Marx è liberale di
formazione, e di approccio critico. Prova ne è che niente rimane della
profluvie di scritti, teorici e pratici, di quegli anni, 1970-1990, della
lingua di legno “marxista-leninista”, un gergo insignificante. Mentre è per
converso vero che la migliore letteratura del Novecento – la letteratura è
cultura forse più largamente e con più radici della politica – è stata nel Novecento
di destra , Céline, Eliot, Hamsun, Pound, e sotto la scorza, guardando
all’opera, anche Proust e Joyce. Nel primo Novecento. Nel secondo si è avuto un
esercito, in Italia soprattutto, ma anche in Francia, e in Germania, di
“renitenti alla leva” ideologica, paramarxista.
Intelligenza artificiale - Sarà il “nuovo mostro”? Un mondo di
algoritmi. Di che natura o specie? Matematica.
Non da ora la statistica
meccanizzata individua sequenze e studia macchine “intelligenti”. Capaci di
fare in automatico, con rapidità e con efficienza incomparabili, la ricerca di
correlazioni tra raccolte empiriche di dati, la loro elaborazione per la ricerca
di invarianze, estrapolazioni, applicazioni, o altri indicatori utili al
riordino – cronologico e sistemico, quantitativo e qualitativo, naturale e
sociale o politico. Creare per un umanista in un fiat un registro delle
concordanze che richiedeva anni di applicazione. Concentrare in un clic la
stampa e l’invio, a una lista di destinatari la più ampia immaginabile di pubblicazioni e altri dati. Con estensioni
in campo diagnostico, dell’analisi dei dati rilevati. Per esempio accertare meglio
del tradizionale “occhio clinico” se una macchia radiografica è un tumore,
specie se è un tumore “raro”. Dov’è la cosa paurosa? È un’intelligenza
servizievole, per quanto qualificata, e benefica.
La meccanica statistica è
all’evidenza più veloce della nostra, personale, umana,capacità di calcolo. Ma non dell’intuizione. Né della sintesi. È
algoritmica. Il che non significa razionale: ha una logica matematica, che è
altro. Può inoltrarsi a fini non perspicui, non per l’uomo e non per la
macchina stesa – è capace di provocare rovine. E non opera in autonomia: è
impossibile che l’algoritmo generi algoritmi, li generi congruenti, operativi.
L’algoritmo è solo applicativo, anche se per grandi numeri. Che sono la sua
forza, l’alimentazione a big data. Articolata,
in grado elaborare tutti i dati immagazzinati
per dare loro senso (informazione), e quindi, in base al comando di ricerca,
elaborare previsioni e proporre decisioni. Forza bruta, non padrona di se
stessa, ma non per sé pericolosa.
Il sottofondo dell’“intelligenza
artificiale” oggi è serioso ma fantascientifico, da “Odissea nello spazio”, del
computer-robot sessantottesco che si ribella e prende il comando. Ma non funziona
così – HAL 9000 è invenzione letteraria, non nuova, è il golem di altra
tradizione.
I maggiori specialisti di macchine intelligenti si dividono. Alcuni ottimisti: Bill Gates che ha inventato Microsoft vede nell’intelligenza artificiale solo un passaggio tecnico e di business – Gates è stato più volte imputato e condannato per pratiche commerciali monopolistiche, ma ha l’onestà del fabbricante. Altri pessimisti: Eric Schmidt, ex di Google, va in giro ammonendo che le macchine intelligenti faranno fuori gli esseri umani. E Geoffrey Hinton, lo psicologo cognitivo considerato “il padre dell’intelligenza artificiale”, ha lasciato Google per essere libero di confrontarsi con i “robot killer”, gli HAL 9000. La pratica dice che le nuove macchine intelligenti faranno da attendenti solleciti per noi: ci ordineranno la cena e sceglieranno la misura, il colore e il tessuto del pantalone che stavamo cercando tra i tanti in commercio. Ma questo lo fanno già, da una decina d’anni, Siri e Alexa, il riconoscimento vocale, che non ci ha traumatizzati, al contrario, ci ha divertiti e anche riposati – e tuttora è strategico per gli ipovedenti.
Gates profetizza anche che il “punto di singolarità”, il momento in cui l’intelligenza artificiale supererà quella mana, non è lontano, e che e che ciò comporterà la scomparsa di molte mansioni e attività ripetitive. Ma questo avviene già da tempo: l’analisi del bidg data in tempo reale, se non all’istante, le analisi di situazioni sul campo, oggi sanitario, domani militare, le previsioni.
Comoda e utile, ma
l’intelligenza artificiale si ferma alle associazioni, il livello più basso
dell’intelligenza. Il tentativo di farla creativa, con ChatCPT, è finito nel
ridicolo. L’intelligenza artificiale è un comodo e utile servocomando. Che
sostituisce anche molti lavori, solitamente costosi e non produttivi – Gates non
scopre nulla. Per esempio i numeri verdi e i call center di banche, utilities, enti sociali, previdenziali, etc.. E
molte fasi di progettazioni. Non nuovo, già cinquant’anni fa la meccanica-meccanica utilizzava robot
in sostituzione di molte attività manuali, in fabbrica e a casa.
Si può fantasticare, e il “circo mediatico” che ha sostituito la vecchia
opinione pubblica, ragionata e critica, lo
preferisce - ipotizzare scorciatoie, avventi, fini del mondo è il modo oggi di passare
‘a nuttata. Ma è un dormiveglia a
nessun utile.
Di misurabile, forse, ci sono i danni provocati dai social. Soprattutto nell’età evolutiva, tra gli adolescenti - iGen nel
gergo d’obbligo. Se sono veri i dati dei tanti centri di ascolto, controllo e prevenzione
che hanno invaso la sfera pubblica. Una ricerca fra le adolescenti americane
dice che una su due si pensa senza speranza e una su tre pensa al suicidio. Un’altra
ricerca documenterebbe con più
consistenza, sulla base di test Pisa in 37 paesi (il Programme for
International Student Assessment dell’Ocse, l’organizzazione economica dei paesi
occidentali) che nel decennio dal 2012 la “solitudine” (indicatore di rischio depressione)
è cresciuta fra i ragazzi a scuola, nel luogo cioè di massima socializzazione, “in
misura esponenziale”, e ne indica la causa nella diffusione dei cellulari e dei
social media. Questo è molto dubbio, e in quanto è vero non è nuovo. I social hanno siti fantasiosi, di gruppo,
d’interesse, familiari. Permettono di dialogare, direttamente o indirettamente,
col passato, anche recondito, e prospettare un futuro. Di “fare scoperte, non sopravvivere
meramente. Nascono però come veicoli pubblicitari, e sono invasivi – ora
spudorati, violenti. Non è una novità, la pubblicità è sempre stata violenza,
anche se sotto la dicitura elegante della persuasione occulta, e sotto la maschera
di fornire un servizio. Non molti anni fa, nemmeno trenta, si votava in
Italia un referendum per escludere la pubblicità dalla tv, per ridimensionarla,
per esempio escludendola dai film (“non interrompere un’emozione”), oggi gli
stessi proponenti del referendum vivono e propagandano le serie, cioè minifilm,
abborracciato, per servire da riempitivo tra due spazi pubblicitari. Un’evoluzione
non necessaria. E si può pensare anche caduca, in un regime politico-economico
non di “mercato”, non alla mercé della merce più invadente, sotto le spoglie
dell’impresa e dell’imprenditoria – sinonimi di innovazione, coraggio, produttività.
Diverso il caso della persuasione occulta non economica. Politica o
attitudinale. Ma non c’è un linguaggio artificiale, né si ipotizza, diverso da
quello politico ormai bimillenario. C’è il problema degli indifesi, di fronte
all’assalto mediatico. Che non è intelligenza artificiale, ma in essa trova
comodo strumento e scudo.
Ciò che chiamiamo intelligenza artificiale non è una novità e non soppianta la vita umana, molto di quello che può fare, se non tutto, lo ha già fatto, dalla Silicon Valley, tra Apple, Google, Meta, Twitter.
Progresso – Non va per accumulo ma per selezione, naturalmente. Implica
perciò delle perdite. Che a volte sarebbero state utili.
Procede tipicamente per
tentativi ed errori. A volte colposi, a fronte di un’evidenza cioè che la
novità sarebbe state utile.
Strade - Walter Benjamin avrà fatto in tempo a focalizzarle
(in Italia si direbbero le piazze), nella sua dialektische feerie, come
“abitazioni dei collettivi”, che subito sono diventate deserti di persone,
luoghi di veicoli di ferro, chiusi, in moto incessante, e muti, per spostamenti
anche minimi. O di folle che vanno di fretta. Sostituite come “centri
collettivi” dai “non-luoghi”, ikee, centri commerciali, supermercati. Centri
che si vogliono anonimi – occasionali, senza fidelizzazioni, neanche memoriali:
la geografia è mutevole, il personale senza volto, la merce senza qualità specifica.
Luoghi a due dimensioni, senza spessore.
Ogni vuoto, certo, è destinato a riempirsi. Di che nel caso
specifico, del centro commerciale che ha sostituito la strada e la piazza, dà
premonizione, una delle tante possibili, certo, Ballard nel romanzo “Kingdom
come”, il regno a venire - 2006, l’ultimo di Ballard, morirà nel 2009. Il
protagonista Richard Pearson, pubblicitario, ne dà la ratio in
apertura: i pubblicitari credevano i non-luoghi “posti trasfigurati dai
prodotti”, da “marchi e loghi che davano un senso” all’esistenza delle vaste periferie
umane, mentre essi invece “in qualche modo si ribellavano, diventavano eleganti
e sicuri, il vero centro della nazione”.
zeulig@antiit.eu
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