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Vita dura di scrittrice
Una
scrittrice scomparsa dagli scaffali, che pure ha tanto da dire. Qui conversa di
tutto un po’, della scrittura, gli uomini, l’alcol, la madre, i luoghi, le
lettere, il grande ultimo amore per Yann Lemée, da lei ribattezzato Andréa. Con
numerosi ritorni sui propri romanzi, con indicazioni di lettura, presupposti,
interpretazioni.
I
paradossi non mancano: “Sono gli uomini che ho ingannato di più quelli che più
ho amato” – Duras si vuole sempre trasgressiva. Ma anche onesta, molti sono i
malumori. Oltre che contro l’alcol, nemico ritornante, contro Parigi, e a
favore. Contro l’età. Contro la madre – e a favore, un’ossessione in età
matura. Contro l’uomo. Contro la donna, che si banalizza. Materiali come vengono,
d’impulso, benché rivisti e corretti. Mai banali, Duras è una scrittrice che si
è sempre pensata. Forse per venire da fuori, l’Indocina della sua infanzia e
adolescenza era molto remota dalla Francia metropolitana, che ha dovuto
conquistare.
Confessioni
al registratore, nel 1986. Con Jérôme Beaujour, critico cinematografico
reputato specialista della filmografia della stessa Duras, nonché autore delle
interviste di lancio dei film di lei A
una registrazione ha partecipato pure Maurizio Ferrara, amico di Duras degli
anni quando fu espulsa per indegnità – sposata, aveva un amante – dal partito
Comunista. Duras avrebbe vissuto ancora dieci anni, pubblicando poco,
“Scrivere” e “Yann Andréa Steiner” in
memoriam.
Una
auto-intervista a briglia sciolta soprattutto di ripensamenti di sé, di quello
che avrebbe voluto e non ha saputo essere. “Una vita vissuta come un passaggio
del tempo” si dice a proposito della sua voglia di mare, e dell’incapacità di
goderselo, sia pure per una sola estate – della vita come un passaggio del
tempo. Ma pur sempre molto pratica. Le sei pagine di Parigi quarant’anni fa
rimandano pari pari a Roma oggi. Ma di Parigi – della città – ha il segreto,
venendo da un periferia della periferia, da zone remote della remota Indocina:
“Vi si viene, si crede, per essere più vicini al sendso, a quello che si crede
di trovare in una capitale, che è fatto dell’essenziale di tutte le conoscenze,
dell’arte di cosruire, di scrivere, di dipingere, fino a quello della
politica”. Puntuta, a volte. A proposito di R. Barthes: “Ha dovuto essere
adulto subito dopo l’infanzia”, “dopo le ‘Mitologie'” si è perduto. A proposito
del teatro delle donne: “Dal 1900 non un solo testo di donna è stato
rappresentato alla Comédie Française, o da Vilar al T.N.P. né all’Oéon, né a
Villeurbanne, né alla Schaubühne, né al Piccolo Teatro di Strehler, di un
autore donna o di un regista donna” – fino a che non sonoa arrivate lei e
Sarraute, anni 1960. Da virago
spesso: “Gli uomini sono omosessuali”, a danno delle donne. Molto dice come di
un disattamento, da alcolista cronica a partire dai 41 anni. L’uomo è donna, la
donna è uomo, etc.. Di un femminismo anti-femminista: “Non è cambiato nulla con
la donna prima della classe” – “scrivo delle donne per scrivere di me”.
Molto
è un ritorno ai suoi racconti. “Il libro” è “la storia di due persone che si amano”,
ma di un amore “che si tiene nell’impossibilità di essere scritto”. I
personaggi di “India Song” sono
invece reali. “L’estate 80” è il mare, la vita che la scrittrice avrebbe voluto ma non ha
vissuto. Tutte le donne dei suoi romanzi sono una, “Lola V. Stein” . Di “L’Amante”, il racconto che l’ha
consacrata, dà la chiave autobiografica: di un’attrazione non spiegabile ma
irresistibile, che in qualche modo si giustifica ex post, col suicidio successivo di lui, del giovane amante cinese, quando
la storia è terminata. Di “Moderato cantabile” spiega che è stato scritto dopo
un anno di sesso folle, con l’uomo che l’avvia all’alcol (non nominato, è
Gérard Jarlot, giornalista), dal giorno della morte della madre. Dopodiché,
dopo l’anno di bevute, la cosa “diventa meno grave, una storia d’amore”. Di
Yann non finirebbe di parlare. Un colpo di fulmine, a settant’anni, uscita
dalla disintossicazione con la depressione, gli antidepressivi micidiali con
l’alcolismo, sincopi in serie, per tre giorni, l’ospedale di corsa. Crisi in
serie, visioni, deliri, anche assassini, per fortuna senza esito, la décheance, e poi Yann.
Un
lungo capitolo di visioni, aberrazioni, fantasmi, chiude il libro. È il tema
ritornante, i fantasmi dell’alcolismo. “Ho vissuto sola con l’alcol estati
intiere a Neauphle”. “Vivere con l’alcol è vivere con la morte a portata di
mano”. “A quarantun’anni ho incontrato qualcuno che che amava bere liberamente
l’alcol…. Molto presto l’ho sorpassato. È durata dieci anni. Fino alla cirrosi,
agli sbocchi di sangue. Mi sono fermata per dieci anni. Era la prima volta. Ho
ricominciato”.
Marguerite
Duras, La vita materiale,
Feltrinelli, pp. 160 pp.vv.
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