Giuseppe Leuzzi
La scoperta del Sud
Emanuele Farneti, già “Vogue
Italia”, direttore di “d”, il femminile di “Repubblica”, può dedicare l’ultimo
numero al Sud. Partendo da una lunga serie di constatazioni. Lo scudetto del
Napoli, il traffico aeroportuale che “cresce a doppia cifra”, “i neologismi (Salentoshire, Notoshire), e il lungo
boom immobiliare. Le sfilate di moda. Le popstar internazionali che cantano
canzoni di idoli locali. Ci son i set
in cui si girano i prossimoì blockbuster.
Le startup. Le basi spaziali. I matrimoni dei vip. Le masserie che aspettano il
G7. Gli innumrevoli nuovi luoghi dove dormire, mangiare, ballare”. Insomma, non
è detto.
In più ci sono i festival,
gli eventi letterari, i teatri, greci e di strada, i buen retiro di stelle e vip, anche simpatici. Quindi, anzi, non si
vede perché il Sud sia sempre sud. Nomi e eventi si moltiplicano, Dior, Gucci, Dolce
& Gabbana, Madonna, Mick Jagger. E i luoghi sono indubbiamente del Sud, anche
se qualche manager e imprenditore viene da Milano.
Resta da dire che la “scoperta del Sud” è opera,
episodica, di giornali inglesi, e americani. Il “Guardian”, il “Wall Street
Journal”, il “New York Times”. Che hanno bisogno di diversificare le mete
turistiche – i lettori vogliono novità. Uno ha consigliato un anno la cucina calabrese
(sic!), un altro la Sicilia, un altro il Cilento. Il Salento lo hanno scoperto
gli inglesi, come residenza alternativa alla costosa (burocratica, censoria)
Toscana. La Sicilia i produttori di “White Lotus”, la serie che ci ha portato
Mick Jagger e tutti quanti – un’idea di Barbara Salabé
quando gestiva Hbo-Warner Bros Europa.
E
che la scoperta non è nuova, veramente. La scoperta del Sud era uno dei pezzi
forti del “Grand Tour”, dei viaggi inglesi, tedeschi
e francesi avventurosi, nel Sette-Ottocento. Di avventure per lo più
immaginarie. Più spesso delle signore, giovani o in età, per la penna delle quali
il Sud diventava luogo obbligato di azzardo, con i briganti e senza – “ci
volevano rapire i briganti, però…”. Forse il problema del Sud è proprio la scoperta,
essere stato scoperto - essersi lasciato scoprire. Nel Sei-Settecento, anche
nel primo Ottocento, a Napoli e Palermo
si facevano incontri e si tenevano conversazioni come a Parigi o a Vienna –
Berlino ancora “non c’era”, Londra aspettava Dickens, pagandosi qualche musico
tedesco bisognoso. Le scoperte si fanno a danno degli indigeni, li cancellano.
Restanza
e abbandonologia
Restanza (Vito Teti) e
abbandonologia (Carmen Pellegrino), il “Sud floreale” di “d” non manca di agudezas, anzi ne abbonda.
L’abbandonologia è una
scoperta. Doppia: si scopre che esiste da tempo, è scienza canonica. E già un
mestiere, “abbandologo”, registrato dalla Treccani tra i neologismi. Conio di Carmen
Pellegrino, sia la parola che il mestiere. Di cui Treccani dà questo ritratto, tra i riferimenti del termine: “Giovane, molto bella, vive a Napoli. Scrive i suoi
post su facebook, sono drammatici oppure evocativi. Racconta di luoghi mai
visti, galleggiano nella sua stranissima percezione del mondo…”.
Teti, antropologo, con ottime
ragioni. Che ha esposto nel lungo saggio dal titolo “La restanza”, qui censito.
Sullo speciale “d” le sintetizza così, in polemica con i piani di
ripopolamento, di Badolato, o Riace: “Vendere le case dei borghi a un euro
significa non capire che, per la gente che le abitava, erano axis mundi, luogo degli affetti
familiari e del succedersi delle generazioni, rifugio e sicurezza… Anche a voler
sovolare sul concetto di casa-mondo, la casa a un euro è un espediente che
nasconde il desiderio di cancellare il paese come comunità e di fondare un
non-luogo senza relazioni… Restare è una scelta, e deve avere delle forti
motivazioni sociali e antropologiche”.
E se le motivazioni non ci
sono? Non molte? O la demografia, soprattutto, fa difetto? Restare così, in astratto,
senza abitanti, senza vicini di casa, qualcuno con cui scambiare qualche parola?
Fare la guardia al bidone? Anche solo a voler salvare la memoria – che di per
sé non è sensato: per chi, per che? Incrostare la memoria non ha senso, se non
c’è chi memorizzi compartecipando, combinando. Anche col silenzio, il
“traudire” di Praz, la “stanza accanto” di Vernon Lee.
Le case dei borghi a un
euro in Abruzzo o in Sabina hanno salvato molti paesi. Nel senso che permettono
loro di sopravvivere, con poche differenza peraltro – il “carattere” rimane, e
i servizi, dalla spazzatura alla rìstorazione e alla sanità e socialità. Li
hanno ripopolati, quindi hanno riattivato strade, servizi, ambulatori, perfino
ospedali. Il territorio è
rifiorito, più verde, meglio servito, più contento di se stesso. I luoghi si
rigenerano, sennò che storia sarebbe
Ma la mafia non si spia
“Le
intercettazioni con i trojan sono poche e indirizzate contro le mafie”, titola “Il
Sole 24 Ore”. Dando i numeri sugli ascolti forniti dal governo. Che, attesta il
giornale, “sono solo il 3 per cento del totale”, del totale degli ascolti, delle intercettazioni.
Anche se “il confronto con gli altri paesi
attesta la centralità dello strumento investigativo”. Trojan è il virus
informatico che opera come il cavallo di Troia, senza che la persona spiata se
ne possa accorgere.
“Se
il totale delle intercettazioni nel 2021 totalizza 94.886 «bersagli (il che non
equivale ad altrettanti indagati, visto il più che probabile possesso di più di
un’utenza da parte della medesima persona), quelle effettuate col virus
informatico sono 2.896”.
Le
intercettazioni, con trojan o senza, sono poche, sono molte? Sono molte. In Gran Bretagna
sono nell’ordine delle migliaia, e la diffusione di materiale intercettato non
autorizzata è punita con un anno di carcere e una multa illimitata. In Francia
le intercettazioni sono disposte da un giudice e non dal pm. In Germania
l’intercettazione è ammessa per “sospetto di reati gravi” all’esterno
dell’abittazione\ufficio, all’interno per reati “gravissimi” – può essere presa
dalla Procura ma un giudice deve confermarla entro tre giorni. Negli Stati
Uniti si fanno duemila intercettazioni l’anno, poco più. Ma soprattutto è
curiosa in Italia la distribuzione dei trojan, quelli del 2021, come
documentata dal “Sole”.
Il “numero dei bersagli per distretto”
nel 2021 è stato di 40 a Palermo, e di 220 a Brescia. Numeri come uno se li
aspetta, riferendosi alle mafie, sono quelli di Napoli, che capeggia
incontestata anche questa classifica, con ben 563 “bersagli” nel 2021. Seguita
da Reggio Calabria con 264, e da Catania con 209. Ma Reggio Calabria va di pari passo con Roma, 263 “bersagli”, che ha una popolazione di oltre dieci volte quella
del distretto giudiziario reggino. Mentre Catanzaro, dove la Dda, la procura
antimafia, è diretta del terribile Gratteri, con migliaia di carcerazioni l’anno,
è la meno “bersagliata”, 12 trojan in tutto – veramente all’ultimo posto viene
Trento, con zero “bersagli”, ma Catanzaro è subito sopra. Cosenza dev’essere
immune dalle mafie, non figura nella distribuzione dei “bersagli”. Come la pur
disastrata, nelle cronache, Foggia. Torino invece e Bologna sono tra le città
più pericolose, con 139 e 134 trojan.
Il Brancati cancellato
Si parla di Brancati solo
nelle lettere al direttore. Lorenzo Catania, che evidenzia il contrasto tra la
professione di fascismo dello scrittore, in udienza nel 1931 da Mussolini, e i romanzi
che in quegli anni veniva pubblicando e lo avevano reso celebre, “per ridicolizzare
il mito della virilità propugnato con enfasi dal regime e la stupidità del suo
attivismo”, trova spazio solo nelle lettere al direttore, un po’ compresso
(tagliato), del “Corriere della sera”.
Lorenzo Catania vorrebbe anche
correggere una svista nelle crono-biografie redatte per le “opere complete”,
Bompiani dapprima e poi Mondadori, che danno Brancati in visita da Croce nel
1947, con Sandro De Feo, “per
«riparazione» della visita effettuata nel 1931 a Mussolini”. Mentre Croce, nei
“Taccuini di guerra” riediti vent’anni fa annota semplicemente, 29 novembre 1945:
“Visita del De Feo e di V. Brancati e conversazione”.
Di più Brancati non merita.
Puglia
“Bruciare ulivi e idee
scientifiche”, Paolo Bricco può intitolare sul “Sole 24 Ore Domenica” lo
sterminio degli ulivi secolari in Puglia
a causa del virus xylella. Per lo più nel civilissimo Salento. Per ignoranza –
basandosi sulla ricerca di Daniele Rielli, “Il fuoco in visibile. Storia umana
di un disastro naturale”: 21 milioni di ulivi sacrificati secondo il Cnr, 22
milioni secondo la Coldiretti.
A causa di sciocche “narrazioni”
complottiste e negazioniste. Non si crederebbe, poiché per moltissimi è stato
un danno grave e gravissimo, ma è quello che è avvenuto. Del tipo: è l’Europa
che vulole tagliarli, “probabilmente per sostituirli con ulivi transgenici della
multinazionale Monsanto”. Per cui non si è fatto quello che si doveva fare, o
altrimenti in ritardo.
Convinti che “esperti contadini”,
direbbe Bricco, “erano in grado di curare gli ulivi secolari con metodi naturali
e antichi e ciononostante l’Europa voleva tagliarli” (Monsanto) erano i
magistrati. Bricco e “Il Sole” non osano colpevolizzarli, ma registrano che “il
pattern degli interrogatori” degli esperti
non cambia mai, è costruito attorno all’ipotesi che la xylella è endemica, e
quindi non c’è da preoccuparsi. Scrive Rielli: “I magistrati ricordano che lo
Stato li paga per fare le domande, ma leggendo la trascrizione mi chiedo quanto
stiano poi anche ad ascoltare le risposte”. Bell’affare.
Gli stessi giudici che
volevano la chiusura del siderurgico di Taranto ora sono in pensiero che non
arrivino all’impianto i soldi previsti dal Pnrr. Che l’impianto debba chiudere.
Gli stessi giudici, non sono cambiati. In
questo senso sì, la Puglia può ambire a essere Milano.
Mostre e festival a Vieste. La
cucina a Rodi. Monte Sant’Angelo e la Foresta Umbra, primissima riserva naturale.
Rilanciare il mare del Gargano, che era stato scoperto dall’Eni sessanta o
settant’anni fa - sulla traccia Aga Khan-Porto Cervo. Fare molto terzo settore, delle anime pie, coi soldi del Comune,
della Provicia. Creare una o due “buone notizie”, al mese se non a settimana.
Aprire il palazzo o museo Arbore. Si agita Foggia, l’ex Tavoliere d’Italia, per
non annegare quale “grande Rosarno”, sfruttatrice degli immigrati e mafiosa.
Con molte speranze appese al film che vi ha girato Omar Sy, l’attore francese,
“Pins and Needles”, con 500 comparse locali, dei Fossi d’Arcadia, sui monti
Dauni. Cosa (non) bisogna fare per sopravvivere. E sempre la Federazione
Calcio trova un motivo per non ammettere il Foggia in serie B, in corsa per la
A, che pure ha avuto un passato
illustre, del miglior Zeman.
Presiede la Federazione
Calcio, in questi anni di purgatorio del Calcio Foggia 1920, Gabriele Gravina,
che è pugliese. Ma è di Castellaneta, Taranto. Che è dire un altro mondo da
Foggia. Il tribalismo esiste per escludere, oltre che per includere.
Sempre parlando di Foggia in
cerca di rispettabilità, si dà per scontato che la Puglia è la capitale del
caporalato. Mentre non lo è – non più che altre regioni, anche la Liguria e il
Veneto o il piacentino, fiori, pesche e pomodori. È però certamente il luogo
dove il caporalato viene denunciato.
Il Salento, viceversa, ha
fatto un balzo al vertice, economico e di stima, ricercato. Malcom Pagani, che
pure non deve avere molti anni, se lo ricorda polveroso e remoto, “un avamposto
estremo, una Gibiltera italiana, un confine quasi metafisico”. Fino a Bari ok,
poi la “lunga Marcia”: “A Bari si scendeva e iniziava un altro viaggio. Una
volta a Lecce, poi, le Ferrovie dello Stato, oggi come allora, cedevano lo
scettro alle Ferrovie Sud Est”, che arrivavano quando potevano – immortalate vent’anni
fa nel film di culto ”Italian Sud-Est”. La storia si fa.
“L’immagine internazionale
della regione è profondamente cambiata”, può sintetizzare i suoi reportage la rivista “d”: “A partire dai
nomi con cui è conosciuta: Pugliawood, Murgia Valley, Silicon d’Itria, Grottangeles”. Con commento: “Nell’eterno
derby tra il barese e il leccese, da tempo ha vinto un terzo incomodo,
l’inglese”. Casa di Helen Mirren, Francis Ford Coppola, Dépardieu, Meryl
Streep, Malkovich, forse Clooney. Le sfilate “storiche”, scenografiche, di Dior,
Gucci, Dolce & Gabbana. E le faraonate dell’“Apulian
Wedding”, per miliardari.
David Ferrie, uno degli
strambi personaggi che complottarono l’assassinio Kennedy nel 1963, porta il
killer designato, Lee Oswald, nel docuromanzo “Libra” di Don Delillo, a casa
sua. Dove, tra “centinaia e centinaia di libri di medicina, di diritto, enciclopedie,
pile di reperti autoptici, libri sul cancro, libri di patologia legale e sulle armi da fuoco”, si trova “appeso
alla parete un documento in cornice, un dottorato in psicologia della Phoenix
University – Bari, Italia”.
leuzzi@antiit.eu
Nessun commento:
Posta un commento