Giuseppe Leuzzi
Arriva una nave
con 200 migranti in Toscana, tra Carrara e Livorno, ed è la fine del mondo:
lamentazioni e critiche di giornali e telegiornali, ong, partiti, presidente
della Regione, assessori di ogni bordo, regionali, comunali, da settimane, per
settimane. Duecento per una volta, non duecento al giorno – figurarsi mille.
“La cosa che aleggia su ogni
segreto è la delazione. Presto o tardi qualcuno arriva al punto in cui vuole
svelare quello che sa” – Don Delillo, “Libra”, p. 206. “Libra” è il romanzo
dell’assassinio di Kennedy, molto documentato, quasi un docu-romanzo, un
romanzo-verità. Ma della morte di Kennedy si sanno tante cose, tantissime,
eccetto la verità. La delazione è nemica della verità?
“Tra il 1900 e il 1915 emigrarono
soprattutto gli italiani del Nord”, fa notare il fumettista franco-belga Baru,
di padre e nonni italiani, emigrati dalle Marche, predentando su “La Lettura”
la sua trilogia “Bella ciao” (tradotta come “A caro prezzo”), sulla vita dgli
emigrati italiani, tra rifiuto e integrazione: “Dopo la Grande Guerra è stato
il turno di quelli del Centro. Infine, dopo
il 1945, è stato il turno di quelli del Sud”. È vero, anche se non del tutto –
molti dal Sud erano emifrati tra Otto e Novecento anch’essi verso l’America. Ma
è vera la conclusione: “Come se ci fosse un eccesso di italiani in fuga veso
nord”.
Profazio e la scomparsa del Sud
Otello Profazio era più che
uno stornellatore e un intrattenitore. Era uno scrittore, arguto quanto semplice
(“naturale”), e un osservatore acuto, quasi un antropologo d’intuito. I suoi detti,
pensieri, riflessioni, lazzi, riempiono volumi, forse altrettanto numerosi che
la sua discografia – peraltro da tempo fuori commercio.
L’epicedio semplificato in
morte, “Morto il menestrello calabrese”, “Addio a Profazio, il cantastorie calabrese”,
non tanto semplifica e riduce la sua figura e il suo lavoro, quanto documenta
un interesse residuale, giusto di cortesia, verso il folklore e verso il Sud. Profazio al
Folkstudio è roba di sessant’anni fa. Profazio e il Folkstudio, con Eugenio Bennato, e la Nuova Compagnia di Canto
popolare (Carlo D’Angiò, Peppe Barra, perfino Roberto De Simone), Maria Carta,
Rosa Ballistreri, Gabriella Ferri, Matteo Salvatore.
Il Sud va col popolare. Col
folklore – ma Profazio, Bennato o De Simone non vanno col folklore, sono finti esumatori,
sono creatori. Muore Profazio come è morto, musicalmente, teatralmente, spettacolarmente
il Sud - basta fare un raffronto con la persistenza in America di Nashville o
Memphis, per non dire della musica celtica in Irlanda (che però è riuscita in pochi
anni a passare di millenni subordinazione e impoverimento, e dalla guerra civile, a un incredibile boom, tecnologico, finanziario).
Il leghismo non è venuto per nulla, che tutto appiattisce sull’indistinto.
Del buon uso dei posti spiacevoli
“C’è una certa nudità tané
nel Sud, nude soleggiate pianure, colorate come un leone, e colline rivestite
solo dell’aria blu trasparente”. In contrasto con “la nudità del Nord: la terra sembrava sapere che
era nuda, ed era vergognosa e fredda”. Stevenson, viaggiatore compulsivo, di persona
e nella scrittura, fa questa sintesi nel saggio “On the Enjoyment of Unpleasant
Places”, sul (buon) uso dei posti spiacevoli. Ci sono dunque posti piacevoli e
posti spiacevoli. .
Di fatto, però, poi riflette,
non è la natura differente: ci sono fiori, prati, boschi anche al Nord.
Differente è il colore, il senso della cosa – la sensazione che se ne alimenta: bellezza vs. sopravvivenza.
Oppure no:
riflettendoci ancora, l’esito è diverso. “Quando ci ripenso”, continua Stevenso7n
come a distanza di tempo dalla prima impressione, “mi vergono sempre più della
mia ingratitudine”. Si richiama un verso, o detto: “E dalla forza venne la
dolcezza”. E su questo conclude: “Lì, nello spoglio ventoso Nord ho ricevuto,
forse, la mia più forte sensazione di pace. Ho visto il mare grande calmo, e la
terra, in quel piccolo posto, era tutta viva e amichevole - è che, dovunque uno
si trovi, troverà qualcosa che gli piaccia
e lo pacifica”. Se è in pace.
I bagni di mare meglio al Nord
Nel G 20 Spiagge, la rete
nazionale delle destinazioni balneari con almeno un milione di presenze turistiche
l’anno, che riunisce 27 o 28 Comuni, solo sei sono al Sud: Arzachena, Alghero, Forio,
Ischia, Sorrento, Taormina.
Guardando la classifica
degli esercizi attivi e dei posti letto totali, questa presenza è ancora più
angusta. Tra i primi 15 classificati compaiono Sorrento e Alghero, ma a distanza
siderale dalle dalle spiagge venete (con Venezia Giulia) e romagnole. Sorrento ha
17 mila posti letto, Alghero 15, le sole due entries nella classifica, molti meno di San Michele al Tagliamento-Bibione
e Caorle, che guidano la classifica degli esercizi ricettivi, ma anche di Grado
e Cattolica, che la chiudono.
Quanto alla ricchezza prodotta
(valore aggiunto) dal turismo balneare tra i primi dieci Comuni figurano al
Sud solo Palermo (810 milioni nel 2020) e Sorrento (679). Rimini capeggia la
graduatoria, con un miliardo e mezzo – per ogni presenza muove più spesa.
Si potrebbe dedurne che fare
la vacanza al Sud è ancora una vacanza, Ma è una consolazione?
Milano
Nella recensione-stroncatura
dell’ennesimo libro di “napolitudine”, “Napoli stanca”, il napoletano Fofi fa
un inedito parallelo di Milano con Napoli, per “una comune massiccia «gentrificazione»”.
Dalle stalle alle stelle?
È “l’antica città del
biscottino” per un Nievo disilluso e polemico d’inizio 1860 – “Una scrittura
di maschere pel Cornovolone”, in “L’Uomo di Pietra” del 7 febbraio 1860 (cit.
in I. Nievo, “Storia filosofica dei secoli futuri” p. 15) - “tramutata in un
focolare di rivoluzionari ed eretici”. La delusione dopo Villafranca ancora
pesava: ai “rivoluzionarii” in realtà Milano tendeva “un biscottino ammuffito”.
Ippolito Nievo visse poco ma ci vedeva giusto.
Dopo Villafranca e
Zurigo, Nievo era deluso dall’acquiescenza di Milano agli accordi con gli
austriaci. Ma la città accusava di “biscottinismo” su un periodico milanese, “L’Uomo
di Pietra”.
Il “biscottinese” ambrosiano
ricorreva già nelle “Confessioni” di Nievo. Mediato da un sonetto scurrile
di Porta, “I putann ai dam del bescotin”, alle dame di carità. Come a dire dei
sentimenti tiepidi, giusto per l’apparenza.
“Un festival di multe;
diecimila per 20 concerti”, annuncia l’assessore cittadino alla Sicurezza. Tutte
“per sosta irregolare”. La città celebrava un mese di grandi concerti pop, “320
mila persone per sette concerti”. In gloria, delle casse.
Da ultimo protagonista assiduo
della “Milanesiana”, il festival estivo cittadino, U. Eco ne fece “un villaggio
padano” nella parodia di saggio “Industria e repressione sessuale in una
società padana” (poi in “Diario minimo”), fatto scrivere nel1919 al “Dr. C. Dobu
di Dobu, interplanetario o intergalattico”. Con quel “terribile nemico del Risorgimento
(che) fu Silvio Pellico”, autore di “una operetta” in cui spegne ogni empito
patriottico.
In compenso, il sabaudo
ex sardo Eco rivaluta le Cinque
Giornate, a fronte degli “Stati sardi, apparentemente disattenti ai problemi dell’unificazione nazionale” – “l’esercito piemontese intervenne proprio a
Milano nel corso di un’insurrezione, ma riuscì a tal punto a confondere le cose
che fece fallire la rivolta e abbandonò
la città e i rivoltosi nelle mani degli austriaci”.
Al Dr. Dobu di Dobu Eco attribuisce
un’antropologia non effimera della città, che trovava valida ancora negli anni
1950. L’ipotesi “che la comunità di Milano sia rimasta estranea ai grandi rivolgimenti
che impegnavano la penisola italiana, e questo in virtù di una natura eminentemente
coloniale e passiva dei suoi abitanti, negati a ogni acculturazione e condannati
a una frenetica mobilità sociale - non rara, peraltro, in molte comunità
primitive”. Tra le “cerimonie allo stadio” e il culto della “barca”.
Ma non c’è solo l’antropologia
elementare del Dr. Dobu, Eco sa anche di una Maylandanalyse heideggeriana di un Karl Opomat, “uno studioso delle
isole dell’Ammiragliato” convertitosi alla fenomenologia heideggeriana.
Che Eco applica in lunga digressione al
“paradosso di Porta Ludovica”.
Gli scrittori l’hanno
abbandonata nel Novecento, Dossi, Gadda, Arbasino, lo stesso Testori al seguito
di Visconti. Ma è la città, è l’unica città, che si è data una mappa dei luoghi
dove i letterati, di Milano e non, hanno vissuto, sia pure transitoriamente – ricostruita con molti dettagli da Gianni Santucci e proposta
su “La Lettura” dell’11 giugno.
La città raggiunge ora l’aeroporto
cittadino con la metro. Grande festa. Senza
ricordare che ci sono voluti quindici anni per realizzare la linea – non tutta,
non è ancora finita. Per lunghi tratti di superficie, e non impedita o rallentata
da reperti archeologici. Il fare implica il dimenticare, selettivo, non stare
lì a frustrarsi.
Larussa dopo Craxi: a Milano
gli immigrati, specie se si proclamano milanisti e milanesi, danno il
rigurgito. Li rispetta se re di denari, Cuccia, Ligresti, Virgillito – finché fanno
guadagnare. Non ci sono seconde generazioni di immigrati di successo a Milano.
leuzzi@antiit.eu
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