martedì 4 luglio 2023

Come vincere la malinconia, da sradicati

Scherzi, “Il poeta dimenticato”. Ricordi familiari, “Primo amore”, la moglie “Elena” invece che Vera, “la figlia” invece del figlio Dmitri. La passione per i lepidotteri, “L’Aureliano”, e un po’ ovunque. Memorie pietroburghesi disseminate qua e là: le automobili col muso, silenziose (le prime erano elettriche),  gli abiti a trenta bottoni, i tram a cavallo - “il tempo è il riflusso” (“Mademoiselle O”). Traversie da russi apolidi: commissariats, domande, domande per spiegare le domande, e attese - “L’atreplice”,  “Quadro di conversazione, 1945”. I vaneggiamenti dell’amore: “Una bellezza russa”, “Primavera a Fial’ta”, il crudele “Che una volta in Aleppo…”, l’amorevole “Segni e simboli”. Il grande stomaco russo: i generali, i pogrom, “Scena dalla vita di un doppio mostro”. E più spesso il nulla. Il viaggio vinto alla lotteria, tra emigrati, con compagni sconosciuti (“Nuvola, lago, castello”,…), la vita degli émigrés, povera e furfantesca (“L’assistente del produttore”), Lancillotto nello spazio, tra le stelle (“Lance”).
Racconti piani, in genere senza finale (sorpresa). Molta ironia, sparsa con leggerezza ma incomprimbile -  “l’era dell’Identificazione e  Tabulazione”, “lo Zio Sam e i suoi Rooseveltiani occhi blu”, il mondo vissuto da specie transeunti. Il russo nato nell’affluenza e il potere, tra saloni, dacie, governanti e viaggi “in Europa”, Wiesbaden a cinque anni, Biarritz a dieci, finito ramingo e quasi indigente, orfano di padre  assassinato, vittima delle burocrazie, specialmente feroci con i sans papiers, a caccia perpetua di un impiego decente, si salva con lo sguardo distaccato. Perseguitato (protetto?) dalla memoria sempre e ovunque. E quindi dalla Russia, in qualche modo. Compassionevole. Anche con i generali – quelli oggi di Putin non sono un’invenzione: grassi, lenti, abulici. La realtà-irrealtà. Tanto precisa, circostanziata, datata, quanto indefinita. Che il personaggio femminile, diverso, inattingibile, esemplifica e moltiplica. Uno psicologo (o un neurologo?) direbbe: come vincere la malinconia, da esuli volontari oppure ostracizzati, comunque sradicati.
Temi crepuscolari, a parte qualche brio d’ironia, che è il fondo di Nabokov. Talvolta per questo sorprendenti. Si fa negazionismo in salotto a New Yorl nel 1945 (“Hiltler era buono e bravo”….). Una White Warriors Union, nell’edizione anglo-americana, la banda poco poco affidabile russi Bianchi, antisovietici emigrati, scimmiotta la WWI americana, l’internazionale dei lavoratori. Nella Russia attanagliata dalle rivoluzioni si vendono per strada “Le avventutre del marchese de Sade” e le “Memorie di un’Amazzone”. Non manca l’amato Cechov del Nabokov professore - dopo Puškin:  “L’erompente dama di Cechov che moriva per essere descritta”. E della Germania, da russo fuoriuscito accolto per molti anni a Berlino, profetizza che “con tutti i suoi molti neri peccati, rimane lo zimbello  del mondo”. Il mondo variegato dei tanti russi (siamo alla terza ondata in un secolo) cittadini del mondo.
Nabokov manca ancora di un’edizione critica. Gli slavisti non se ne occupano, gli americanisti nemmeno. Si pubblica quello che il figlio Dmitri ha curato – e in molti casi ha tradotto, da cantante d’opera italianista. Difficile quindi “sistemare” la raccolta nell’opera sua.
Sono racconti scritti prevalentemente in inglese. O tradotti in inglese dallo stesso Nabokov per la pubblicazione in libri e raccolte. Tre racconti erano stati scritti originariamente in russo: “L’Aureliano”, Primavera a Fi’alta” e “Nuvola, castello, lago”. Uno, “Mademoiselle O.”, era stato scritto in francese. Solo “Mademoiselle O.” e “Primo amore”, avvertiva Nabokov in precedenti edizioni dei racconti in America, “sono (eccetto che per i nomi cambiati) rispondenti in ogni dettaglio alla vita dell’autore come la ricorda”.
Sarà stato un problema per i traduttori, Franca Pece, Anna Raffetto, Ugo Tessitore. E per l’editore: tradurre Nabokov dall’inglese, dalle traduzioni-adattamenti in anglo-americano, o anche dal russo, e dal francese? La traduzione è l’attività che ha maggiormente occupato lo stesso Nabokov, più probabilmente della caccia e la cura delle farfalle. Uno scrittore che si può dire traduttore,  dell’“Onegin” di Puškin tutta la vita, e nella seconda vita dei suoi innumerevoli racconti e romanzi in anglo-americano.
Come in “Lolita” e gli altri titoli famosi, anche nei racconti la frase è sempre elaborata. Queste traduzioni attutiscono l’elaboratezza, gli “originali” americani curati e licenziati da Nabokov al contrario la accentuano. Per il vocabolario, preciso ma poco colloquiale, e frasi brevi che invece di semplificare complicano, divagano – sembrano divagare alla prima lettura. Una accuratezza-divagatezza si direbbe alla Henry James, quasi una parodia. Ma fuori tempo e forse per questo legnose? È il problema che Edmund Wilson aveva sollevato sul Nabokov “americano” – un’osservazione che ruppe un’amicizia.
 Vladimir Nabokov, Una bellezza russa e altri racconti, Adelphi, pp. 758 € 38

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