Secondo il Genocide Watch, nei diciotto mesi dal gennaio 2021 al giugno 2022, almeno 7.600 cristiani sono stati uccisi dagli islamisti in Nigeria, e almeno 5.200 sequestrati. Ogni anno l’osservatorio registra da un quindicennio più di 400 attacchi a chiese, scuole, opere sociali cristiane. Secondo la Croce Rossa Internazionale la metà delle 40 mila persone date per scomparse in Africa nell’ultimo decennio è vittima della violenza islamista, con assassinii e rapimenti.
È una piccola porzione dei cristiani
uccisi nei paesi islamici, dal Pakistan al Senegal. E fa seguto all’islamizzzine
massiccia dell’Africa sub sahariana. Favorita e organizzata da cinquant’anni a
questa parte dai potentati della penisola arabica, Arabia Saudita, Emirati e Qatar
(con la polemica eccezione del Kuwait e dell’Oman), con i petrodollari,
l’improvvisa ricchzza di cui questi principati sono stati locupletati col
rincaro del petrolio nel 1973. Fino ad allora la Nigeria era federalista anche
in senso eeligioso. Cristiana nell’ex Biafra, l’area di Sud-Est, animista nella
vasta area centrale Yoruba, e islamica negli emirati di Kano e Kaduna al Nord –
di un islam feudale, di masse sottoposte alle nuvole bianche degli emiri nelle
loro galoppate per i feudi, con corteggio di cavalieri.
Già nel 1974 la “discesa dell’islam”
poteva così venire spiegata ai vertici dell’Eni, che presenziavano
all’inaugurazione di nuovi impianti petroliferi nell’ex Biafra, nel romanzo di
Astolfo, “La morte è giovane”, di
prossima pubblicazione:
Siamo qui con le autorità civili e
religiose, con i giornalisti, col cerimoniale di un’inaugurazione che è già
avvenuta da tempo, per rimuovere. La guerra è finita, e forse non molti sanno
che c’è stata, comunque nessuno si ricorda che ci furono dei morti, benche
numerosi, dieci italiani massacrati nel sonno e un giordano, più diciotto
ostaggi, quattordici italiani e quattro arabi. Il
Grande Progetto è localmente rilanciare il Biafra, ossia la Nigeria cristiana,
con un’offensiva civile dopo la guerra, poiché è in Biafra che si trova il
petrolio della Nigeria. Ma è rimasto non detto, i mussulmani hanno già occupato
i capisaldi. Sono scesi dal Nord non con le armi ma con i soldi dello stesso
petrolio, più veloci, e munifici:
-
L’islam è mondano, e i poveri amano i ricchi - spiega il vescovo anglicano al
Presidente, gli occhi lampeggiando celestiali sull’incarnato delle guance, che
lo zuccotto e la mantellina accendono:- La maestà vuole i suoi simboli. Dicono
che l’islam si espande sulle gambe dei credenti, consolante sarebbe la fede
semplice. Ma la religione deve segnalarsi, la povertà respinge. - Il Presidente
borbotta, l’inglese avendo precario, e sta di tre quarti, per invitare i
collaboratori a interloquire con le nasalità dell’anglicano. Non si sa che dire
a un vescovo, a uno bianco in Africa, anzi roseo. Ma è vero che l’islam è
religione politica, fa le leggi e cura la rappresentanza: l’islam scende con
marmi, sete, campi di polo, cavalli, frustini, e il saldo presidio maschile,
coi soldi sauditi del petrolio.
Il
colonialismo lo sapeva, che fu soprattutto espansivo in campo gentilizio. Per
la superfetazione della storia in forma di tradizione, e la fabbrica dei
nobili. Ci sono esempi nell’esercito, la scuola, lo sport, per l’epica della
caccia e la guerra, e nel terziario. Il trafficante ci tiene, e l’ufficiale, il
funzionario, il giudice, l’agricoltore - il medico e l’ingegnere no, che si
applicano, né il negoziante, che è greco, asiatico, ebreo, ed è concreto, il
commercio è genere faticativo, ingrato. Lo scoprirono con gioia gli stessi
socialisti quarantottardi o comunardi, deportati in Algeria o al Capo: divenuti
agricoltori si atteggiarono a gentiluomini di campagna. Tutti nobili gli
africani dopo le colonie, è il lascito più durevole: pochi stimano la libertà,
l’autostima dei lavoratori. L’invenzione della tradizione vi fu fertile, degli
anziani contro i giovani, gli uomini contro le donne, una tribù contro l’altra,
e c’è un pedigree pure per gli
ascari.
Gli
inglesi, cui venne naturale identificare tribù e aristocrazia, nelle colonie
non hanno portato i loro sport popolari, non il rugby, dove gli africani
sarebbero imprendibili, né il calcio, che giocherebbero con e-leganza, o la
boxe, hanno invece sancito e diffuso il cricket, il golf e il polo. La loro indirect rule non era truffaldina, non
del tutto, ma una proiezione dello spirito eletto, di apertura se non di
utopia, non c’è forse scrittore inglese dopo Shakespeare, da Aphra Benn in poi,
che non sia stato coloniale – mentre non ci sono colonie nel grande romanzo
francese, con l’eccezione di Ourika
della riluttante Claire de Duras, l’amica di Chateaubriand. L’emiro di Kano e
Kaduna manda al Sud cavalli arabi e crea club chiusi, su prati di erba
smeraldina, tra i pantani e la polvere. Ci sono così due Afriche, nel rapporto
con l’Europa. La colonizzazione è stata la stessa, ma il risentimento è
diverso: gli africani condividono, col linguaggio, l’umanità degli europei, ma
quando l’islam arriva subentra la riserva mentale. La stessa del Nord Africa e
il Medio Oriente, una rivalsa che osteggia l’amicizia. È sempre la crociata per
l’unico Dio. Oppure gli arabi, come i tedeschi, sono risentiti per non avere
ancora vinto la guerra.
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