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Fuga dalla Germania
Non c’è solo la recessione
“tecnica” (due trimestri negativi), con l’inflazione alta e in aumento – a
differenza degli altri paesi europei: in Germania tornano chiusure e
delocalizzazioni.
La Germania è tornata a
vent’anni fa. A prima del cancellierato Schröder. Che fece, da sinistra, la riforma
(cioè la disintegrazione) del mercato del lavoro. E della Germania l’hub del gas russo.
Merita ricordare, a questo proposito,
che il cancelliere Schröder, poi consulente superstipendiato di Gazprom, soppiantava
il ruolo semisecolare svolto dall’inizio della politica russo-sovietica di
esportazioni, in piena guerra fredda, dall’Eni - a lungo, anche se con giudizio,
bilanciando le importazioni russe con l’Algeria e la Libia.
Non ci sono i cinque milion
di disoccupati di vent’anni fa - 4,5 milioni per l’esattezza. E la Germania non
ha bisogno, come lo ebbe allora, con l’avallo di Bruxelles, di sforare i limiti
annuali al disavanzo di bilancio. Ma i fallimenti crescono esponenzialmente –
novemila nell’industria nel semestre 2023, calcola “Die Welt” sui dati della
Confindusttria tedesca. E c’è un deciso ritorno alle delocalizzazioni, nei paesi
dell’Est europeo o in Asia, che la riforma Schröder aveva bloccate.
Il resto dell’Europa marcia
invece spedito. Se avesse anche il contributo positivo della Germania, invece
che negativo, si stima che registrerebbe incrementi del pil analoghi a quello
americano, del 2,3-2,4 per cento. Questo non è possibile perché la Germania è gestita - come la Banca centrale europea- dalla Bundesbank, dalla sua vieta politica monetaria del caro-denaro.
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