astolfo
Elisa
Chimenti – Una signora di Napoli, dove nacque nel 1883, la
prima di quattro sorelle, che visse in Marocco una vita, a Tangeri, fino al
1969, dove scrisse molto e aprì una cuola italiana, la prima in Africa. Riscoperta
recentemente, il 5 aprile, da Natascia Festa sul “Corriere della sera-Corriere
del Mezzogiorno” l’edizione napoletana. Poliglotta, scrisse però in francese, e
per questo forse è stata dimenticata – non una menzione alla morte, pur in
epoca molto attenta alla cultura, e a Tangeri. Era anche stata nominata
Cavaliere al Merito dal presidente Gronchi con decreto 30 maggio 1957. E nel
Palazzo delle Istituzioni Italiane a Tangeri, che tuttora esiste, una sala le
era stata dedicata in vita, “Elisa Chimenti”. Che tuttora ospita una Fondation
Méditerranéenne Elisa Chimenti.
Il padre medico,
Rosario Ruben, garibaldino, si era stabilito con la famiglia a Tunisi quando
Elisa aveva un anno. Ultima di sei figli, un fratello e un fratellastro di nome
Roberto, e tre sorelle, Mara Ester, Mara Giulia e Mara Dina. Alcuni anni dopo la
famiglia si sposta a Tangeri, in Marocco. Qui il padre si lega alle origini ebraiche, e fa
educare Elisa alla Alliance israélite della città. Dove l’insegnamento è tenuto
in francese, in arabo e in ebraico. Elisa cresce così cosmopolita e poliglotta –
si vuole che conoscesse e parlasse speditamente ben quindici lingue, di cui
buona parte dialetti araco-berberi, oltre a francese, tedesco, spagnolo, portoghese
(non l’inglese). Col padre, medico di corte del sultano del Marocco, Muley
Hassan I, frequenta la miglior società marocchina, ma anche le tribù berbere
dell’Atlante, della Montagna: segue il padre nelle visite periodiche tra le
popolazioni più povere, come interprete e per l’auscultazione delle donne.
Una vita divenuta più romanzesca alla morte del
padre, nel 1907. Elisa è mandata a proseguire gli studi in Germania, a Lipsia.
Qui pubblica i suoi due primi romanzi, “Meine Lieder” nel 1911 e “Taitouma” nel
1913. Nel 1912 si è anche sposata, con un conte polacco naturalizzato tedesco, Fritz
Dombrowskij, ma il matrimonio finisce presto: il conte ha crisi di follia e
tenta anche di strangolarla - successivamente si legherà a Si Ahmed Fekhardji, algerino,
interprete di corte, senza sposarlo. Nel
1914 è di nuovo a Tangeri, dove fonda con la madre una scuola italiana.
Multiculturale e multireligiosa. Finanziata dal 1924 dal governo italiano, da
Mussolini. Che però successivamente impone un suo direttore. Elisa resiste, e resiste
anche alle pressioni per prendere la tessera del fascio. Nel 1928 è licenziata,
Riprenderà la direzione della scuola alla caduta del fascismo, nel 1943. Chiederà
allo Stato italiano e otterrà un risarcimento per la “nazionalizzazione” della
scuola negli anni di Mussolini, per la somma di 30 mila franchi francesi – che però
non verrà mai pagata. Vivrà di giornalismo e di scrittura, soprattutto di cose
marocchine, storiche o etniche. È morta, a Tangeri, il 7 settembre 1969.
Mara Pia Tamburlini, udinese, insegnante all’estero,
anche a Tangeri, e cura l’archivio di Elisa Chimenti, per l’“Enciclopedia delle donne” ne fa un ritratto
lusinghiero, di “scrittrice eclettica e feconda, imprenditrice ante litteram,
antropologa, ecologa, poliglotta, studiosa delle differenti culture e credenze
presenti nel nord del Marocco – cristiana, musulmana, ebraica, animista”. Un
solo suo romanzo,”Al cuore dell’harem”, risulta tradotto, nel 2000.
Sacagaweha – Una squaw Shoshona, “moglie “ di un trapper franco-canadese, un cacciatore
di animali da pelliccia, si può dire la scopritrice dell’America, del wild West.
La
via verso il West fu aperta negli Stati Uniti nel 1804, dopo l’acquisto della
Louisiana dalla Francia, dalla spedizoione (Meriwether) Lewis e (William)
Clark. Che non conoscevano i luoghi verso cui si indirizzavano né le lingue
delle tribù che andavano a incontrare, lungo il Missouri e attraverso le
Montagne Rocciose, gli Shoshona, gli Hidatsa, i Mandan. Si appoggiarono quindi
a un avventuriero francese di nome Larocque. Dal quale però presto ricevettero
richieste eccessive. Assunsero allora come guida-interprete un aiuto di Larocque, Toussaint Charbonneau,
un francese del Québec, trafficante in pelli di discendenza mista, francese e
irochese, che aveva anche il pregio di due mogli, Otter Woman e Sacagaweha,
“donna uccello” – entrambe donne Shoshona, prese prigioniere dagli Hidatsa, in
una incursione contro gli Shoshona. “Mogli” incontrate o rapite nell’odierna Washburn, in North Dakota. Lo
assunsero in qualità di interprete. Charbonneau aveva lavorato per altre
spedizioni, ma era nota solo la brutalità: mentre lavorava per la North West
Company come trapper, venne registrato
nei diari della compagnia per essere stato accoltellato da una donna Saulteaux,
di cui aveva stuprato la figlia.
Presto anche Charbonneau decadde nelle
grazie di Lewis e Calrk, classificato come “un uomo di nessun merito”.
Litigioso anche con le “mogli”, tanto che dovette essere rimproverato ufficialmente
dopo un diverbio con Sakagawea. Delle due donne indiane Sakagawea divenne di
fatto la vera interprete, e anzi la direttrice della spedizione: conosceva molti
luoghi e molte persone, sapeva muoversi ta la varie lingue tribali. Salvò carte
e documenti dal rovesciamento di una baca male manovrata da Charbonneau. Salvò
molte situazioni tese con le tribù che incontravano. Alla fine della spedizione
cedette la sua cintura di “grani blu” (turchesi) n cambio di una invidiatissima
pelliccia di foca che la spedizione volle portare indietro come regalo per il
presidente Jefferson.
Una donna oggi centrale negli studi
storici, misconosciuta fino a recente. Sempre riferita da Clark nei diari come “moglie
di Charbonneaux”, “donna indiana” o “squar” (non squaw). Il rapporto era ufficialmente mantenuto con Charbonneaux. Che
risulta pagato al termine della spedizione, nell’agosto 1806, dopo19 mesi, 500
dollari, più un cavallo e un alloggio. Ma nei diari dello stesso Clark, durante
la spedizione e dopo, non c’è che lei. Ora accreditata dagli storici della parte
migliore del lavoro della spedizione, un percorso di migliaia di miglia, dal
Nord Dakota al Pacifico: era il cardine dei contatti con i nativi americani,
risultò l’unico membro della spedizione in grado di spiegare tutti i fatti naturali,
vegetazione, fauna, ambienti, che incontravano, i passaggi da lei individuati e utilizzati per
attraversare le Montagne Rocciose sono quelli rimasti poi in uso. È una delle personalità più
onorate, con statuee e monumenti di ogni tipo dalla National Americam Woman
Suffrage Association.
Fratelli Vivaldi
– Ugolino e Vadino (Guido) Vivaldi, genovesi, navigatori, sono ricordati da
Fabio Genovesi in “Oro puro”, il romanzo della scoperta dell’America, come
precursori di Cristoforo Colombo. Della teoria che navigando verso Occidente si
raggiungesse l’Estremo Oriente, l’India e il Cathay, la Cina, con le loro
ricchezze. E della pratica: i due fratelli si avventurarono oltre “le colonne
d’Ercole”, e se ne persero la traccia.
Precursori
già due secoli prima, perché partirono nel 1291. Partirono con due galee,
“Allegranza” e “Sant’Antonio”. Finanziati da mercanti e patrizi genovesi, tra
essi un Doria, Tedisio. Una spedizione, come da contratto, “ad partes Indiae per
mare oceanum”. Con l’intento però non di arrivare in Oriente navigando verso
Ovest ma di arrivarci circumnavigando l’Africa - la rotta che seguitranno
Bartolomeo Diaz e Vasco da Gama due secoli dopo. Sono dati per dispersi nelle
cronache successive, dopo capo Juby,
dove oggi finisce il Marocco, al confine con la Mauritania. La loro fine,
personale e della spedizione, è controversa. Una delle spedizioni organizzate
per la ricerca, quella di Lanzerotto Malucello una ventina d’anni dopo, accertò
che le galee avevano toccato le Canarie, e poi proseguito, fino alla foce del
fiume Gambia (Senegal). Dove una delle due galee fece naufragio.La missione
proseguì, nel racconto dei nativi, caricando equipaggio e viveri sull’altra
galea. Nel 1455 Antoniotto Usodimare, anche lui genovese, scriveva di avere
incontrato nei pressi del Gambia “un giovane della nostra stirpe”, che capiva e
parlava genovese, qualificandosi discendente dai superstiti della spedizione
Vivandi.
Franco
Prosperi, regista cinematografico di documentari naturalistici, ideatore con
Gualtiero Jacopetti del cinema detto Mondo
movie, di formazione zoologo (ittiologo) ed etnologo, animatore di molte
spedizioni etnologiche della Società Geografica Italiana, in una di queste, nel
1950, trovò e fotografò, incisa su una roccia lungo il corso dello Zambesi, al
confine con la Rhodesia-Zimbabwe, in un tratto poi sommerso con la costruzione
della diga di Kariba, la scritta “V.V. ad 1294”, che dedusse essere di Vadino
Vivaldi.
Il
progetto dei Vivaldi rientrava nella ricerca di una via commerciale verso
l’Oriente dopo l’interruzione della via terrestre, con la caduta di San
Giovanni d’Acri e delle altre piazzeforti cristiane nel Levante.
astolfo@antiit.eu
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