La sindrome Fini, o della destra impresentabile
È curioso vedere come le destre
al governo, pur non avendo praticamente opposizione, e pur sapendo che gli
scandali sono politici (quanti non ne hanno praticato loro, con manette e
sarcasmi?), stiano sempre in guardia e sulla difensiva. Sempre dietro il panno
rosso che “la Repubblica”, ora un po’ supplita da “Il Fatto quotidiano”, gli
agita ogni giorno sotto il naso – non grandi cose: il Pnrr (il Pnrr?), il salario
minimo che nessuno vuole, la riforma della giustizia che tutti vogliono, le
intemperanze di Larussa, i debiti di Santanché. Sempre in affanno. E sempre a
caccia di un’intervistina con la stessa “la Repubblica”, anche se pochi ormai
la leggono – erano le destre il maggior numero di lettori del quotidiano al tempo
di Scalfari.
Si direbbe che effettivamente le
destre mancano di legittimazione culturale. Ai loro stessi occhi. Di eletti, se
non di elettori, tra i quali si troverà qualcuno che pensa e capisce liberale. Che
abbiano connaturata una sindrome Fini, del “salotto buono” in cui infilarsi.
Sembra in affanno la stessa
presidente del consiglio, che pure mostra esperienza e capacità di gestione internazionale,
di personaggi, eventi, politiche, culture, quello che una volta faceva lo statista.
Una personalità inconsueta nella politica dell’Italia repubblicana. Sempre in
affanno quando sta a Roma, con dichiarazioni quotidiane, e anche bi-quotidiane.
Cioè di precisazione. Cioè di navigazione in un’acqua che non sente la sua.
Parla in lingua con i suoi grandi interlocutori, e conosce i dossier, ma nell’intimo
si sente inadeguata?
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