Letture - 526
letterautore
Sibilla Aleramo – Lo pseudonimo è anagramma di
“amorale” nella presentazione che Silvio Raffo alla riedizione delle poesie di
Aleramo, da lui curate vent’anni fa. La biografia, pur ampia, di René de Ceccaty
si era limitata a delinearne il carattere impetuoso, da virago. Partendo naturalmente
d all’episodio che ne segnò la vita, il rapporto (subito? consentaneo?) a 15
anni con un dipendente del padre, col quale un anno si sarebbe sposata, pur non
essendone rimasta incinta.
Cinema
- Decretandolo
arte del Novecento, “non più parte delle nostre vite”, Cazzullo fa sul
“Corriere della sera” questa lista memorabile del secolo del cinema: “Io direi:
Stanley Kubrik, Peter Weir, Ridley Scott, John Madden, Christopher Nolan”. Pur
premettendo: “Ognuno ha la sua classifica”. Ma non si è perso il meglio?
Fantascienza-gialli
– Vladimir Nabokov, che non amava i due generi,
ne sintetizza così le debolezze (in un
racconto fantascientifico, “Lance”…. – il suo unico): “La stessa specie di tristemente
pedestre scrittura, con tonnellate di dialoghi e quintali di calcolato humour”.
Una scrittura di clichés: “I clichés, si capisce, sono mascherati;
essenzialmente sono gli stessi attraverso tutta la materia di lettura a buon
mercato, che attraversa l’universo o il tinello”.
Incipit
–
Sono l’unico, si può dire, riferimento letterario delle residue critiche novellistiche
nei media. Esito probabilmente dei passaggi al giornalismo dei redsttori editoriali.
D’Orrico, joker della narrativa per i periodici del “Corriere dela sera” ne fa
la celebrazione sull’ultima “Lettura” bocciando i cinque finalisti del premio
Strega, con due 3, due 4, e un “quasi sei” – a Maria Grazia Calandrone, “”Dove
non mi ha portata”: “Di mia madre, ho soltanto due foto in bianco e nero” (“quella
virgola strangola la frase”). All’opposto, quali incipit magistrali, “anni luce
lontani”, D’Orrico propone Ammanniti, premio Strega 2007 (“Come Dio comanda”):
“- Svegliati, svegliati, cazzo!”. E Volponi, Strega 1965 (“La macchina
mondiale”): “Il mio pensiero e la mia memoria, le lacerazioni che si producono
all’interno, nel tracciato della mia macchina e nell’accensione dei diversi
commutatori, mi tengono anche vicino alle cose e ai fatti che camminano intorno
a me”, e cosi via per altre quattro righe. “Questi sì che sono incipit che
stregano”, commenta D’Orrico. Ma non si capisce se scherza.
Impazienza
–
“Per impazienza Orfeo perse E uridice”, J. P. Sartre, “Le parole”, 189. Ma non
solo Orfeo: “Per impazienza”, continua il filosofo, “mi sono perso spesso. Sviato
dall’inattività, mi capitava di ritornare alla mia follia quando avrei dovuto
ignorarla, metterla da parte e fissare l’attenzione sulle cose esterne”. Sartre
si riferisce a periodi in cui la noia lo dominava, lo scarso o nessun
interesse.
Italiano
–
Ritorna in musica, in ambiti e aree quanto di più lontano dall’Italia, storia e
cultura - mentre i musicisti italiani prendono
nomi quanto di più remoto dall’italiano, dalla declinazione e dal senso. Sul
solco degli Abba, il gruppo svedese, il cui maggior successo è “Mamma mia”, da
un paio d’anni cresce “Amapiano”, la house
music, o musica dance, sudafricana
– la “danza del futuro”. Che si fa strada da un paio d’anni, lieve e sensibile
come il nome: un mix tra l’house
sudafricana e il rhytm and blues
– “il battito del cuore dei giovani”.
Paul
Nizan –
È mefistofelico, per il suo grande amico Sartre. Infine a scuola, passati i
dieci anni, alla media del liceo Heny IV di Parigi come esterno, Sartre, figlio
e nipote fino ad allora solitario,
scopre la vita in comune dei ragazzi, con grandi spassi e grandi
amicizie. In particolare con il bello e buono e bravo della classe, di nome
Bénard. Che però, come nei migliori romanzi con i quali Sartre aveva convissuto,
“alla fine dell’inverno morì”. Il cordoglio non fu di facciata. Fino al giorno
in cui in classe, durante la lezione di latino, “la porta si aprì, Bénard
entrò, scortato dal bidello, salutò Durry, il professore, e si sedette. Riconoscemmo
tutti i suoi occhiali di ferro, la sciarpa, il naso un po’ adunco, l’aria di
pulcino freddoloso”. Il professore chiede al nuovo venuto di presentarsi.
“Bénard rispose che era semi-convittore, figlio di ingegnere, e che si chiamava
Paul-Yves Nizan”. Sartre non demorde, e alla prima ricreazione ci fa amicizia. Senonché
“un dettaglio minimo fece presentire che
non avevo da fare con Bénard ma con col suo simulacro satanico: Nizan era
strabico” - ma non lo era anche Sartre?
I due diventeranno veramente amici, spiega
subito Sartre, molti anni dopo, all’Ècole Normale, “dopo una lunga
separazione”, ma anticipa i problemi di questa amicizia, in una lunga pagina: “Era
troppo tardi per tenerne conto”, del diavolo nello sguardo, “avevo amato in
questo viso l’incarnazione del Bene, finii per amarlo per se stesso. Ero preso
in trappola, la mia propensione per la virtù mi aveva condotto ad amare il Diavolo”.
Un diavolo particolare: “A dire la verità, lo pseudo Bénard non era molto
cattivo: viveva, ecco; aveva tutta le qualità del suo sosia, ma appannate. In
lui, il riserbo di Bénard virava alla dissimulazione: sconvolto da emozioni
violente e passive,non gridava ma l’abbiamo visto sbiancare di colera,
balbettare.; quello che prendevamo per dolcezza non era che paralisi momentanea;
non era la verità che si esprimeva dalla sua bocca ma una specie di oggettività
cinica e leggera che ci metteva a disagio, perché non ne avevamo l’abitudine e,
benché adorasse beninteso i genitori, era l’unico a parlarne con ironia”.
Pasolini
–
Rimandato in quinta, benché fosse alunno diligente e bravo (“lodevole” in tutte
le materie). Perché in casa parlavano in dialetto? Si spiega anche la prima poesia
in friulano.
Paternità
–
Nel memoir “Le parole” Sartre, inizialmente
sicuro che il padre assente, all’interno della sua “famiglia” allargata che era
materna, essendo morto subito dopo averlo generato, fosse la causa del suo Superìo
di fanciullo solitario e isolato – uno che ha vissuto di libri, alla maniera di
don Chisciotte. Poi ci ripensa, è la sua mancanza che lo isola: “Un padre mi avrebbe
liberato di alcune ostinazioni durevoli: facendo dei suoi umori miei principi,
della sua ignoranza il mio sapere, dei suoi rancori il mio orgoglio, delle sue
manie la mia legge, mi avrebbe abitato; questo rispettabile locatario mi
avrebbe dato del rispetto per me stesso”.
Roma
–
Ogni quartiere è un altro, ogni pochi anni: la geografia urbana muta
costantemente, rapidamente – a differenza dei paesi, che invece perpetuano i
caratteri. I Parioli fascisti sono da una generazione ormai saldamente Pd.
Trastevere dei ladroni ancora trent’anni fa è un quartiere ora intellettuale e
quasi culturale – non fosse che di notte diventa una mangiatoia. San Lorenzo, a
lungo ribollente di ogni “alternativa”, di teatro off, di musica pop e di
sballo, strapieno di giovani (studenti fuori sede), è ora smorto, sembra vuoto –
orfano e muto. Il Pigneto, modesta
immigrazione calabrese, di artigiani, è da trent’anni il quartiere off-off, il più in. Garbatella, tranquillo quartiere (“mussoliniano”) di piccola borghesia,
scoperto dai “Cesaroni” in tv, cresce esponenzialmente, nell’immobiliare e nella
gastronomia - già da anni, ben prima di Meloni.
letterautore@antiit.eu
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