Mente avventurosa di novantenne
I
popoli e le civiltà perdurano. Come ci
sono terreni instabili geologicamente, “in maniera simile si comportano, da un
punto di vista geomantico, quelle regioni in cui il mito non si è ancora
raffreddato…. Se ci recassimo a perlustrare questi luoghi con un apparecchio
simile a un contatore Geiger, potremmo rilevare potenti eruzioni. I terreni
migliori sono quelli in cui dominarono popoli che, come i Celti, gli Etruschi e
gli Aztechi, sono certamente scomparsi da un punto di vista politico, e
tuttavia continuano ad abitare quelle terre. E poi ancora l’Asia minore, prima
di Alessandro, e addrittura prima di Erodoto. Alicarnasso, il Libano con il
sangue di Adone, l’antica Persia” – non l’Italia, non Roma.
Novello
Antonio nella Tebaide, alle prese con lo spirito del tempo, il vecchissimo
Jünger s’invola giovanile, disinvolto, per una serie di riflessioni occasionali,
in forma di aforismi, poi via via concatenate, e dunque anche logiche
(filosofiche), nel mondo come è – come appare e come quindi sarà. Con lo stesso
passo sicuro con cui, quasi un secolo prima, aveva individuato il tempo del
“lavoratore”, dell’applicazione pratica, tecnica. Il futuro naturalmente è in
immagine, ma il vecchio-giovane saggio ne ha le chiavi, sa come leggere
l’immaginazione.
“Da
tempo ormai abiamo superato 1984 di Orwell”.
“I successi economici e politici accelerano l’appiattimento, mentre il giro
degli affari ne trae benefici”. “Ciascuna nazione ha il proprlo Eracle. Nessuo
lo ha mai visto, tutti ne hanno sentito parlare”. “Lo stato d’animo diffuso nel
mondo, come non potrebbe essere altrimenti a fine secolo, appare contraddittorio
ed inestricabile: ora prometeico…. ora catastrofico”. Il repertorio è molto
vario.
La
“forbice” è quella di Atropo, che taglia\non taglia i fili della vita. Che ha un
suo corso anche sotterraneo, e prosegue “oltre”. Un cammino non immaginario, fondato
sui miti e documentato, aumentato, dall’imaginazione – che sa andare oltre l’apparenza.
Con
una postfazione di Quirino Principe, che
situa l’opera nella vita (l’opera è per lo più del 1987, quando Jünger aveva 92
anni) e nella riflessione, inesausta. Principe richiama gli ansloghi viaggi “fantastici”
di Borges e di Chesterston (“Orthodoxy”), ma in Jünger è diverso, il vagare
apparente è scientifico, seppure di frontiera, di spazi estremi o poco
frequentati. Qui specialmente intraprendente: lancia la palla lontano, come una
fantasia tra il bizzarro e il confuso, e poi, dipanando il filo senza tagli di
forbice, traccia un cammino sicuro, condivisibile. E senza pesantezze – quanto
remoto dal suo amico Heidegger.
Ernst
Jünger, La forbice, Guanda, pp. 203
€ 18
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