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Racconto felice di un’infanzia piena – del filosofo del niente
Niente
padre (quindi niente Super-Ego – ma è sicuro?). Accudito da un nonno “Victor Hugo”, teatrante e invadente – ma col nipote la giusta misura: uno Schweitzer
alsaziano e protestante che ha sposato una cattolica. La quale non gli parla: “Attorniata
da virtuosi commedianti, aveva preso in odio la commedia e la virtù. Questa realista
così fine, sperduta in una famiglia di spiritualisti grossolani, si fece
voltairiana per sfida senza avere letto Voltaire”. Con una mamma tutta per sé – anche se
obliterata dal nonno suo padre - “cinquant’anni più tardi, sfogliando un album
di famiglia, Anne-Marie”, la madre, “si accorse che era stata bella”. Anne-Marie aveva avuto Jean-Paul a 23 anni, e viveva ancora, accudita dal figlio a Parigi, quando il libro fu pubblicato, nel 1964.
Un
avvio di fuochi d’artificio, brioso, scanzonato, tutto cose, che in qualche
modo resiste per le duecento pagine. Cento per “leggere”, che fu facile e anzi
la sola occupazione, il solo “gioco”, e
cento per “scrivere”, che invece fu difficile – e si sa, si è visto. Il vizio
di riflettere a ogni parola è ancora circoscritto – rispetto ai racconti del
“Muro”, al romanzo della “Nausea”. Questo che oggi si direbbe un memoir, il racconto dell’infanzia e dell’adolescenza
dell’autore, fila via tra invenzioni sempre appuntite, tagli virtuosi, personaggi
vivi e vari, non ce n’è uno stereotipo. Specie sugli Schweitzer, luterani alsaziani che nella catastrofe del 1870 avevano scelto la Francia. E sui matrimoni di Fine Secolo, di coppie che non si corteggiavano e non si stimavano (parlavano) ma facevano figli - di sessualità animale? per accrescere il patrimonio? Con un paio di pagine acute su Paul Nizan, futuro grande amico alla Scuola Normale, qui intravisto per qualche settimana o mese alla scuola media. Sul fondo del mammismo, il legame stretto con Anne-Marie, la madre-sorella, che avrebbe poi trasposto nelle innumerevoli e concomitanti relazioni femminili. Innocenti, non adulterine, ma come incestuose: qui fa sapere, in nota, di avere “a lungo sognato di scrivere un racconto su due ragazzi perduti e discretamente incestuosi”. Tra lampi di grande storia. Anche se presto si impongono le autoanalisi, il vizio adulto sovrimpresso al bambino.
Sul
piano personale la constatazione di avere scoperto il mondo nei libri. Nelle
idee del mondo invece che negli eventi, le cose, le persone. “Ho confuso il disordine
delle mie esperienze libresche col corso rischioso degli avvenimenti reali. Da
qui venne quell’idealismo da cui ho messo trent’anni a disfarmi”.
Opera
tarda, di Sartre sessantenne, invischiato nella politica, nell’alcol e nelle
anfetamine, oltre che nella (controversa) fenomenologia, che invece fa mostra
di una freschezza inossidabile, una sorta di opera prima. Un’infanzia
privilegiatissima, raccontata con humour, e con qualche insegnamento, perché
no. Per il pubblico dei lettori, e personale. In particolare per la ginecomania:
una bambino cresciuto con una sorella grande, la madre Anne-Marie, che avrebbe voluto
anche una sorella minore, cui fare da compagno e maestro - che non è “scientifico”
ma rende l’idea.
L’edizione
tascabile francese è arricchita di un indice dei nomi propri ricorrenti, e
delle opere citate, delle lettura del giovane Sartre.
Jean-Paul
Sartre, Le parole, Il Saggiatore,
pp.192 € 21
Les Mots, Folio, pp. 212 € 6,50
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