mercoledì 5 luglio 2023

Se gli Stati Uniti fossero stati un Canada

“E se è stato un errore fin dall’inizio? La Dichiarazione d’Indipendenza, la Rivoluzione Americana, la creazione degli Stati Uniti d’America – se tutto questo fosse stato un’idea terribile, se le ingiustizie e la follia della vita americana dopo d’allora non sono malgrado le virtù dei Padri Fondatori ma a causa loro? La Rivoluzione, si potrebbe continuare, fu un innecessario e brutale attacco di panico degli schiavisti contro il chiacchiericcio dell’Illuminismo, creando un paese che è sempre stato segnato da violenza e scontri e demagogia. Si guardi a nord al Canada, oppure al Sud all’Australia e si vedranno differenti possibilità di evoluzione pacifica lontani dall’Inghilterra, da paesi normali e uniti, più giusti e meno sanguinari”.
Gopnik sa che “la Rivoluzione è il nostro ultimo baluardo”. Ma sa che la storia successiva non è
stata esemplare. Un’ipotesi non provocatoria, questa che la rivista ripropone per la festa
dell’Indipendenza. Ipotizzata da un vecchio saggio,del 2017, del suo scrittore di punta. Che è di
famiglia ebraica, americano di origine e poi di attività, ma cresciuto in Canada negli anni degli studi
superiori e dell’università. La sua non è però una provocazione, ma la lettura-recensione di tre libri
di storia, loro sì rivoluzionari, sulla “rivoluzione” americana, sulla guerra d’Indipendenza. I tre libri,
non tradotti in italiano, sono: Justin du Rivage, “Revolution against Empire” (Yale), Holger Hoock,
“Scars of Independence” (Crown), e Jonathan Israel, “The Expanding Blaze”. Le prime due ricerche
Eversive. La terza invece in linea, patriottica, ma lungo la linea tracciata quarant’anni fa dal decano
degli storici americani,GordonWood, “The Radicalism of the American Revolution”: malgrado
brutalità e ipocrisie, quella americana fu una rivoluzione nel senso che sradicò millenni di teorie e
pratiche di poteri ereditari, divini, più o meno assoluti.
Gli studi di Du Rivage (ricercatore a Yale) e di Hoock, professore a Pittsburgh, specialisti di storia inglese, sono piuttosto sul lato britannico della questione indipendenza, fra Whigs Radicali e Riformatori Autoritari, del No Taxation without Representation radicale contro il Taxation NoTiranny - titolo del libello commissionato a Samuel Johnson, in qualità di saggio, nel 1775 per controbattere le richesite americane.
Tutt’e tre le pubblicazioni concordano che la Rivoluzione fu brutale, molto più di quanto il mito della stessa riconosca. “Pagina dopo pagina,”, spiega Gopnik, “il lettore sbianca alla lettura di massacri e contro-massacri, di frustate e stupri, di baionette inastate conficcate nei corpi a più riprese, di gare a impiccagioni e assassini. L’effetto è più allucinante per l’ambientazione: questi orrori si producono non in Polonia o in Algeria ma in quelle che ora sono le aree di sosta lungo l’autostrada I-9, in Connecticut e New Jersey, in un tempo che ancora immaginiamo di cappelli a tre corni e del clip-clop di carrozze hollywoodyane su strade acciottolate”. E convergono nella conclusione che un allentamento, invece che un distacco radicale, del legame con la Gran Bretagna avrebbe accelerato l’abolizione della schiavitù, evitando la guerra civile, e avrebbe ridotto, se non impedito,la caccia ai nativi americani, sotto le varie insegne via via adottate.
Hoock richiama “The Patriot”, il film sulla Rivoluzione di Mel Gibson, pur non apprezzando il senso politico dell’attore-regista, come il quadro più veritiero della Guerra d’Indipendenza – analogo al film “La Passione di Cristo” dello steso Gibson: i nostri miti favoriti sono imbevuti di violenza, di sangue.
Adam Gopnik, We could have been Canada, “The New Yorker”, 15 maggio 2017, free online

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