domenica 23 luglio 2023

Sottoscrizione per Barbie (Mattel) al cinema

Barbie ha pensieri di morte, di piedi piatti, di cellulite. Insieme con Ken decidono che un bagno nel mondo reale può far bene. Se non che Ken, del mondo reale, scopre e adotta il patriarcato. Di ritono a Barbieland è la disperazione, Barbie si isola, sempre più, anche se comincia a fare amiche. Quando ha deciso che tutto è finito e non c’è più speranza, la sua “mamma”, la creatrice di Barbie (e di Mattel), Ruth Handler, tedesca, vecchia ormai, dopo sessant’anni di Barbie, due mastectomie e un metro e mezzo di altezza, le spiega che la vita ha un altro senso, e Barbie scopre la ginecologa. Con rimando inquietante alla Germania di Hitler, quando Ruth era bambina, di dolicocefale bionde.
Una figurazione pop, alla Andy Warhol, di personaggi stagliati senza chiaroscuri, pastello invece che a olio. Con movenze da cartone animato. Con un tentativo di commedia musicale, presto abbandonato. E visi poco espressivi, se non per la figurazione iniziale – a Ken nemmeno Ryan Gosling riesce a dare anima. Per una non-storia di due ore - un lungo spot pubblicitario  anche per altri marchi (la Barbie diventata donna esibisce le birkenstock).
In America è un delirio, incassi record. Anche di critica – ““Barbie” è brillante, bello, e divertente da morire” lo decreta l’altezzoso “New Yorker”. Allo spettatore l’ardua sentenza. Quello che si vede è una promozione gigante di Mattel, il gruppo dei giocattoli che con Barbie ha fatto fortuna, una sorta di universale crowdfunding.  Dopo un investimento di 145 milioni di dollari per la produzione (e non si vede perché, ne bastavano e avanzavano 14,5), e 100 per la promozione, durata un anno - un anno. Sapessero in America cosa barbina significa a Firenze.
Greta Gerwig,
Barbie

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