Troisi ricomincia da sé
Due
ore di cinema documentario ma vispe come un film a soggetto. Grazie alle scene
dei film di Troisi che lo animano, e alle testimonianze. Specie quella, poco o
nient’affatto abituale, di Anna Pavignano, la scrittrice torinese che fu per un
tempo la compagna di Troisi, e la coautrice dei suoi fim migliori, “Ricomincio
da tre” (1981), “Scusate il ritardo” (1983), “Le vie del Signore sono finite”
(1987), “Pensavo fosse amore… invece era un calesse” (1991), “Il Postino”
(1994). Che dà ragione dei personaggi femminili fuori cliché dei film di Troisi. E poi c’è Troisi, la sua faccia e le sue
battute.
Per
questo aspetto, del Troisi-che-non-vuole “fare il napoletano”, particolarmente
rinfrescante in questo momennto di napoletanitudine
invadente, tra scudetto, il ministro Sangiuliano, e il ritono dei turisti. Di
Troisi che a Firenze vuole essere in vacanza, “partenopeo e… parte fiorentino”.
Curiosamente, Troisi riesce ancora a bilanciare Martone, anche lui in vena di
napoletanitudine – con l’insistito incongruo assunto che nel Golfo nacque in
quegli anni una nouvelle vague
cinematografica italiana, e da Napoli si espanse nel vasto mondo.
Non
è la sola incongruenza. Martone, che pure è uomo di teatro, sa cioè che
l’improvvisazione non paga, insiste sulla semplicità e naturalezza della
comicità di Troisi. Come se fosse un attore di strada fortunato. Mentre ogni
mimica, ogni pausa, ogni parola della “semplicità” e “naturalezza” è opera
d’arte, va coltivata, costruita, provagta, azzardata.
Funziona
invece l’altra idea di Martone: legare la filmografia di Troisi, benché
limitata, all’opera di di Truffaut. Come
un lungo racconto, a episodi, di se stesso e del mondo verso se stesso. Che è
comunque ipotesi vera, e àncora Troisi saldamente, fuori dal cabaret, dalle
battute, nella comicità classica. La
vera Napoli si penserebbe questa, troppo scafata per non essere misurata.
Mario
Martone, Laggiù qualcuno mi ama, Sky Cinema Due, Sky Documentaries, Now
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