Giuseppe Leuzzi
“Un
Paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire
non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa
di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti” - Cesare Pavese, “La
luna e i falò”.
Ippolito Nievo, “Una
scrittura di maschere per Carnovalone” (In “Storia filosofica dei secoli futuri,
e altri scritti umoristici del 1860”), ha “la carta sughero degli aranci di
Messina”. Nievo conosceva e aveva pratica della carta sughero prima delle
arance – a nessun siciliano sarebbe venuto e verrebbe in mente di dire le
arance carta sgughero.
In realtà le arance di Nievo
erano imbarcate a Messina, dal porto, ma prodotte nel catanese e
nell’agrigentino. Ora, non da ora, dal porto di Messina non parte più niente. Anche
le navi militari lo disertano, gli incrociatori inglesi, le corazzate americane.
Né la città ha organizzato il porto, come invece ha fatto Reggio di fronte, per
l’accoglienza agli immigrati. La geografia economica è volubilissima.
C’è ingegno nella mafia
“La cattura è stata forse
l’ultimo e migliore investimento di Matteo Messina Denaro”, commenta Francesco
Damato sul giornale online Start Magazine: “Il cancro è ormai al quarto stadio
e l’ergastolano può per sua fortuna affrontarlo in condizioni migliori di
quando potesse da latitante. Ne ha tutto il diritto, per carità”. Ma ora il suo
avvocato può pretendere “l’incompatibilità fra il suo stato di salute terminale
e il regime di detenzione noto come il 41 bis”. Se non, come ipotizza “La
Stampa”, pretendere “una detenzione ordinaria,, che gli consentirebbe la
sospensione della pena o gli arresti domiciliari”.
La mafia non è una. Ci sono
gli animali, che uccidono chi capita. Assassini, stragisti, di non sanno nemmno
chi, a centinaia, a migliaia, compresi moltissimi magistrati, politici,
giornalisti, dirigenti di Polizia, generali dei Carabinieri, mogli, figli,
bambini. Gli Spatuzza, i Brusca - ora pentti e convertiti, pupilli della
giustizia purché denunciassero Berlusconi e Dell’Utri. Ma c’è anche, purtroppo,
ingegno nella mafia, che s’infila dappertutto come i topi.
La mafia sconfitta in Sicilia
Si vuole la mafia un fatto
sociale e politico governante, dominante, in grado di distribuire ricchezza
(lavoro, utilità, vitalizi), creare carriere, canalizzare gli affari. Invece
che un fatto criminale. Ma la volta che si candidò a governare la Sicilia, nel
dopoguerra, prese pochi voti, pochissimi. Il famoso voto di scambio che farà la
panacea di tutte le procure antimafia, là dove si trova immigrata qualche
famiglia siciliana o calabrese, non funzionò con i mafiosi.
È una delle tante sociologie di
caserma che Salvatore Lupo decritta nell’ultima ricerca, “Il mito del Grande
Complotto”. Il Movimento per l’Indipendenza della Sicilia costituito nel 1943 aprì
le porte alla mafia: “Nel 1943, per la prima volta, nonché per l’ultima,
l’ideologia sicilianista si fece partito, e in un partito, per la prima e
l’ultima volta in un secolo e mezzo di storia, l’onorata società si identificò,
anziché inserirvisi strumentalmente”. C’entrarono tutti, e nel 1947 si
candidarono anche. Lupo ne cita “alcuni,
un po’ casualmente”, ma sono le punte di diamante della geografia della mafia,
e quelli che quelli ne hanno “fatto la storia”, prima dell’avvento delle belve,
Liggio e Riina: Calogero Vizzini di Villalba, Giuseppe Genco Russo di Mussomeli,
Michele Navarra di Corleone, i palermitani Paolino Bontate, Salvatore Greco,
Tommaso Buscetta, Pippo Calò, e il bandito robin hood Salvatore Giuliano.
Nessun mafioso fu eletto, e
pochi o nessuno i mafiosi fecero eleggere: nove deputati regionali su novanta
nel 1947, e il Mls si sciolse, senza traccia.
I mafiosi erano e sono criminali,
che presto o tardi saranno annientati da altri criminali: che sicurezza possono
dare?
Ancora un piemontese in Sicilia
Il colonnello Charles
Poletti, che governò la Sicilia per alcuni mesi dopo l’operazione Husky, lo
sbarco Alleato in Sicilia nel luglio del 1943, reputato l’artefice del patto
con la mafia dai siciliani che coltivano l’ipotesi del “Grande Complotto”
Usa-mafia, era figlio di piemontesi. Di una coppia di immigrati, Dino e
Carolina Gervasini, di Pogno, nel novarese, un borgo prossimo al lago d’Orta.
Aveva studiato a Harvard con
una borsa di studio – il padre era scalpellino. Dopo la laurea aveva seguito a
Roma nel 1924 alcuni corsi alla Sapienza, con una Eleonora Duse Fellowship, una
borsa di studio – e al ritorno si era specializzato alla Harvard Law School.
Aveva poi fatto pratica forense, ma soprattutto politica. Nel partito
Democratico, consulente in tutte le campagne presidenziali, del 1924, del 1928
e del 1932. Dal 1933 consigliere e uomo di fiducia del governatore dello stato
di New York, Herbert Lehman. Che nel 1937, a soli 33 anni, lo nominò alla Corte
Suprema dello Stato di New York. Quando Lehman, nel 1942, abbadonò l’incarico
per dirigere quello che sarà il piano Marshall per l’Europa, Poletti lo
sostituì nel mese d’interregno fino all’entrata in funzione del governatore
Dewey. Il primo figlio di italiani a fare carriera politica, come governatore.
Passato l’incarico a Dewey, Poletti divenne consigliere del ministro della
Difesa Stimpson, col grado di tenente
colonnello. Morirà nel 2002, a 99 anni.
A sostegno dei patiti del
Grande Complotto Usa-mafia si può ricordare che il partito Democratico era
legatissimo a New York alla mafia – Fiorello La Guardia, il sindaco, anch’esso
di famiglia italiana, che combattè e interruppe questi legami, era
Repubblicano.
La Sicilia non è tutti noi
Tra linee della palma che
salgono e laboratori politici nazionali, di un’isola cioè quintessenza
dell’Italia, suo ganglio anzi centrale e vitale, si dimentica che l’autonomia
regionale fu richiesta e riconosciuta (concessa) non per una questione di sviluppo,
di soldi, di investmenti pubblici privilegiati, ma per una diversità
storico-etnica. Si decise per la Sicilia come per le regioni a popolazione
mista, anche allogena, Friuli, Venezia Giulia, Alto Adige, Aosta. È per questo
che non fuziona? E teme l’autonomia differenziata.
L’equivoco nasce dal fatto
che lo statuto special fu proposto e perfino imposto contro il separatismo siciliano. Quando gli Alleati cessarono
l’amnistrazione Amg, Allied Military Government, e consegnarono l’isola al
governo italiano, nel febbrario 1944, il primo compito che il Cln si assegnò in
Sicilia fu di battere il movimento indipendentista – che al riscontro
elettorale mostrerà poco seguito, ma si voleva allora temibile. Fu Mario
Scelba, futuro ministro dell’Interno di ferro, all’epoca giovane apprezzato
seguace di don Sturzo, a chiedere e concordare una richesta di autonomia. Senza
attendere, diceva, la Costituente nazionale o il “vento del Nord” – il “vento
del Nord”, diceva, aveva nell’atro dopoguerra provocato solo sconquassi, tra
socialismo e fascismo. Ad appena un anno
dalla fine dell’Amg, quindi nel febbraio 1945, riuscì a promuovere una Consulta
regionale, composta dai partiti del Cln e da notabili prefascisti, per
predisporre uno statuto di autonomia.
Cronache della differenza: Calabria
Il conte napoletano Giuseppe
Ricciardi, letterato e patriota, poi deputato radicale del Regno d’Italia, pubblicava
a Parigi nel 1842 una “Storia d’Italia dal 1850 al 1900, ossia Profezia in
forma di Storia” in cui la liberazione dell’Italia la prevedeva in risalita dalla
Calabria - una sorta di jacquerie, di
“massismo” rivoluzionario, unitario.
Vi finiscono i sogni di gloria. Fabio Sebastiano Tana
fa sullo speciale Calabria della rivista di viaggi “Meridiani” la constazione:
con Alessandro il Mol,osso, zio e cognato di Alessandro magno,
Annibale,Alarico.
Il “non finito” calabrese, le case lasciate a metà,
senza tetto, con pilastri senza pareti, con pareti senza intonaco, e\o senza
infissi, è finito in mostra qualche anno fa a Reggio, Mostra Metamorphosis Meditarrenea, con le
foto di Angelo Maggi. Censita con interesse, quasi con entusismo, come opera memorabile - o della bellezza della bruttezza. Metamorfosi, le parole non mancano.
Marta Fascina, “una bella
signora calabrese” nella posta di Natalia Aspesi, “diventata del tutto sconosciuta
onorevole a Portici”. Aspesi non è la sola, anche se Fascina di calabrese ha
solo la data di nascita: la Calabria e Berlusconi (Fascina è l’ultima compagna
di Berlusconi) uniti nel disprezzo.
Nina Weksler ha ricorrenti,
nelle memorie “Con la gente di Ferramonti”, i tramonti rossi del basso Tirreno:
“Rosso e lilla, rosa e violetto…violetto e rosso dietro veli di grigie nubi, e le verdi montagne sparivano
nel rosso e nel grigio”.
Un giorno qualsiasi, poniamo
venerdì 11 agosto, le pagine Cultura della “Gazzetta del Sud”, il giornale della
Calabria, reca questi titoli: “Arena di Verona, I grandi numeri delle stagioni
del Festival 2024 e 2025”, 4 col.; “Il Louvre si conferma il museo più visitato
al mondo”, 4 col.; “Ferragosto in sala nel segno del brivido”, 2. col., a
pagina intera, intense, su due registi horror, André Vredal, norvegese, e
Sukholytkyy-Sobchuk, russo; “A settembre riapre il Maggio Musicale Fiorentino”,
3 col. - e due lunghi obituaries,
Antonella Lualdi e Peppino Gagliardi. Si direbbe una regione musicale, col
culto dela morte.
Le memorie di Nina Weksler,
dei quasi tre anni d’internamento, perché ebrea e perché allogena (tedesca), a
Ferramonti (Cs), l’editore Demetrio Guzzardi può dire “paradigma del modo
calabrese di vivere i rapporti umani, anche in situazioni difficili”. La
disgrazia non lascia inerti: è un riflesso vecchio ancora vivo.
“Come va signorina, che si
dice?”, interpella Nina quando la incontra il maresciallo del campo, Gaetano
Marrari. Un iditotismo che dice tutto. Cioè, solo la simpatia.
La Regione commissaria trenta
Comuni per il ripristino di ambienti occupati o modificati abusivamente.
Protestano i Comuni, facendo valere che
il ripristino dell’abuso è già stato avviato o concluso, e che la relativa
documentazione è stata tempestivamemnte certificata. Ma la Regione non ci
sente: in fondo si tratta di dare trenta stipendi, per qualche mese, non un
grande sacrificio.
Si dirà la Calabria la
regione dei commissari. Ai Comuni, alle Asl, alla sanità regionale nel suo
insieme, ai depuratori, e ora all’abusivismo.
Protestando i Comuni commissariati
per abusivismo, il direttore della Tutela Ambientale della Regione invita a un confronto,
con annucio sul giornale: “Lunedì 14 agosto, alle ore 11”. Un giorno feriale fra
tre giorni festivi. Senza perfidia: il potere ha in Calabria un’alta concezione
di sé.
Nelle processioni del santo
patrono, l’uscita e il rientro in chiesa sono segnati da salve di fuochi
d’artificio secchi, senza colori facendosi le processioni di giorno, botti in
realtà, scoppi. Che sono quelli delle “fantasia” nordafricane, i colpi a
ripetizione in segno di omaggio e di festa.
leuzzi@antiit.eu
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