venerdì 25 agosto 2023

Il mondo com'è (465)

astolfo

George Bridgetower – George Augustus Polgreen Bridgetower, 1778-1860, polacco-africano, fu un musicista britannico. Compositore, ma soprattutto famoso come violinista. Come tale impressionò molto a Vienna Beethoven, che eseguì con lui la prima della sonata per violino che poi intitolò a Kreutzer – la Sonata per violino n. 9 in la minore. Bridgetower dovette leggere la parte del violino del secondo movimento sulla copia di Beethoven al piano, e cambiò anche una notazione, con soddisfazione di Beethoven, che si sarebbe alzato in piedi a esclamare, “Noch einmal, mein lieber Bursch!”, ancora una volta, caro ragazzo caro. La composizione Beethove intitolò allora al ragazzo: “Sonata mulattica composta per il mulatto Brischdauer, gran pazzo e compositore mulattico”. Poi Bridgetower ebbe un diverbio con una signora amica di Beethoven, e Beethoven gli tolse il saluto e la dedica – la sonata dedicò poi a Kreutzer, che come si sa non la eseguì mai, considerandola “troppo difficile”.

Col mondo asburgico Bridgetower era già in qualche modo legato. Essendo nato a Biala Podlaska, in Polonia, nella tenuta di un principe Radziwill, preso il quale i suoi genitori servivano. Del principe, Hieronim Wincenty, prese un nome al battesimo, registrato come Hieronimo Hippolito de Augusto, di padre “principe africano”. La madre, Maria Anna Ursula Schmidt, era tedesca di Svevia, ma risultava al battesimo del figlio “gentildonna polacca di qualità,”, del “nobile casato polacco degli Schmidt”. Maria Anna era domestica , al seguito di Sophie von Turn und Taxis, sposa del Radziwill. Il padre si supporrà a Londra, dove la coppia di genitori si trasferirà al seguito del figlio, essere stato un West Indian, delle Barbados. L’anno successivo alla nascita di George, passerà al servizio  del principe Esterházy, il patrono di Haydn.

George Augustus fu un bambino prodigio. A dieci anni in tournée a Parigi, Londra, Bath e Bristol. A tredici anni passò sotto la protezione del principe reggente, il futuro re George IV, che ne fece completare l’educazione musicale, con vari maestri, tra essi il dalmata Giovanni Giornovichi.

Sarà attivo, come concertista e come compositore, soprattutto in Gran Bretagna. Dove si sposò, a 48 anni, nel 1816, con una inglese. Riducendosi l’attività concertistica, viaggerà spesso in Italia, dove la sua unica figlia viveva.

Joseph Chevalier – Il “Mozart nero”, vissuto poco, dal Natale del 1745 al 30 giugno 1799, ma abbastanza per esaltarne la fama, come violinista e compositore. Autore di numerose opere, le più note “La Chasse”, eseguita con successo a Parigi al Théatre des Italiens,  e “La Fille Garçon”, un’opera comica, sul personaggio ora politicamente corretto della ragazza-uomo, travestita, a lungo esca di varie peripezie, avventurose, amorose, da ridere – come pure il viceversa, del maschio in abiti femminili: per un paio di secoli dall’avvento del teatro moderno, in molti luoghi (Ginevra, p.es.)  o per alcuni aspetti considerato immorale o blasfemo, i ruoli femminili in scena erano tenuti da uomini. Joseph Boulogne Chevalier de Saint-Georges il nome intero. Boulogne da Georges Boulogne, il piantatore francese della Guadalupa che ne fu il padre, o il padrino di battesimo. Figlio di una schiava africana, fu poi condotto dal padre-padrino in Francia a sette anni, e istruito nelle diverse arti. Eccelleva in equitazione, fioretto e danza. Fu a 15 anni, abile nei tornei, Gendarme della Guardia regia, di Luigi XVI. Al violino accompagnava la regina Maria Antonietta al cembalo. Fu nominato a 28 anni, nel 1773, direttore dell’orchestra parigina Le Concert des Amateurs. In predicato per diventare direttore dell’Opéra. E dell’orchestra della Loggia Olimpica – come Mozart, anche Chevalier era massone.

In disgrazia alla rivoluzione, per i precedenti di corte, morirà solo e povero. Ma, a differenza di Mozart, ebbe sepoltura, nella chiesa di Sainte Marguerite.

Donnaiolo, subì un aggressione da ignoti, per conto di un vecchio generale la cui moglie aveva sedotto - ma senza conseguenze. Fu attivista contro la schiavitù e per la riabilitazione della gente di colore.

Guigliottina – Il medico che la propose e da cui prende il nome, Joseph-Ignace Guillotin, lo fece a fini umanitari: essere decapitati era privilegio dell’aristocrazia, invece che impiccati, strangolati, bastonati dentro il sacco, squartati, etc.. Era stato da giovane novizio gesuita, con accesso a quattro ordini minori e alla tonsura. Poi, a 24 anni, massone nella Loggia delle Nove Sorelle, che si pregiava tra i suoi membri di Voltaire, Franklin, i pittori Vernet e Greuze, il duca d’Orléans. Nell’intervallo era stato vincitore di una borsa di studio di 60 mila lire, somma ingente, alla facoltà di Medicina di Parigi, era stato laureato, era stato insignito della cattedra di Anatomia, Patologia e Fisiologia. Aveva fatto parte, tra l’altro, della commissione reale d’indagine sul magnetismo animale, la teoria di Mesmer, insieme con Franklin, ambasciatore americano a Parigi, Lavoisier e l’astronomo Bailly. Deputato di Parigi agli Stati Generali del 1789 che sfoceranno nella rivoluzione, fu lui a suggerire la sala della Pallacorda ai deputati del Terzo Stato che non avevano dove riunirsi – dove poi l’astronomo Bailly propose il. “giuramento della Pallacorda”, che vincolava i deputati del Terzo Stato, maggioranza alla Assemblea Nazionale, a votare insieme – in sostanza a fare dell’Assemblea un organo del Terzo Stato, lasciando in minoranza, esclusi dalle decisioni, clero e nobiltà. Il giuramento è del 20 giugno 1789. Il 6 ottobre il dottor Guillotin presentava la modifica al codice penale in materia di esecuzione della pena capitale: divieto di confisca dei beni del condannato, restituzione del corpo alla famiglia, estraneità della famiglia alle colpe del condannato. E un art. 1, approvato l’1 dicembre, che stabiliva: “I delitti dello stesso genere saranno stabiliti con lo steso genere di pena, quali che siano il rango e lo stato (socio-politico, n.d.r.) del colpevole”. Le esecuzioni erano allora diversificate: impiccagione per  i ladri, rogo per eretici e  falsari, squartamento per i regicidi. La  decapitazione, con l’ascia, era privilegio degli aristocratici, come meno affliggente. In questo senso il dottor Guillotin la raccomandava, su un preambolo che illustrò a voce e che, secondo i trascrittori, sarebbe suonato così: “Con la mia macchina, vi faccio saltare la testa in un batter d’occhio e voi non soffrite”. Ma erano resoconti non benevoli, la proposta del dottore era caduta nel ridicolo, oggetto di ironie e satire, nei giornali e nel pubblico. Seppure con qualche ritardo, però, il 3 giugno 1791 la proposta diventò legge.

Il dottore rifiutò l’incarico di approntare la macchina – l’incarico fu affidato allora al primario di chirurgia, Antonin Louis. Furono adattati dei meccanismi già in uso in Italia e in Inghilterra. In particolare se ne occupò, a fini industriali e commerciali, un Tobias Schmidt, un tedesco fabbricante di pianoforti. E la prima  esecuzione con la lama a caduta libera avvenne dopo meno di un anno dalla legge, il 25 aprile 1792, in place de Grèves, poi sinonimo di ghigliottina, vittima un ladro, Pelletier.

L’uso della ghigliottina fu seguito qualche ano dopo da un dibattito. Il 9 novembre 1795 il dottore tedesco Sommering scriveva su “Le Moniteur” che la coscienza del condannato rimane viva dopo la decapitazione, per qualche istante, e che quindi il decapitato non muore senza dolore. Il dottor Cabanis, materialista, rispose sostenendo il contrario, che niente sopravvive alla morte. Ma il tema ebbe ampia discussione. Il dottor Guillotin, imprigionato durante il Terrore, scampò alla ghigliottina perché Robespierre morì prima. Praticherà la medicina, e s’illustrerà in epoca napoleonica come sostenitore del vaccino contro il vaiolo – ci fu allora un vastissimo movimento no wax: il 2 marzo 1805 presentò il vaccino anche al papa, Pio VII, allora esiliato a Parigi, implorandone la benedizione. Morirà nel 1814, di 77 anni.

Italia – Formazione recente, con i  quattro quarti, ma non con un passato. Secondo la catalogazione di Ernst Jünger, “La forbice,” , p.28, che rileva la persistenza di popolazioni da tempo scomparse. I popoli e le civiltà  perdurano. Come ci sono terreni instabili geologicamente, “in maniera simile si comportano, da un punto di vista geomantico, quelle regioni in cui il mito non si è ancora raffreddato…. Se ci recassimo a perlustrare questi luoghi con un apparecchio simile a un contatore Geiger, potremmo rilevare potenti eruzioni. I terreni migliori sono quelli in cui dominarono popoli che, come i Celti, gli Etruschi e gli Aztechi, sono certamente scomparsi da un punto di vista politico, e tuttavia continuano ad abitare quelle terre. E poi ancora l’Asia minore, prima di Alessandro, e addirittura prima di Erodoto. Alicarnasso, il Libano con il sangue di Adone, l’antica Persia”. Non l’Italia, non Roma. 

Maréchal Niehl – Il nome della rosa più famosa è quello del comandante alleato della battaglia di Sebastopoli, un anno di assedio, dall’ottobre del 1854 al settembre del 1855, uno dei macelli bellici più assurdi e sanguinosi che si siano praticati. Nonché promotore di un fucile che avrebbe atto meraviglie, per il quale rischiò la vita, poiché gli esplose in mano. La cosa affliggeva Stevenson, e non senza ragione: il maresciallo beneficia di una biografia molto lusinghiera, ma presiede a molti disastri, come uomo sul campo del Bonaparte poi Napoleone III. A cominciare dall’assedio di Roma nel 1849, e poi di Sebastopoli. È fatto maresciallo “sul campo” a Solferino, nel 1859, nella battaglia vinta dagli italiani e svenduta da Napolone III all’Austria. Dopo la débâcle di Sadowa nel 1866, il suo imperatore lo fece anche ministro della Guerra. Morirà nel 1869, lasciando la Francia impreparata all’invasione di Bismarck.


Raffles – Il centro direzionale con questo nome che da Singapore sta invadendo le grandi città cinesi (un complesso di torri da venti e più piani, a uso abitazione, uffici, negozi, sport, svaghi) sfrutta il nome dell’alter ego – uno dei tanti - di Sherlock Holmes, il bandito gentiluomo A. J. Raffles. Un personaggio da Ernest William Hornung, scrittore ora dimenticato, inglese, ma subito allora famoso, nel 1898, per l’invenzione del personaggio. E per la fortunata serie letteraria che vi imbastì sopra, proseguita fino al 1909, e composta da 26 racconti, 2 commedie teatrali e un romanzo. Raffles, il “ladro gentiluomo”, abile nei travestimenti e nelle tecniche, un po’ dandy, distaccato, di vita lussuosa, non ruba per bontà ma per sé, quando ha definito il denaro del precedente furto. Un tipo si direbbe non simpatico, e invece Hornung lo fa – lo ha fatto, adesso non morde più – popolare.

Hornung era cognato d Conan Doyle, avendone sposato una sorella.

La Raffles City di Pechino è lo spazio più in voga della capitale della Cina. Un complesso di torri, appena  inaugurato, a uso promiscuo, abitazione, lavoro, svago, sport, commercio. A somiglianza della più celebre Raffles’ City di Singapore, già ripresa a Shangai. Sfrutta il nome del personaggio di Hornung, ma anche di un albergo di antica tradizione a Singapore, la “Cina di fuori”.

Hornung aveva derivato il nome del suo ladro gentiluomo dall’albergo allora di lusso di Singapore, il Raffles Hotel - luogo di molte avventure del personaggio: una costruzione neoclassica di fronte al mare, tuttora in attività, realizzata da una società, i Sarkies Broters, e intitolata a sir Stamford Raffles, il fondatore di Singapore.

Su Raffles si sono fatti numerosi film, già a partire dal cinema muto. Tra i primi “Raffles, the Amateur Cracksman”, 1905). In Italia, il personaggio fu adattato per lo schermo a partire dal 1911. Dal regista e attore Ubaldo Maria Del Colle, che lo interpretò in una fortunata serie di pellicole. E da Ernesto Maria Pasquali, che ne produsse vari episodi per la sua Pasquali Film. Sulla scia del successo di pubblico di Arsenio Lupin, altro grande ladro.


astolfo@antiit.eu

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