Indebitarsi per Tim
Il
Tesoro ha problemi, da un mese il governo insiste che non sa come quadrare la
finanziaria o def, insomma il budget
2024, ma spende 2 miliardi e mezzo per Tim, “un gruppo strategico”. Più di quanto,
probabilmente, incasserà con la discussa tassa sugli extraprofitti di Intesa,
Unicredit e le altre grandi banche. “Strategico” a che cosa? Alla rete
telefonica, che non sa gestire, ogni utente lo sa? Alla persecuzione che
infligge da anni agli italiani, quando infine ha scoperto la fidelizzazione,
dopo averli tratscurati e scaricati per decenni, con quattro chamate spam al giorno? E quanto stratetigo, se lo
stesso gruppo fu venduto 26 anni fa con una valutazione da 70 mila miliardi di
lire, 35 miliardi di euro (il Tesoro incassò 26 mila miliardi di lire, tredici
miliardi di euro, per il 36 per cento del gruppo) mentre ora si valuta 10
miliardi (il Tesoro pagherà 2,2 miliardi per il 20 per cento), ma in Borsa si trascina
a pochi centesimi.
È strategica la rete telefonica?
E perché è stata abbandnata per trent’anni, e tuttora è gestita in malo modo
(basta entrare, tentare di entrare, in My Tim)?
E bisognerebbe anche sapere perché
non lo era quando Telecom-Tim fu privatizzata, e la cablatura dell’Italia, avviata
a passo di carica dalla Sip-Stet, fu lasciata a metà, abbandonata: l’Italia
poteva essere il primo paese con internet veloce per tutti, grazie alla
cablatura, e invece l’investimento andò in fumo (quanti miliardi, in euro, sprecati). Una storia troppo contorta,
questa del telefono pubblico, che meriterebbe mettere da parte per sempre. La privatizzazione
senza condizioni (strategia? tattica?) fu fatta dal governo Prodi, il primo,
con Guido Rossi a presiedere, l’inossidabile cache-sex di molto malaffare a piazza Affari.
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