Letture - 528
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Amore
-
Il destino si può piegare in mille modi,
“ma non c’è assolutamente un modo per ognuno di innamorarsi”, Robert L. Stevenson,
“On falling in Love” (in “Virginibus puerisque”).Soprattutto non c’è per gli
scrittori, sembra dire, dall’esemplificazione che fa seguire alla massima: “Si
sa di Shakespeare, del problema che gli si è creato quando la regina Elisabetta gli chiese di inscenare Falstaff innamorato.
Non credo che Henry Fielding sia mai stato innamorato. Scott, se non fosse per
un passaggio o due in ‘Rob Roy’, mi darebbe la stessa impressione”.
Lo stesso Stevenson pensa della “innumerevole
armata di persone anemiche fatte con lo stampino che occupano ordinatamente la
faccia di questo pianeta” che la cosa è rara, per un motivo: “Il semplice
incidente di innamorarsi è altrettanto benefico quanto è stupefacente”.
È anche inclassificabile. Fra tutti i
sentimenti, “l’amore, in particolare, non supera un riesame storico; per tutti
quelli che lo hanno sperimentato, è uno dei fatti più incontestabili al mondo;
ma se si comincia a chiedere che cosa era in altri periodi e paesi, in Grecia
per esempio, i più diversi dubbi cominciano a insorgere”.
Analfabetismo
di ritorno –“L’ondata
di immagini favorisce un nuovo analfabetismo”, poteva rilevare E. Jünger a fine
anni 1980 in una serie di annotazioni occasionali poi pubblicate col titolo “La
forbice”, §164: “La scrittura è sostituita dai segni, si può osservare il peggioramento
dell’ortografia. Ne consegue l’involgarirsi della grammatica”.
E non aveva ancora gli emoticon, gli idiotismi,
stretti, obbligati e decidui, le abbreviazioni da iniziati, le sigle variabili
quasi quotidianamente – sempre da iniziati.
Braccio
teso –
Il saluto romano, poi fascista e nazista, era un segno di difesa e non di affermazione?
Così lo dice E. Jünger, “La forbice”, § 102, con “un significato magico”: “Il
braccio teso in avanti orizzontalmente, esibito a difesa dallo sguardo del
male, con un significato magico”.
Buon
costume –
Era “teoria dei moralisti dell’Ottocento che il buon costume varia a seconda
dei paralleli”” – E. Jünger, “Un incontro pericoloso”, p. 37.
Dante
–
Leopardi non lo sentiva “suo”, a fronte del Tasso. In un esteso passo dello
“Zibaldone”, 4255, a proposito delle sfortune dei due poeti, “sfortunatissimi”.
Entrambi onorati, di cui visitiamo riverenti i sepolcri. Ma, continua Leopardi,
“io, che ho pianto sopra quello del Tasso, non ho sentito alcun moto di
tenerezza a quello di Dante”. Se lo rimprovera, avendo “un altissima stima,
anzi ammirazione, verso Dante”. Tanto più che “le sventure di quello (Dante, n.d.r.)
furono senza dubbi reali e grandi”, mentre “di questo (Tasso, n..d.r.) appena
siamo certi che non fossero, almeno in gran parte, immaginarie”. E ne cerca il
perché. Se lo dà in quanto “veggiamo in Dante un uomo d’animo forte, d‘animo
bastante a reggere e sostenere la mala fortuna. Oltracciò un uomo che contrasta,
e combatte con essa, colla necessità, col fato”. Un ritratto in qualche modo
originale. Mentre “nel Tasso veggiamo uno
che è vinto dalla sua miseria, soccombente, atterrato”, etc.
Dante
islamico –
Tante avventure nell’aldilà sono delle “Mille e una notte”.
Don
Giovanni –
È coetaneo della Costituzione americana. “Il più famoso libertino all’opera,
che impersona la libertà non solo dai vincoli sociali e politici ma dalla
sessualità, la religione, e la stessa morale, è sempre stato una figura inquietante”
- Larry Wolf, il cultore di Verdi, sulla “New York Review of Books”: “«Viva la
libertà!» canta Don Giovanni come i suoi ospiti arrivano per una festa serale,
e poiché l’opera fu composta nel 1787, nell’età dell’Illuminismo e alla vigilia
della Rivoluzione Francese, non è irragionevole chiedersi che specie di libertà
ha in mente. È la specie di libertà politica che fu stabilita nella Costituzione
americana, anch’essa scritta nel 1787….”.
Wolf continua riferendo il messaggio a
Da Ponte, il librettista, più che a Mozart. Ma evita di dire che Da Ponte era
lui stesso don Giovanni – tanto da essere bandito, prete scomunicato, da Venezia.
E che, dopo vari matrimoni, imprese fallimentari, peregrinazioni fra Praga, Dresda,
Londra, si stabilì in America – vi si stabilì con l’ultima famiglia, e vi
divenne insegnante, libraio e infine professore, alla Columbia.
U.
Eco –
“Umberto Eco, in un saggio di cui mi sto occupando giusto stamattina, il 4
giugno 1988, dice che ogni tentativo di fondare un senso ultimo conduce
nell’insensato e sottrae al mondo il suo mistero”– Ernst Jünger, “La forbice”,
§ 173. Tomista di formazione, Eco ha presto abbandonato la filosofia (la
metafisica) per le applicazioni pratiche del pensiero, la sociologia della letteratura,
la semiotica, il costume, il giornalismo.
Figure
–
“La fiaba fa riferimento di preferenza al regno animale, la parabola a quello
delle piante – il granello di senape, il loto, il fico, il giglio. Tutte queste
figure sono imparentate: sono simboli dell’uomo entro il regno vivente. Ritroviamo
invece esempi tratti dal mondo inanimato nei proverbi” – E. Jünger, “La
forbice”, §17.
Madre-figlia
–
Il rapporto conflittuale è uno dei primi temi dei primi romanzi. Miss Howe
scrive a Miss Harlowe in “Clarissa”, vol. II, lettera XIII: “Sai, mia madre
ogni tanto litiga con molta forza; sempre almeno molto caldamente. Mi capita
spesso di pensarla diversamente da lei, e entrambi pensiamo così bene delle
nostre ragioni che raramente siamo felici di aver convinto l’una l’altra. Un aso
molto comune, penso, in tutti i dibattiti veementi.
Lei dice che sono troppo intelligente.
Anglicizzato, troppo impertinente.
Io, che lei è troppo saggia. Cioè,
per metterla in altro modo in inglese, non
più così giovane come pure è stata”.
Mosè –
È citato per la
prima volta da Longino?
Fra le tante
perplessità
su chi era Mosè non poteva mancare Voltaire. Nel
breve scritto “Auteurs”, 1770 circa, rifacendosi alla “Histoire de la
philosophie” del “buon abate Bazin”, fa valere che “mai nessun autore ha citato un passaggio di Mosè prima di
Longino, che visse e morì al tempo dell’imperatore Aureliano”. Il nome era
noto, Giuseppe ne parla più volte, ma nessuno cita un detto o uno scritto,
nessuno dei profeti autori dei libri biblici. “Benché egli sia un autore
divino”, aggiungeva Voltaire. Che però non notava che i libri della Bibbia non si citano fra di loro.
Prima del “romanzo” (poi non pubblicato)
e dei tre saggi di Freud su Mosè, “un generale egiziano”, la sua figura era stata
al centro di un Antisemitismusdiskurs a
fine Settecento, un dibattito sull’antisemitismo.
Nel 1790 Schiller pubblicava sulla rivista “Thalia” “La missione di Mosè” –
Schiller è stato storico valente, prima che drammaturgo. C’era in corso la
rivoluzione francese, ma Schiller si impegnava a rielaborare, in parte
confutandola, la prolusione tenuta un anno prima a Jena dall’illuminista
framassone Carl Leonhard Reinhold. Con un testo fitto, di una quindicina di
pagine, come la prolusione. Schiller fa nascere la parola “ebrei” con la fuga
dall’Egitto, un nome spregiativo dato ai riottosi israeliti dal faraone, che li
aveva confinati in aree separate. Ma non fa di Mosè un egiziano, bensì il
figlio di un’ebrea fatto crescere con un trucco dalla figlia del faraone, e
quindi a scuola dai sacerdoti, dai quali apprende i Misteri di Iside. E lo dice
per questo un capo opportuno ma anomalo per gli ebrei.
Nazionalità
-
“Sarebbe belllo se nazioni e razze potessero comunicarsi le loro qualità; ma in
pratica, quando si guardano l’una con l’altra, hanno l’occhio solo ai difetti” -
R.L.Stevenson, “Village Communities of Painters”.
Psicologia
–
“Fabbrica i sogni che studia”, E. Jünger, “La forbice”, §75: “A volte pare che
i vecchi libri di sogni possano darci informazioni migliori di quelle che della moderna psicologia, che fabbrica i
sogni che studia”.
Santippe
–
Personaggio ricorrente delle narrazioni (p.es. l’ultimo racconto delle “Mille e
una notte”), la donna autoritaria, scomparsa dal secondo Novecento in qua –
scomparsa col femminismo che invece ne
sarebbe l’applicazione pratica?
Viaggio
–Non
si viaggia per viaggiare ma per aver viaggiato”, Alphonse Kerr, 1847.
letterautore@antiit.eu
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