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Faust
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È un romanzo, il “Faust” di Goethe: è la lettura che ne fa il cardinale Gianfranco
Ravasi nel “Breviario” con cui apre il supplemento “Domenica” del “Sole 24 Ore”.
A proposito dell’autoflagellazione con cui comincia il poema: “È sconfortante
questa confessione che fa di sé il Faust di Goethe, nell’impressionante scena notturna
con cui si apre, dopo il prologo, l’omonimo celebre romanzo”.
Gadda
–
Ma è biblico! La scoperta è del cardinale Ravasi, nel breve saggio
“L’apocalisse si fa largo tra il dolore”, pubblicato sempre sul “Sole 24 Ore”
domenica: “In molte sue opere affiorano simboli e figure bibliche, soprattutto
i segni fiammeggianti dell’Apocalisse”.
In un articolo del 1940, su “Nuova
Antologia”, Gadda celebra i Vangeli - “particolarmente i sinottici”, sono
parole sue, “nella divina limpidezza della parabola: essi ci riportano alla verità
del mondo morale,quasi incedendo verso la luce, sempre!”. In un racconto di
“Accoppiamenti giudiziosi” esalta, altre parole sue, “la voce della bibbia, il
più grande libro che sia mai stato scritto”.
Molta “Apocalisse” è in “Eros e Priapo”,
citata e insieme glossata. Ritornante è la figura del Cristo, le cui parole
sono da Gadda spesso citate – nel primo romanzo, “La meccanica”, il “sinite parvulos venire ad me” dice
appello “detto dal primo socialista del mondo”.
Sulla “Cognizione del dolore”, lettura
giovanile sulla quale il cardinale non sapeva orientarsi, ha casualmente,
scrive, trovato la chiave in un saggio di poca diffusione, dal lui maneggiato
da direttore della Biblioteca Ambrosiana, “La paralisi e lo spostamento”, di
Rinaldo Rinaldi (Bastogi, Livorno, 1977). Un’analisi del romanzo “che giungeva
a questo esito inatteso: «Un fitto reticolo di suggestioni evangeliche fa
veramente sistema, tanto da poter parlare di struttura cristologica del
romanzo»”. Rinaldi, junghiano, “traccia una mappa complessa”, avverte il cardinale,
sulla quale poi arriva a identificare Gonzalo, il figlio, con tutti i suoi
tormenti, in vario modo col Cristo. Ma, aggiunge, “sta di fatto che l’approdo terminale
della vicenda di don Gonzalo ha un rimando al Consummatum est del Cristo crocifisso. Scrive infatti Gadda: «Tutto
doveva continuare a svolgersi, e adempiersi: tutte le opere. E l’ora da una
torre lontana sembrò significare: “Gli atti sono tutti adempiuti”»”.
Gioacchino
da Fiore –
“Con tutta la sua santità il povero Gioacchino non è mai stato santificato.
Rimane solo un Beato. Forse c’era qualcosa di peccaminoso negli anni che
trascorse alla corte siciliana”, Giuseppe “Pino” Orioli, “In viaggio”, 60.
Orioli, compagno di viaggi e di vita di
Norman Douglas, era preclaro libraio antiquario a Firenze, nonché editore
(degli angloamericani in Italia negli anni 1930). Visitando il convento di San
Giovanni in Fiore, così continua: “Con me avevo un suo libro, Vaticinia sive Prophetiae (Venezia,
Porrus, 1589). Non è un cattivo libro”, ha 34 incisioni, “abilmente eseguite”,
la tradizione, una premessa di Pasqualino Regiselmo, la vita di Gioacchino scritta
dal Barrio, ma, prosegue, “non sono mai stato capace di vendere questo libro,
anche se nei miei cataloghi ha un prezzo basso: 7/s 6 d.”, sette scellini e sei
pence.
Old Calabria – Il viaggio a piedi
per la Calabria, da cui trarrà il suo classico “Old Calabria”, aprile-luglio
1911, Norman Douglas fece con Eric Wolton. Un ragazzo di tredici anni che aveva
conosciuto pochi mesi prima, esattamente il 5 novembre 1910 – quando Douglas
aveva 42 anni. Del ragazzo che l’accompagnava non c’è traccia in “Old
Calabria”. Ma lo ricorda Giuseppe Orioli, il libraio-editore fiorentino nel racconto
di viaggio in Calabria fatto con Douglas e altri due amici inglesi
nel 1933. Lo fa ricordare allo stesso Douglas. A San Demetrio Corone, dove torna nella primavera del 1933 col suo nuovo
compagno che è lo stesso Orioli, Norman Douglas si allontana un momento dalla
strada del cimitero dove si stavano recando per “per guardare la casa dove alloggiò
insieme a Eric per una settimana nel 1911. Era una grande casa isolata”.
Norman poi racconta a “Pino” che “la proprietaria, ora
defunta, era singolarmente gentile con loro e dopo solo quattro giorni si
affezionò così tanto ad Eric che voleva adottarlo”. Era molto ricca: “Possedeva
la casa, pecore, bestiame, vigneti e
campi di granturco”. Vedova, “odiava i parenti che erano in vita, perché
aspiravano solo ai suoi soldi. Era ansiosa di andare da un notaio e lasciare
tutto a Eric, a patto che restasse con lei a San Demetrio fino a quando fosse
morta”. Non era “una brutta prospettiva” per il ragazzo, commenta Douglas, ma
lui “era molto affezionato a Eric” e non disse niente ai suoi genitori.
Pederastia
–
Sul caso di Norman Douglas e del giovanissimo Eric (v. sopra, “Old Calabria”),
il quarantenne scrittore e il dodicenne che lo accompagna nella sue peregrinazioni
per la Calabria, e su altri casi di pederastia di persone famose o comunque per
un qualche motivo attraenti, senza violenza cioè, una forma di patologia è stata
individuata, la Child Sexual Abuse Accomodation Syndrome, Csaas. Modellata specialmente
sul caso di Norman Douglas, lo scrittore che vivrà nel dopoguerra tranquillamente
a Capri, dove morirà (pare di buona morte procurata, per un male incurabile),
ma prima della guerra subì processi e arresti, che evitò con la fuga.
La casistica erotica di Norman Douglas,
che ricorda spesso quella di Pasolini, è analizzata e spiegata da Rachel Hope
Cleeves, una storica americano-canadese, nel volume “Unspeakable”, molto
dettagliato, che come sottotitolo recita: “A Life beyond Sexual Morality”.
Norman Douglas conobbe il ragazzo Eric,
Eric Wolton, al Crystal Palace di Londra, luogo di divertimenti, il 5 novembre 1910,
una festa popolare, di fuochi d’artificio. Se lo portò in Italia col consenso
dei genitori. E in Italia nel lungo viaggio a piedi che poi raccontò in “Old
Calabria”, il libro che gli diede la fama, dall’aprile al luglio del 1911. Poi Eric
si fece la sua vita, da dipendente pubblico in varie parti dell’impero
briotannico, ebbe dei figli, e rimase sempre grato a Douglas, per le tante occasioni
che gli aveva offerto di “migliorarsi”. Porterà i figli a Capri, a conoscere
Douglas, prima della morte dello scrittore.
Ma non solo di Eric, Norman Douglas ebbe
la stima di molti influenti amici, Conrad dapprima, e poi Graham Greene, Aldous
Huxley, Somerset Maugham, D.H.Lawrence a lungo (“L’amante di Lady Chatterley”,
cui dovette la fama, fu pubblicato dal compagno di Douglas, Pino Oroli, nella
Lungarno Series che editava a Firenze), E.M.Forster, Romaine Brooks... Praticava
sesso di preferenza con i bambini, per sua stessa ammissione, centinaia di
bambini e di bambine, tra i 10 e i 13 anni.
I fatti sono sempre stati noti. Prima
dello studio di Cleeves, ne aveva parlato in dettaglio il biografo Mark Holloway,
nel 1976, “His Norman Douglas. A Biography”.
L’attività erotica di N. Douglas fu specialmente
profusa in Italia. Nel giugno del 1895 si era presa una licenza dall’ambasciata
britannica a San Pietroburgo, dove lavorava, per visitare Lipari. Dove scoprì i
veri costi della pomice, tenuti segreti dalla compagnia inglese che la sfruttava,
e le condizioni di produzione, con uso
intensivo del lavoro infantile, e denunziò il tutto al Foreign Office – “la sola
costa giusta che ho fatto in vita mia”. L’anno dopo, a novembre, si licenziava
dal Foreign Office e comprava Villa Maya a Napoli, una enorme villa-castello,
dove intrattenne un rapporto speciale con un quindicenne, Michele – meravigliato
dell’approvazione e la riconoscenza che la famiglia del ragazzo gli portava, ricorda
in “Looking back” (dedicato a Eric), e cita la madre in italiano: “L’avete
svegliato”. Un Raffaele Amoroso, specializzato nella fornitura di “divertimenti
amorosi”, fu il suo paraninfo a lungo. Una raccolta di lettere dei suoi vecchi-giovani
amanti è stata pubblicata: Eric, René Mari, Marcel Mercier, Ettore Masciandaro,
Emilio Papa, con foto, anche nude, dei corrispondenti da ragazzi. Nel 1910
dovette lasciare in fretta Londra per evitare un processo. Nel 1936 lasciò
Firenze per sfuggire all’arresto, per un rapporto con una bambina. È stato anche
sposato e ha avuto due figli, di cui nella causa di divorzio ottenne l’affidamento.
Svevo-Joyce
–
Molte cose li univano, ma una soprattutto, è la scoperta di Mauro Covacich su
“La Lettura” di domenica: una lingua appresa, non “naturale”, non familiare. Molto
più di un’amicizia, questa comune esperienza linguistica. Entrambi scrivono in
una lingua imparata, da adulti, non nativa: “È il vero collante sia della vicenda
umana che dell’esperienza artistica dei due scrittori. Entrambi danno vita a opere
memorabili scritte però in una lingua appresa. Svevo impara l’italiano sui
libri e, come dichiara in molti luoghi, non ha modo di parlarlo quasi con nessuno
(la lingua corrente a Trieste ancora oggi è il dialetto). Allo stesso modo,
Joyce è un irlandese che rivendica un rapporto di estraneità con la lingua inglese
(vedi «Il ritratto dell’artista da giovane»), anche lui l’ha imparata a scuola
e finirà per insegnarla a stranieri, in terra straniera”.
letterautore@antiit.eu
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