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Tra i vini alla viola, alla mandorla
Sono solo i capitoli
centrali, VI-XXX del volume di Orioli
“In Viaggio”: quelli dedicati alla Calabria - a partire da Noépoli in
Basilicata, tale è la sorpresa che il borgo lucano sucita nel viaggiatore:
Albidona, Castrovillari, Civita con Spezzano e gli ammiratissimi albanesi di
Calabria, Morano, Sibari, Cosenza, San Giovanni in Fiore e la Sila, Longobucco,
San Demetrio Corone, Crotone, Catanzaro, Tiriolo, Taverna, Caulonia, Gioiosa
Ionica, Mammola, Reggio, Pentedattilo,
Bova.
Un racconto pieno di
curiosità. Benché tardivo, nel 1933. Di un viaggio che il libraio–editore
fiorentino (a lui si devono le Lungarno Series, degli scrittori angloamericani
di Firenze tra le due guerre) intraprese con Norman Douglas, da tempo suo
compagno di vita benché vivesse a Capri (si accompagnavano da tempo, dal 1922,
“Pino” già di 38 anni, Douglas di 54) e con due redattori della casa editrice
londinese Chatto&Windus che
pubblicherà “Moving Along” (“In Viaggio”) nel 1934, Ian Parsons e Charles
Prentice.
Con un pizzico del brio e
della sintesi di Norman Douglas di “Old Calabria”, un quadro storico di molte
realtà viene tratteggiato in breve, per più aspetti e riscontri perspicuo. Al sodale e
compagno Douglas Orioli spesso direttamente si si rifà. A nche perché è quello
che decide gli spostamenti, e spesso la narrazione, con i ricordi di luloghi,
fatti e eprsone, e con le vecchie conoscenze che rintraccia via via. Erano anche anni in
cui il Sud finalmente “si muoveva”, benché sotto il fascismo, in fatto di
comunicazioni, alfabetizzazione, occasioni di lavoro. Più di un “americano”
Orioli e i suoi amici incontrano, ritornato, per avviare un’attività al paese.
Un racconto sempre
lusinghiero, ammirato anche – eccetto che per Mattia Preti, che Orioli aborre. “L’amabile, Caulonia”. I profumi “delle folgoranti erbe aromatiche” – ma a Mammola, nomen omen?, l’erica è talmente profumata che sa di naftalina. Molti ragazzi speciali, naturamente, ma solo
di garbo e intelligenza. A Crocchi (Gioiosa Jonica) il tabaccaio apre solo di
domenica. A Gioiosa Gabriella li serve in tavola, una venere scalza, che al
garbo coniuga la bellezza.
Pochi,
stranamente, gli uccelli: “Si possono vedere più uccelli in un pomeriggio
inglese che in dodici mesi in Calabria”. I vini invece, sono varii, non
“standardizzati”, e apprezzati – il
tributo è costante ai vini e alla cucina. Ovunque “stoviglie, di terracotta
naturale, di bellissime forme”. Senza mai indulgenza al “colore”, di cui
solitamente sono impastati questi racconti di viaggi. I briganti, breve
stagione, sono solo mozza teste.
Gli
arbëreschë soprattutto piacciono, dopo i ragazzi, gli albanesi di Calabria. A
Civita l’orrido del Raganello viene già segnalato, come visto dall’alto. Civita
e Tiriolo per i costumi, delle donne e degli uomini. A Tiriolo, da dove si
dominano i due mari, lo Jonio e il Tirreno, la bellezza delle donne prende
molti sospiri. Erodoto aThurii stimola belle pagine, anche se non si sa dove
Thurii fosse. A differenza della narrazione di Horace Rilliet (“Colonna mobile
in Calabria”), i calabresi sono tosti a Campo Tenese. Anche se vi beccano, la
prima volta nel 1806 a opera dei francesi di Giuseppe Bonaparte e Murat, nel
1848 a opera delle truppe borboniche - le due battaglie sono descritte al
dettaglio, su buone letture.
Gli
“americani” di ritorno sono importuni, con i loro dollari – la “dollaria” che
Ezra Pound contemporaneamente deprecava. Non lo sono i “germanesi”: è qui
registrata per la prima volta la dizione e la relativa categoria sociologica di
cui scriverà Carmine Abate. Norman Douglas, che aveva percorso la Calabria vent’anni
prima, si meraviglia dei tanti uomini che si vedono in giro. Orioli opina che
“ora hanno trovato l’America qui, nel costruire le strade, nel rimboschimento”,
i futuri famosi Forestali della Calabria, “l’agricoltura intensiva, i lavori
idroelettrici e così via”. Ed è vero che negli anni del fascismo l’emigrazione
crolla.
L’introduzione di Stefano
Manferlotti, l’anglista emerito della Federico II, è un piccolo romanzo del
rapporto tra Orioli e Norman Douglas, o meglio del cattivo carattere di
quest’ultimo, che le sue opere invece farebbero pensare un simpaticone.
Sottolinea anche la “durata” delle cose viste di Orioli, anche se il mondo è
cambiato. Apprezzandone soprattutto la cura, molto contemporanea, per i cibi
via via odorati o consumati, i vini, i prodotti locali, la cucina. Un viaggio
tra i sapori. Tra gli odori anche, dei vini (la viola, la mandorla), delle
erbe, in epoca ancora di inesistenti scarichi di automobile, dei boschi. Tre
inglesi, quattro con l’anglomane autore, che come solevano se la godevano.
Giuseppe Orioli, In viaggio, Rubbettino, pp. 153 ril. €
7,90
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